La rivoluzione del Desktop Publishing

Il tris vincente: Mac, Page Maker, PostScript

Mario Mancini
10 min readOct 20, 2020

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Una videata del mitico PageMaker

Il lancio della LaserWriter nel 1985

La LaserWriter fu presentata con grande successo all’assemblea annuale degli azionisti di Apple del 23 gennaio 1985. Steve Jobs ne mostrò, da par suo, le meraviglie. E in effetti non fu difficile farlo.

Tra il pubblico c’erano tutti i 27 dipendentidi Adobe che erano andati al Flint Center di Cupertino per assistere alla presentazione. Finalmente le persone che vi avevano lavorato nell’oscurità potevano valutare la reazione del pubblico. E la reazione ci fu, eccome. E fu enorme

“Non si poteva uscire dalla sala senza avere la sensazione di avere fatto qualcosa di grande”, ricorda Dan Putman, dipendente Adobe # 2.

Il LaserWriter costava 6.995 dollari in valori attuali, ma era incredibilmente economica rispetto alle stampanti laser IBM e Xerox dell’epoca, che avevano un prezzo da tre a dieci volte superiore. Inoltre, la LaserWriter aveva un ingrediente speciale: il PostScript. Immediatamente, gli analisti scorsero nell’output della LaserWriter, una qualità unica per la sua fascia di prezzo, una “qualità quasi tipografica”.

Sotto i riflettori

Con il rilascio della LaserWriter, Adobe Systems entro sotto i riflettori dei media. I due fondatori furono inondati di richieste di interviste per spiegare perché il secondo più grande produttore di computer al mondo, la Apple, aveva scommesso il suo futuro su una startup sconosciuta.

A pochi giorni dal debutto pubblico della LaserWriters, Warnock volò sulla costa orientale per introdurre il Macintosh Office agli operatori di New York.

Affiancato da Jobs, dal presidente di Linotype Wolfgang Kummer e dal cofondatore dell’ITC Aaron Burns, Warnock descrisse il PostScript come il collante che avrebbe tenuto insieme tutto il sistema editoriale degli uffici.

Alla conferenza stampa, Adobe annunciò due ulteriori partnership: una con Linotype per sviluppare fotounità PostScript ad alta risoluzione e una seconda con ITC per la concessione in licenza di ulteriori caratteri tipografici, tra cui ITC Bookman, ITC Avant Garde Gothic e ITC Zapf Chancery.

Grazie alla LaserWriter, la prima stampante PostScript al mondo, la Apple divenne, secondo Jobs, la più grande azienda di stampanti al mondo.

… ma il Mac stenta

Nei mesi successivi alla sua introduzione, Macintosh Office si fermò a mezz’aria. Sebbene Adobe e la LaserWriter dotata di PostScript entusiasmassero i consumatori, Apple e il Macintosh erano sotto accusa per la mancanza di potenza di calcolo e di espandibilità del computer.

Le vendite del Mac erano lente. A metà estate 1985 precipitarono. La disputa interna alla Apple tra Jobs e Sculley aveva il suo peso sui risultati della società di cupertino e, come sappiamo, arrivò la estromissione di Jobs. A questo punto Warnock e Geschke, i due fondatori di Abobe, pensarono che la Apple sarebbe presto fallita. E non erano gli unici. Lo era anche il mentore di Jobs, Andrew Grove capo di Intel, che dichiarò “I don’t give a shit for Apple”. Grove aveva scritto un libro che molti consideravano la Bibbia della Silicon Valley, Only the Paranoid Survive.

Ciò che serviva adesso a tutto il gruppo che aveva inventato la LaserWriter era una “killer app” che mostrasse la forza dell’interfaccia grafica utente del Mac che le capacità di elaborazione e stampa del PostScript. Ciò che serviva era PageMaker. E arrivò!

Arriva il PageMaker, la killer app

Il PageMaker era un nuovo tipo di programma: in parte word processor, parte tool grafico e soprattutto software visuale di montaggio di testo e grafica.

Modellato sui programmi di impaginazione usati nella produzione di giornali, PageMaker permetteva agli utenti di impaginare a video testo e grafica, mettere il testo su colonne multiple, usare caratteri tipografici in varie dimensioni e stili. Fino ad allora si usava un tavolo da montaggio e un cutter per unire manualmente testo e grafica riprodotti su una pellicola fotografica. Un processo laborioso e dispendioso.

PageMaker è nato da un’idea di Paul Brainerd, un ex giornalista che si è trovato per strada dopo che il produttore di sistemi informatici per giornali, Atex, ha chiuso la società affiliata che operava vicino a Seattle.

Brainerd formò quindi la Aldus Corporation — dal nome dello stampatore veneziano Aldo Manuzio che è il padre dell’industria moderna della stampa — per sviluppare un programma di impaginazione per giornali basato su microcomputer.

I giornali, però, non erano interessati a PageMaker, ma accadde una sorta di combinazione astrale. Il consulente editoriale Jonathan Seybold, che conosceva il fondatore di Aldus da quando era alla Atex, ebbe un’idea. Seybold aveva già visto le potenzialità dell’accoppiata Macintosh-PostScript.

“Quando ho visto quello che aveva fatto Paul, gli ho detto: ‘Devi parlare con Apple’, e l’ho messo in contatto con i product manager del Macintosh e del LaserWriter”, ricorda Seybold, che fin dagli anni settanta lavorava sull’idea della combinazione tra il personal computer e il lavoro grafico-editoriale.

“L’ultimo pezzo mancante di questo puzzle era il software”, ricorda Seybold.

Il tris d’assi

Brainerd si recò in Apple e poi in Adobe a metà del 1984. Ha un vivido ricordo della prima volta che entrò nell’ufficio di Palo Alto di John Warnock. “La prima cosa che vidi fu una pagina della Bibbia di Gutenberg appesa alla parete. Ho capito subito che apprezzava l’arte e il mestiere della stampa”, ricorsa Brainerd.

Ora c’erano tutti gli strumenti per avviare un nuovo modo di pubblicare. Disporre di un software come PageMaker per progettare e produrre pagine sul Macintosh per poi stamparle tal quali sulla LaserWriter, era come avere un’intera casa editrice sul proprio tavolo di lavoro.

Brainerd inventò anche il nome di questa nuova editoria: “desktop publishing”.

“Quando Aldus stava sviluppando il software, il product manager John Scull mi ha mostrato una lista di cinque proposte di nomi per la nascente industria”, ricorda Seybold, “e io ho detto che mi piaceva ‘desktop publishing’. Scull ha detto che anche Paul preferiva questa denominazione. Quindi è così che l’abbiamo chiamato”.

“È in questo modo che si decidevano le cose a quei tempi”, aggiunge Seybold. “Come tutti gli inizi delle rivoluzioni, non c’erano molte persone a farne parte. Si decideva tra di noi”.

La Apple sotto la guida di Sculley, secondo Brainerd, era riluttante a mettere risorse significative nella LaserWriter. La stampante era troppo difficile da vendere e troppo costosa rispetto alla nuova stampante LaserJet della Hewlett-Packard.

La LaserJet, sebbene non avesse il PostScript, era posizionata da HP come competitor della LaserWriter e costava diverse migliaia di dollari in meno. Inoltre, Apple vedeva nell’editoria un’opportunità di business limitata e rischiosa, sulla quale non ci si poteva focalizzare in modo consistente. Presto si sarebbe capito che Sculley si sbagliava.

Le stampanti intelligenti

PageMaker è stata l’applicazione perfetta per esaltare il potenziale del Macintosh come strumento di pubblicazione e la potenza del PostScript come nuovo paradigma di stampa.

Prima del LaserWriter, le stampanti erano dispositivi passivi: facevano semplicemente quello che il computer host gli diceva di fare. Poiché i computer avevano una memoria e una potenza limitata, le righe di testo erano tutto ciò che potevano gestire. La grafica era troppo pesante per la capacità del processore e della memoria di un personal computer. Per le immagini c’erano delle postazioni dedicate di lavoro di grafica computerizzata, che riproducevano le fotografie e la grafica su pellicole prodotte da un’unità di fotocomposizione.

Il PostScript, invece, rendeva le stampanti intelligenti e rendeva obsolete le stampanti che riproducevano semplici sequenze di caratteri. In effetti, la stampante PostScript era un computer con una propria specifica unità di calcolo e di elaborazione.

Adobe progettò schede di controllo della stampante che contenevano dei microprocessori con il linguaggio PostScript integrato.

Questi “cervelli” interpretavano le istruzioni al volo, trasformando il codice in caratteri, linee e cerchi, ed eseguendo istruzioni per scalare un font o ruotare un grafico. La gestione di così tanti calcoli richiedeva un processore adeguato. Infatti la LaserWriter era dotata di una potenza di elaborazione superiore ai primi modelli di Macintosh.

Nasce una nuova industria

Infine, Apple ha deciso di lanciare una campagna da 1 milione di dollari per promuovere il concetto di desktop publishing. All’inizio del 1985, Warnock, Geschke e Brainerd si misero in strada per fare proselitismo per il loro tris d’assi: PageMaker, Macintosh e PostScript. Poiché il PostScrip era ancora in fase di sviluppo, le pagine venivano accuratamente preparate in MacPaint e MacDraw (due programi di grafica de Mac) per mostrare agli analisti, ai media e ai potenziali clienti com’era fatto un layout prodoto dal PageMaker.

PageMaker fu rilasciato al pubblico nel luglio 1985. Nel giro di una notte, è nata un’industria — con Aldus come protagonista principale — che ha dato anche nuova linfa al Mac e ha posto Adobe come protagonista di una rivoluzione che non si era vista dai tempi di Gutenberg. Due anni dopo l’industria del desktop publishing era un business multimilionario.

“Non ce lo saremmo mai aspettato”, racconta Warnock. “Eravamo nel posto giusto al momento giusto, quando tutte queste tecnologie stavano convergendo. Se fossimo stati in grado di pianificare tutto questo, allora qualcosa sarebbe andato di sicuro storto”.

“Ci sono volute delle persone speciali per fare questo: Ci sono voluti John Warnock e Chuck Geschke, perché il PostScript è stato un enorme passo avanti; c’è voluto Steve Jobs con la sua visione olistica; e c’è voluto qualcuno come Paul Brainerd, che aveva perduto il lavoro e poteva fare le cose in modo radicalmente diverso”, dice Seybold. “Di conseguenza, il desktop publishing cambiò il modo in cui le persone comunicavano e trasformò l’intera componente visuale della comunicazione. Con il PostScript, dispositivi di output ad alta risoluzione e programmi come PageMaker, si potevano fare cose che non si erano mai fatte prima. Era stupefacente”, conclude Sybold.

Le Linotronic 100 e 500

Il volantino illustrativo della Linotronic 300 e 500, le due laser imagesetter della Linotype pilotate dal linguaggio PostScript

Anche se le vendite di PageMaker e della LaserWriter decollarono, gli stampatori e il mondo dell’industria grafica tradizionale e dell’editoria erano bel lungi dall’essere conquistati. Il Macintosh non era abbastanza potente per o professionisti e la qualità di stampa della LaserWriter non era abbastanza buona. L’output della LaserWriter era ritenuto adeguato per le bozze, ma la qualità non era certamente neppure “quasi tipografica” o “camera ready”. Né i nuovi sistemi desktop offrivano la varietà di famiglie di caratteri disponibili nel mondo della stampa professionale e dei designer.

Era paragonata dai detrattori alla qualità delle newsletter parrocchiali. Ma diversi eventi misero a tacere questi detrattori. Fu la partnership tra Adobe e Linotype a farlo.

La partnership di Adobe con Linotype si concretizzò nella primavera del 1985 con l’introduzione delle fotounità Linotronic 100 e 300 basate sul linguaggio PostScript. Le due unità di stampa offrivano una risoluzione, rispettivamente, di 1.270 dpi e 2.540 dpi. Ora l’output PostScript rivaleggiava con quello prodotto dalle tecnologie di pre-stampa tradizionali.

Questa capacità di competere con la tipografia tradizionale è stata la chiave del successo di Adobe, dice Frank Romano, un osservatore del settore e ora professore di editoria digitale al Rochester Institute of Technology. “Ciò che ha fatto il successo di Adobe è stata la scelta di operare sulla fascia alta, e una volta che si controlla la fascia alta si controlla tutto ciò che si trova al di sotto di essa”, dice Romano. “Quando sei sulla gamma bassa, è molto più difficile salire verso l’alto”.

L’impatto sul mondo della stampa

La pubblicità di uno dei primi service, Il TechArt di San Francisco, ad offrire l’output su una laser imagesetter delle composizioni grafiche realizzate con il Mac e con PageMaker.

L’impatto del PostScript sul mondo della stampa è stato dirompente al pari del suo impatto sul lavoro d’ufficio, se non di più. Il settore della composizione tipografica era un’industria chiusa e con profonde radici storiche, all’interno della quale pochi fornitori custodivano gelosamente le loro tecnologie. I loro sistemi proprietari consistevano in sistemi dedicati in cui gli operatori inserivano stringhe di codice binario. Ogni produttore di macchine per la composizione tipografica aveva la propria libreria di caratteri, specifica per quella macchina.

Le font di un fornitore non funzionavano sul sistema di un altro. Un cliente quando acquistava un sistema vi rimaneva intrappolato a vita. Aggiornare un dispositivo di composizione tipografica significava acquistare una nuova e costosa stazione di lavoro.

Era un business redditizio e ferocemente competitivo con le sue radici secolari e Adobe era una minaccia per lo status quo. “La maggior parte dei produttori di sistemi di fotocomposizione non voleva prestare alcuna attenzione alla nostra tecnologia”, ricorda l’ex vicepresidente delle vendite e del marketing di Adobe, Steve MacDonald. “Linotype ha avuto la visione, ha corso il rischio e ha vinto”.

I vantaggi del nuovo sistema

La Linotronic dotata di PostScript fece saltare le porte di un’industria chiusa. Grazie alla capacità del PostScript di stampare testo e grafica sulla stessa pagina, le macchine non si chiamavano più unità di fotocomposizione, ma imagesetter, cioè unità di elaborazione di immagini. Un software, chiamato Raster Image Processor (RIP) — il cervello dell’imagesetter –, rasterizzava la grafica vettoriale e i caratteri alla risoluzione massima dell’imagesetter.

Una tale configurazione fece sì l’aggiornamento dei sistemi consistesse nell’installare un nuovo software RIP. Non si doveva più acquistare daccapo un hardware interamente nuovo.

Questi sistemi aperti, insieme all’output indipendente dal dispositivo, hanno costituito la spina dorsale della rivoluzione del desktop publishing. Il Macintosh rappresentava l’idea di usare i computer per comunicare, non solo per la computazione e il PageMaker permetteva la creazione di documenti visivamente ricchi, ma era il PostScript che teneva tutto insieme.

Era, come spesso lo descrivevano Warnock e Geschke, il “collante” del desktop publishing. “Il PostScript senza gli altri avrebbe avuto un suo senso”, dice Seybold. “Ma il PostScript era indispensabile per gli altri due”.

La stampa ad alta risoluzione è stata solo una delle strade attraverso le quali Adobe ha permesso di superare i sistemi editoriali tradizionali. Lo ha fatto anche con la Adobe Type Library, cioè una libreria di caratteri che presto avrebbe rivaleggiato con quella di qualsiasi fonderia di font del mondo.

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Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.