La trappola di Tucidide
La competizione tra Atene e Sparta come modello della rivalità tra USA e Cina
di Francesco Cirillo
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La trappola di Tucidide
La definizione di Trappola di Tucidide venne coniata da un gruppo di studiosi di relazioni internazionali del Belfer Center, situato presso la John F. Kennedy School of Government dell’Università di Harvard.
Il Precursore del realismo politico e storico ateniese viene preso in considerazione per una sua presunta teoria. Essa afferma che quando una potenza emergente tenta di spodestare la potenza egemonica, il confronto sfocia in un conflitto militare.
Il Belfer Center ha tentato di analizzare le possibilità in cui le relazioni sino-statunitensi possano sfociare in una escalation che porterebbe a un conflitto. Lo studio ha constatato che la Trappola di Tucidide, nei sedici casi analizzati, ha portato ben dodici volte allo scoppio di uno scontro militare tra la potenza dominante e quella emergente.
Il confronto tra Washington e Pechino si fa pericolosamente sempre più aspro per diversi fattori. Uno dei principali è l’iniziativa che l’attuale leader cinese Xi Jinping ha lanciato nel 2013, denominata OBOR, One Belt One Road, conosciuta anche come la Nuova via della Seta. Il progetto cinese punta a connettere la Cina con il ricco mercato europeo realizzando nei Paesi coinvolti, come Sri Lanka, Pakistan e Tagikistan, infrastrutture come ponti, strade, reti ferroviarie e porti nelle città marittime.
Per gli Stati Uniti il progetto di Pechino viene visto come una pericolosa strategia di espansione geo-economica e politico-militare, e per alcuni si potrebbe verificare in questo scenario la Trappola di Tucidide.
Secondo un report prodotto dalla RAND Corporation, un possibile conflitto tra USA e Cina porterebbe il PIL di Washington a ridursi del 10%, mentre quello cinese potrebbe subire un crollo del 35%.
Atene contro Sparta
Per effettuare un’analisi efficiente della teoria di Tucidide dobbiamo confrontare in breve lo scontro egemonico che portò alla Guerra del Peloponneso tra la potenza egemone di allora, rappresentata da Sparta, e la potenza che era in rapida ascesa, la città di Atene.
Dopo la seconda offensiva portata avanti da Serse, figlio di Dario I, la Grecia è suddivisa in due sfere d’influenza. Una sotto l’egida della città di Sparta, un’altra sotto quella della città di Atene. Le due città rappresentano due sistemi politico-militari ed economici completamente differenti tra di loro.
Sparta (monarchia) è la potenza greca egemone e militare dal punto di vista terrestre, ma si sente minacciata dalla rapida ascesa della potenza ateniese (una democrazia oligarchica), in cui prevale la supremazia tecnologica in ambito navale. In pochi anni Atene ha infatti consolidato il suo dominio nel Mar Egeo ottenuto con la realizzazione di una imponente flotta militare.
Gli spartani, nonostante siano i dominatori incontrastati della Grecia Continentale, vedono nella potenza economica e militare ateniese una seria minaccia alla loro egemonia politico-militare. Oltretutto il commercio marittimo è monopolizzato dalla classe commerciale e mercantile ateniese. Ciò spaventa la classe dirigente spartana, ideologicamente conservatrice. Lo scoppio della guerra però avviene casualmente.
Corinto ebbe una disputa con l’isola di Corcira per il controllo di Epidamno, piccolo centro abitato dislocato nell’odierna Albania. Inizialmente Corcira stava avendo la meglio sulle forze di Corinto, ma i Corinzi, sentendosi obbligati di riparare al torto subito, iniziarono ad allestire una seconda flotta di circa 150 navi, riarmando in breve il dispositivo marittimo della città. Corinto, a tutti gli effetti, controllava la seconda flotta della Grecia dopo quella ateniese. Corcira, sentendosi minacciata, decise di chiedere soccorso ad Atene.
Atene sapeva bene il grave pericolo di inviare una flotta a supporto di una città neutrale che era in conflitto con Corinto, alleata di Sparta. Atene, infine, decise di inviare una piccola unità navale come deterrente che, secondo gli ordini di Pericle, non avrebbe ingaggiato battaglia se non fosse stata attaccata. Ciò fece infuriare i Corinzi che andarono a Sparta per chiedere supporto militare.
Gli Spartani si trovarono di fronte a un enorme dilemma. Se la Città avesse acconsentito a supportare l’offensiva di Corinto avrebbe dato ad Atene il pretesto per supportare Corcira e gli ateniesi avrebbero visto nelle azioni di Sparta un tentativo di ambire al titolo di prima potenza navale.
Se invece non fosse intervenuta avrebbe perso prestigio nelle cancellerie delle altre città greche, sue alleate e membri della Lega del Peloponneso.
Inoltre Spartani e Ateniesi erano in contrasto anche per la questione del cosiddetto “Decreto Megara”. La questione di Megara era legata a un decreto con cui Pericle, nel 432 a.C, emanò nei confronti della Città, colpevole di aver profanato i templi ateniesi e per aver dato asilo a schiavi fuggiti da Atene.
Il Decreto venne visto dagli Spartani come un affronto, che chiesero la sua revoca da parte di Pericle. Ma quest’ultimo, sapendo le reazioni dei suoi concittadini, negò la richiesta spartana. Il Decreto Megara può essere considerato come uno dei primi atti di guerra commerciale nella storia occidentale.
Questi eventi trascinarono le due fazioni e tutta la Grecia in una devastante guerra egemonica.
Il re spartano di allora, Archidamo II, amico intimo di Pericle, era cosciente che né Sparta né Atene avevano un chiaro vantaggio militare.
I falchi Spartani vedevano nelle azioni ateniesi un pericolo alla loro sicurezza e dopo la minaccia di Corinto, pronta ad abbandonare la Lega del Peloponneso se Sparta non fosse intervenuta, l’assemblea Lacedemone votò a favore dell’entrata in guerra.
Ad Atene Pericle, sapendo di non poter soddisfare le richieste spartane di ritirare la flotta ateniese da Corcira e di sciogliere il decreto nei confronti di Megara, sapendo inoltre che un suo passo indietro lo avrebbe reso politicamente debole, iniziò a progettare piani militari.
La guerra del Peloponneso vide Sparta vittoriosa, ma il conflitto fece esaurire le risorse militari ed economiche di entrambe le potenze elleniche.
La Grecia, senza le sue maggiori potenze politico-militari ed economiche si trovo indebolita e ben presto si trovò impotente dinanzi a una nuova potenza militare in ascesa: il Regno di Macedonia di Filippo II, padre di Alessandro il Grande.
Il dualismo tra Atene e Sparta come precursore del bipolarismo
Prima che si sviluppassero le tensioni che portarono allo scontro tra gli Ateniesi e gli Spartani le due città stato greche si erano di fatto accordate per separare in due zone d’influenza politico-militare il continente greco. La gestione delle proprie zone avveniva secondo due schemi separati. Sparta consolidava il proprio dominio con alleanze militari ed evitava di intervenire negli affari interni delle sue città alleate e di esportare il suo modello governativo, modello che metteva assieme un sistema di governo monarchico e un sistema oligarchico. In questo modo Sparta fuggiva a possibili contrasti con i suoi alleati, concentrando le proprie forze nella prevenzione di ribellioni. Sparta era una potenza egemone ma incline alla conservazione dello status quo.
Contrariamente Atene iniziò a dimostrare una inclinazione all’espansione militare e commerciale. Se Sparta era orgogliosa di conservare il proprio retaggio culturale di società militare e di Stato-Guarnigione, Atene era al contrario una società aperta e incline al commercio.
La guerra contro l’Impero Persiano e la definitiva sconfitta delle forze persiane nel 479 a.C dimostrarono le capacità navali ateniesi e il potenziale bellico terrestre spartano, reso famoso dalla Battaglia delle Termopili del 480 a.C, in cui 300 guerrieri scelti riuscirono a tenere a bada l’avanzata nemica abbastanza a lungo da far mobilitare le forze delle restanti città della Grecia.
In poco tempo Atene ebbe un periodo di forte crescita economica, in cui iniziò ad allestire un imponente flotta militare.
Contemporaneamente la Città decise di riorganizzare la propria rete di alleanze difensive, costituite come deterrenza anti-persiana, trasformandole effettivamente in un impero marittimo dove gli alleati vennero obbligati a rinunciare alle proprie flotte e a pagare tributi in oro ad Atene per garantirsi la protezione. Alcuni, come la città di Nasso, tentarono di sottrarsi ma vennero repressi brutalmente da spedizioni punitive.
La rete commerciale consolidò i legami economici tra le città dell’“Impero Ateniese”.
L’espansione di Atene venne vista dalle altre città greche, in certi casi, con risentimento e invidia; ma gli Ateniesi, dal loro punto di vista, videro la propria egemonia oltre i confini del Peloponneso. Per i capi ateniesi, Atene era legittimata ad interferire negli affari interni delle altre città, rovesciare governi oligarchici per costituire regimi democratici filo-Atene: tutte queste erano viste come azioni legittime e necessarie. In queste azioni gli Spartani videro in Atene ambizioni pericolose che miravano a ribaltare l’ordine dualistico costituito.
Nel 446 a.C, prima della guerra, Atene e Sparta si accordarono con un trattato che legittimava le relazioni tra gli ateniesi e gli spartani istituendo un sofisticato sistema di sicurezza che mantenne la stabilità politica in Grecia. Il trattato vietava ai membri delle rispettive alleanze di cambiare schieramento e di non interferire negli affari delle rispettive sfere d’influenza.
Nel trattato Atene e Sparta si erano accordate di affrontare possibili controversie con incontri bilaterali e, se non fossero riusciti a giungere ad un accordo, le due parti avrebbero dovuto risolvere il contenzioso attraverso un arbitrato, coordinato da una parte neutrale (es Oracolo di Delfi). L’accordo riconobbe Atene come legittimo interlocutore.
La pace diede il vantaggio a Sparta e Atene di concentrare le proprie risorse nelle rispettive sfere d’influenza. Sparta ridusse le proprie spese militari e consolidò le alleanze con Corinto, Megara e Tebe, città fedeli a Sparta e dislocate alle porte di Atene.
Atene al contrario mantenne la propria flotta in attività nel Mar Egeo, continuando a riscuotere i tributi in oro dalle sue città alleate, accumulando una riserva strategica di circa 6.000 talenti d’oro a cui si aggiungevano 1.000 talenti di rendita annuale (Allison 2018). La fragile stabilità del sistema bipolare Atene-Sparta si infranse sui casi di Corcira e Megara. Essi portarono al conflitto e alla rovina le due maggiori potenze della penisola ellenica in modo irreversibile.
Cina vs Stati Uniti: i possibili scenari
Diverse analisi hanno tentato di affrontare il delicato tema delle relazioni bilaterali sino-statunitensi e di delineare alcuni scenari. Tra queste un’analisi della Fitch Solutions “U.S.-China Relations: Four Scenarios to 2030” ha sintetizzato quattro diversi scenari geopolitici sulla competizione tra Stati Uniti e Cina nella regione Indo-pacifica.
Primo scenario: Power-Sharing
Il primo scenario prevede un possibile compromesso tra Pechino e Washington, con l’obiettivo di attuare un Power-Sharing (denominato G2).
In questa simulazione le due leadership politiche dovrebbero avere il coraggio di applicare una nuova rinascita delle proprie relazioni bilaterali, in cui evitare blocchi commerciali e dazi sia da parte cinese sia da parte statunitense, per iniziare un percorso di integrazione dei Paesi dell’Asia nella regione asiatica del Pacifico e dell’Indo-Pacifico.
Negli affari politico-militari una futura cooperazione sino-americana porterebbe alla stabilizzazione della regione con successiva esclusione di crisi internazionali nell’area del Mar Cinese Meridionale. La collaborazione Cina-Stati Uniti garantirebbe la realizzazione di un’organizzazione regionale riguardante le questioni di sicurezza che includerebbe il grosso dei Paesi. Ciò creerebbe il cosiddetto “Concerto asiatico”, costituito da Cina, India, USA e Giappone, modellato su quello europeo, nato nel 1815 con il Congresso di Vienna che durò fino al 1914.
Lo scenario porterebbe a una disgregazione delle attuali alleanze regionali.
Inoltre la Cina dovrebbe accettare la permanenza statunitense nel Pacifico come potenza egemone, mentre Washington sarebbe costretta a legittimare de facto la Cina come Grande potenza della regione asiatica del Pacifico, una situazione che sarebbe difficilmente legittimata dalla leadership politica statunitense.
Secondo scenario: egemonia cinese sul continente asiatico
Il secondo scenario vede un’eventuale egemonia di Pechino su tutto il continente asiatico ma solamente a certe condizioni.
In primis la Cina dovrebbe sperare che venga eletto un presidente statunitense con tendenze isolazioniste e in grado di tollerare una possibile espansione cinese nel Pacifico e nel continente asiatico, con conseguente riduzione della presenza militare statunitense. Ciò porterebbe ad un aumento aggressivo delle attività militari cinesi nella regione e un dispiegamento militare cinese negli Stati asiatici.
In seguito Pechino inizierebbe a effettuare una forte integrazione economico-finanziaria, espandendo le attività delle organizzazioni finanziarie cinesi come la Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB), portando gli Stati ad allinearsi alla volontà di Pechino in seguito a un’espansione economica e tecnologica.
Una dominazione egemonica cinese costringerebbe i Paesi a collegare il loro apparato economico con quello dominante di Pechino, mettendo lo Yuan come moneta di riferimento.
L’egemonia però dovrebbe mettere in accordo non solo una possibile riduzione del dispositivo militare statunitense dalla regione ma anche avere il consenso da parte del governo giapponese in cui dovrebbe applicare il “modello finlandese”: legittimare il dominio egemonico cinese evitando adesioni del Giappone in alleanze politico-militari sia di Pechino sia di Washington.
Diverso discorso per l’India che potrebbe diventare il nuovo fulcro anti-cinese assieme ad Indonesia, Australia e in secondo piano la Russia, restando fuori dalla sfera d’influenza di Pechino.
Un scenario come questo, dove l’egemonia di Pechino causerebbe un forte flusso migratorio cinese verso i territori dell’estremo oriente russo e dove si vedrebbe anche una possibile espansione cinese in Asia Centrale, considerata ancora oggi da Mosca sua zona d’influenza, porterebbe la Russia nel campo dei detrattori verso Pechino.
Oltretutto la Belt and Road Iniziative potrebbe causare una forte espansione cinese in Medio oriente e in Africa, con successivo dispiegamento massiccio di forze militari cinesi. (La base militare cinese di Gibuti è il primo tassello della strategia cinese).
Terzo scenario: rinascita americana
Nel terzo scenario si potrebbe realizzare un declino economico e politico della Cina, con conseguenza rinascita statunitense.
Qui gli Stati Uniti comprendono la pericolosità dell’espansione cinese in ambito geo-economico ed attuano strategie atte a controbilanciare l’aggressività di Pechino.
Le misure prese mettono in crisi il sistema economico di Pechino, influenzando gli altri Paesi che rifiuterebbero di integrarsi in profondità con l’economia cinese.
La crisi economica costringe Pechino a rivalutare le proprie ambizioni, e ciò mette la legittimità del Partito Comunista Cinese in forte discussione, costringendo il governo cinese ad adottare politiche nazionalistiche e una retorica patriottica in politica estera. Questo però non frenerebbe la pesante crisi economica cinese, che andrebbe a distruggere il modello cinese del mono-partitismo del PCC e del capitalismo di stato.
Infine la Cina, costretta dalla crisi economica, subisce una sconfitta pesantissima in una battaglia navale “limitata” contro le forze navali statunitensi, mettendo la parola fine alle ambizioni egemoniche cinesi.
Il ridimensionamento cinese favorisce nuovamente l’ascesa egemonica russa con il successivo deterioramento delle relazioni russo-cinesi in Asia Centrale e nel Nord-est del continente asiatico, dove Mosca diviene il principale contrappeso a discapito di Pechino.
Quarto scenario: nuova guerra fredda
Nel quarto ed ultimo scenario Cina e Stati Uniti vivono in uno status di nuova “Guerra Fredda”.
Le due potenze si stuzzicano con pericolose manovre militari nel mar Cinese Meridionale e nel Mar Cinese orientale; la Cina rafforza la sua influenza egemonica sui Paesi asiatici incorporandoli nella sua sfera d’influenza, istituendo nuove organizzazioni e consolidando quelle esistenti.
Come risposta Washington incomincia ad istituire proprie organizzazioni asiatiche come una “NATO asiatica”. Ciò accresce il conflitto e la pressione tra Washington e Pechino mettendo i Paesi che rimangono neutrali ai due schieramenti in una posizione delicata. Washington incomincia ad appoggiare i movimenti separatisti del Tibet, Xinjiang e Hong Kong appoggiando diplomaticamente le rivolte che scoppiano nei confronti del governo cinese.
La Cina risponde appoggiando gruppi anti-americani e golpe militari filo-cinesi nei Paesi asiatici, confrontandosi in proxy war (guerre di procura) con Washington in Africa, nella regione mediorientale e in Myanmar.
È difficile prevedere quali di questi scenari si realizzeranno nel lungo periodo ma lo scontro commerciale è appena cominciato.
Francesco Cirillo segue come aree di studio e di ricerca la Russia, l’Asia centrale, il Medio oriente e l’ Asia. Ho fatto parte del gruppo di lavoro iniziale che ha consentito la nascita di “Starting Finance” di cui ora sono membro effettivo e dove ricopre il ruolo di Responsabile Staff della Redazione. Al momento ricopre anche il ruolo di Vicepresidente dello Starting Finance Club Roma Tre. Scrive per diverse testate di settore ed ha al suo attivo molte pubblicazioni