La questione vaticana e il regno d’Italia

La legge delle guarentigie (13 maggio 1871)

Mario Mancini
8 min readMar 17, 2020

Vai agli altri capitoli del libro “Documenti storici”

L’entrata delle truppe del generale Cadorna a Roma il 20 settembre 1870 segnò la fine del potere temporale dei papi. L’annessione delle nuove province al regno d’Italia venne sanzionata da un plebiscito che diede i seguenti risultati: iscritti a votare 167.000, favorevoli all’annessione 133.000, contrari 1.500. Ma il plebiscito non risolveva, naturalmente, tutti i problemi: occorreva, anzitutto, sistemare i rapporti fra la Chiesa e il regno d’Italia.

E a questo fine il governo approntò un disegno di legge, che venne poi modificato dalla commissione della Camera dei deputati incaricata di esaminarlo, del quale fu relatore Ruggero Bonghi. La legge venne divisa in due parti: nella prima, dedicata alle Prerogative del Sommo Pontefice e della Santa Sede, lo Stato italiano garantiva la massima libertà al pontefice nelle sue relazioni con il mondo cattolico e alla Chiesa per lo svolgimento della sua missione spirituale. Pari libertà era assicurata ai conclavi e ai concili ecumenici.

L’attentato contro la persona “sacra e inviolabile” del pontefice era punito con le stesse pene stabilite per l’attentato contro il re. La proprietà piena dei palazzi apostolici Vaticano e Lateranense e della villa di Castel Gandolfo era riconosciuta alla Santa Sede, a favore della quale veniva stabilita una rendita annua di lire 3.225.000 pari a quella iscritta nel bilancio pontificio «sotto il titolo: Sacri palazzi apostolici, Congregazioni ecclesiastiche, Segreteria di Stato ed Ordine diplomatico all’estero».

Nella seconda parte, dedicata alle Relazioni dello Stato con la Chiesa, i legislatori si ispirarono al principio separatistico cavouriano, abbandonando quasi del tutto ogni pretesa giurisdizionalistica, rinunciando al placet (consenso dello Stato alla pubblicazione di un decreto pontificio) e all’exequatur (permesso dello Stato all’esecuzione di un decreto pontificio) nonché al giuramento dei vescovi al re.

La legge delle Guarentigie venne discussa alla Camera tra il 23 gennaio e il 21 marzo 1871, passò poi al Senato e, infine, il 13 maggio fu promulgata dal re.

Alla legge si opposero sia i clericali, perché essa, a loro avviso, sanzionava la violenta spoliazione subita dal pontefice, sia i giurisdizionalisti (come Pasquale Stanislao Mancini) perché lo Stato aveva rinunciato alle sue armi tradizionali (come il placet e l’exequatur) nei confronti della Chiesa. Questa, poi, che già con l’enciclica Respicientes, del 1° novembre 1870, aveva ribadito la decisa volontà di conservare il potere temporale e lanciato la scomunica maggiore contro quanti avevano attuato o favorito “l’usurpazione”, subito dopo la promulgazione della legge delle Guarentigie, ebbe (enciclica Ubi nos, del 15 maggio 1871) durissime espressioni verso i governanti italiani:

«Riteniamo essere dovere del Nostro ufficio… dichiarare… che non soltanto quelle che sono chiamate garenzie… ma qualsivoglia altro titolo, onore, immunità e privilegio… in nessun modo possa valere ad affermare come libero ed indipendente l’uso della potestà affidata a Noi da Dio a proteggere la necessaria libertà della Chiesa… Il civile principato della Santa Sede è stato dato al Romano Pontefice per singolare consiglio della Provvidenza, e… esso è necessario affinché lo stesso Romano Pontefice, non soggetto giammai a nessun Principe o civile Potestà, possa, con pienissima libertà, esercitare in tutta la Chiesa la suprema potestà ed autorità, ricevuta per volontà divina da Cristo Signore…».

Il testo che si riproduce è tratto da A. C. Jemolo, La questione romana, Milano, Ispi, 1938, pp. 108–14.

Sul periodo in generale cfr. E. Tagliacozzo, Il quindicennio della Destra (1861-1876), in Storia d’Italia a cura di N. Valeri, vol. IV, (pp. 227-368). In particolare cfr. F. Scaduto, Guarentigie pontificie e relazioni tra Stato e Chiesa. Storia, esposizione, critica e documenti, 2a ed., Torino, 1889; A. C. Jemolo, Stato e Chiesa in Italia negli ultimi cento anni, cit.; F. Fonzi, Stato e Chiesa in Nuove questioni del Risorgimento e dell’unità d’Italia, vol. II, Milano, Marzorati, 1961 (pp. 325-88 con ricca bibliografia), A. Berselli, La destra storica dopo l’Unità, Bologna, Il Mulino, 1963, voll. 2.

TITOLO I
«Prerogative del Sommo Pontefice e della Santa Sede».

Art. 1. — La persona del Sommo Pontefice è sacra ed inviolabile.

Art. 2. — L’attentato contro la persona del Sommo Pontefice e la provocazione a commetterlo sono puniti colle stesse pene stabilite per l’attentato e per la provocazione a commetterlo contro la persona del Re.
Le offese e le ingiurie pubbliche commesse direttamente contro la persona del Pontefice con discorsi, con fatti, o coi mezzi indicati nell’art. 1° della legge sulla stampa, sono punite colle pene stabilite àll’art. 19 della legge stessa.
I detti reati sono d’azione pubblica e di competenza della Corte d’Assise.
La discussione sulle materie religiose è pienamente libera.

Art. 3, — Il Governo italiano rende al Sommo Pontefice, nel territorio del Regno, gli onori sovrani; e gli mantiene le preminenze d’onore riconosciutegli dai Sovrani cattolici.
Il Sommo Pontefice ha facoltà di tenere il consueto numero di guardie addette alla sua persona ed alla custodia dei palazzi, senza pregiudizio degli obblighi e doveri risultanti per tali guardie dalle Leggi vigenti nel Regno.

Art. 4. — È conservata a favore della Santa Sede la dotazione dell’annua rendita di L. 3.225.000
Con questa somma, pari a quella iscritta nel bilancio sotto il titolo: Sacri palazzi apostolici, Sacro Collegio, Congregazioni ecclesiastiche, Segreteria di Stato ed Ordine diplomatico all’estero, s’intenderà provveduto al trattamento del Sommo Pontefice ed ai vari bisogni ecclesiastici della Santa Sede, alla manutenzione ordinaria e straordinaria, e alla custodia dei palazzi apostolici e loro dipendenze; agli assegnamenti, giubilazioni e pensioni delle guardie, di cui nell’articolo precedente e degli addetti alla Corte Pontificia, ed alle spese eventuali; non che alla manutenzione ordinaria ed alla custodia degli annessi Musei e Biblioteca, e agli assegnamenti, stipendi e pensioni di quelli che sono a ciò impiegati.
La dotazione di cui sopra sarà inscritta nel Gran Libro del Debito Pubblico, in forma perpetua ed inalienabile nel nome della Santa Sede; e durante la vacanza della Sede si continuerà a pagarla per supplire a tutte le occorrenze proprie della Chiesa romana in questo intervallo.
Essa resterà esente da ogni specie di tassa ed onere governativo, comunale o provinciale; e non potrà essere diminuita neanche nel caso che il Governo italiano risolvesse posteriormente di assumere a suo carico la spesa concernente i Musei e la Biblioteca.

Art. 5. — Il Sommo Pontefice, oltre la dotazione stabilita nell’articolo precedente, continua, a godere dei palazzi apostolici, Vaticano e Lateranense, con tutti gli edifizii, giardini e terreni annessi e dipendenti, nonché della villa di Castel Gandolfo con tutte le sue attinenze e dipendenze.
I detti palazzi villa ed annessi, come pure i Musei, la Biblioteca e le collezioni d’arte e d’archeologia ivi esistenti, sono inalienabili, esenti da ogni tassa o peso e da espropriazioni per causa di utilità pubblica.

Art. 6. — Durante la vacanza della Sede Pontificia nessuna Autorità giudiziaria o politica potrà, per qualsiasi causa, porre impedimento o limitazione alla libertà personale dei Cardinali.
Il Governo provvede a che le adunanze del Conclave e dei Concili ecumenici non siano turbate da alcuna esterna violenza.

Art. 7. — Nessun uffiziale della pubblica Autorità od agente della forza pubblica può, per esercitare atti del proprio ufficio introdursi nei palazzi e luoghi di abituale residenza o temporaria dimora del Sommo Pontefice, o nei quali si trovi radunato un Conclave o un Concilio ecumenico, se non autorizzato dal Sommo Pontefice, dal Conclave o dal Concilio.

Art. 8. — È vietato di procedere a visite, perquisizioni o sequestri di carte, documenti, libri e registri negli Uffici e Congregazioni pontificie rivestiti di attribuzioni meramente spirituali.

Art. 9. — Il Sommo Pontefice è pienamente libero di compiere tutte le funzioni del suo ministero spirituale e di fare affiggere alle porte delle basiliche e chiese di Roma tutti gli atti del suddetto suo ministero.

Art. 10. — Gli ecclesiastici che per ragione d’ufficio partecipano in Roma all’emanazione degli atti del ministero spirituale della Santa Sede non sono soggetti, per cagione di essi, a nessuna molestia, investigazione o sindacato dell’Autorità pubblica.
Ogni persona straniera investita di ufficio ecclesiastico in Roma gode delle guarentigie personali competenti ai cittadini italiani in virtù delle Leggi del Regno.

Art. 11. — Gli inviati dei Governi esteri presso Sua Santità godono nel Regno di tutte le prerogative ed immunità che spettano agli agenti diplomatici secondo il diritto internazionale.
Alle offese contro di essi sono estese le sanzioni penali per le offese agli inviati delle Potenze estere presso il Governo italiano.
Agli inviati di Sua Santità presso i Governi esteri sono assicurate, nel territorio del Regno, le prerogative ed immunità d’uso, secondo lo stesso diritto, nel recarsi al luogo di loro missione e nel ritornare.

Art. 12. — Il Sommo Pontefice corrisponde liberamente coll’Episcopato e con tutto il mondo cattolico, senza veruna ingerenza del Governo italiano.
A tal fine gli è data facoltà di stabilire nel Vaticano, o in altra sua residenza, uffizi di posta e di telegrafo, serviti da impiegati di sua scelta.
L’ufficio postale pontificio potrà corrispondere direttamente in pacco chiuso cogli uffizi postali di cambio delle estere Amministrazioni, o rimettere le proprie corrispondenze agli uffici italiani. In ambo i casi, il trasporto dei dispacci e delle corrispondenze munite del bollo dell’uffizio pontificio sarà esente da ogni tassa o spesa pel territorio italiano.
I corrieri spediti in nome del Sommo Pontefice sono pareggiati nel Regno ai corrieri di Gabinetto dei Governi esteri.
L’uffizio telegrafico pontificio sarà collegato colla rete telegrafica del Regno a spese dello Stato.
I telegrammi trasmessi dal detto uffizio con la qualifica autenticata di pontefici saranno ricevuti e spediti con le prerogative stabilite pei telegrammi di Stato e con esenzione da ogni tassa nel Regno.
Gli stessi vantaggi godranno i telegrammi del Sommo Pontefice, o firmati d’ordine suo, che, muniti del bollo della Santa Sede, verranno presentati a qualsiasi uffizio telegrafico del Regno.
I telegrammi diretti al Sommo Pontefice saranno esenti dalle tasse messe a carico dei destinatari.

Art. 13. — Nella città di Roma e nelle sei sedi suburbicarie i Seminari, le Accademie, i Collegi e gli altri Istituti cattolici fondati per la educazione e coltura degli ecclesiastici continueranno a dipendere unicamente dalla Santa Sede, senza alcuna ingerenza delle autorità scolastiche del Regno.

TITOLO II
«Relazioni dello Stato colla Chiesa».

Art. 14. — E abolita ogni restrizione speciale all’esercizio del diritto di riunione dei membri del clero cattolico.

Art. 15. — È fatta rinuncia dal Governo al diritto di Legazia apostolica in Sicilia ed in tutto il Regno al diritto di nomina o proposta nella collazione dei benefizi maggiori.
I Vescovi non saranno richiesti di prestare giuramento al Re.
I benefizi maggiori e minori non possono essere conferiti se non a cittadini del Regno, eccettochè nella città di Roma e nelle sedi suburbicarie.
Nella collazione dei benefizi di patronato regio nulla è innovato.

Art. 16. — Sono aboliti l’exequatur e placet regio ed ogni altra forma di assenso governativo per la pubblicazione ed esecuzione degli atti delle Autorità ecclesiastiche.
Però, fino a quando non sia altrimenti provveduto nella legge speciale di cui all’art. 18, rimangono soggetti all’exequatur e placet regio gli atti di esse Autorità che riguardano la destinazione dei beni ecclesiastici e la provvista dei benefizi maggiori e minori, eccetto quelli della città di Roma e delle sedi suburbicarie.
Restano ferme le disposizioni delle Leggi civili rispetto alla creazione e ai modi di esistenza degli Istituti ecclesiastici ed alienazione dei loro beni.

Art. 17. — In materia spirituale e disciplinare non è ammesso richiamo od appello contro gli atti delle Autorità ecclesiastiche, né è loro riconosciuta od accordata alcuna esecuzione coatta.
La cognizione degli effetti giuridici, così di questi come d’ogni altro atto di esse Autorità, appartiene alla giurisdizione civile.
Però tali atti sono privi di effetto se contrari alle leggi dello Stato od all’ordine pubblico, o lesivi dei diritti dei privati, e vanno soggetti alle Leggi penali se costituiscono reato.

Art. 18. — Con legge ulteriore sarà provveduto al riordinamento, alla conservazione ed alla amministrazione delle proprietà ecclesiastiche nel Regno.

Art. 19. — In tutte le materie che formano oggetto della presente legge cessa di avere effetto qualunque disposizione ora vigente, in quanto sia contraria alla legge medesima.
Ordiniamo che la presente, munita del sigillo dello Stato, sia inserita nella raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d’Italia, mandando a chiunque spetti di osservarla e farla osservare come legge dello Stato.

Fonte: Rosario Romeo e Giuseppe Talamo (a cura di), Documenti storici. Antologia, vol. II L’età conteporanea, Loescher, Torino, 1966.

--

--

Mario Mancini
Mario Mancini

Written by Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.

No responses yet