La politica di Francesco I

Relazione di Francia di Marino Giustiniano (1535)

Mario Mancini
11 min readDec 17, 2019

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Una legge della Repubblica veneta della seconda metà del secolo XIII imponeva agli ambasciatori di riferire al Senato sull’esito della loro missione con una relazione. L’importanza eccezionale di questo tipo di documentazione (che si inizia, però, soltanto con la fine del ’400 e gli inizi del secolo successivo) fu intesa per primo da Leopold von Ranke che utilizzò largamente nella sua Storia dei papi le relazioni degli ambasciatori veneti a Roma. Questa prima utilizzazione spinse Gino Capponi a progettare la pubblicazione delle altre relazioni esistenti, cioè anche di quelle degli ambasciatori della Serenissima a Vienna, a Parigi, a Madrid.

È accaduto talvolta che «l’innegabile apparenza di vita vera che esse (relazioni) risvegliano al confronto della storiografia accademica», come ha scritto il Fueter, abbia indotto gli storici che se ne servivano ad essere meno guardinghi nei loro confronti, quasi non potessero anche gli ambasciatori essere soggetti a volontarie o involontarie alterazioni dovute all’umano desiderio o di mettere in mostra se stessi e la loro opera ovvero di seguire e assecondare le tendenze e inclinazioni dei loro mandanti.

Il documento che appresso, in parte, si riporta è tratto dalla Relazione di Francia di Marino Giustiniano, che rimase presso la corte di Francesco I per quaranta mesi, tra gli ultimi del 1532 e la fine del 1535 (o i primi due mesi del 1536). L’editore della Relazione, Eugenio Albèri parla, a proposito di tali relazioni cinquecentesche, di «attenta e spassionata osservazione dei fatti, non favore o disfavore verso di alcuno, non avventati giudizi, non ricercatezza di stile». Ma, anche a non voler accettare integralmente questo ottimistico giudizio dell’editore ottocentesco, il documento conserva una grandissima importanza per intendere la politica del re cristianissimo nella lotta contro Carlo V, in un momento particolarmente delicato, allorché si sta stipulando da parte della Francia l’alleanza con Solimano il Magnifico (1535). Il testo del documento è nelle Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato durante il secolo XVI, a cura di E. Albèri, s. 1, t. 1, Firenze, 1839, pp. 155–160.

Per una visione generale del periodo è da vedere la Storia del sistema degli stati moderni dal 1492 al 1559, scritta da E. Fueter nel 1919 e tradotta successivamente in italiano, Firenze, 1932. Per l’atteggiamento della Francia nei confronti della potenza ottomana cfr. La politique orientale de Frangois I (1515- 1547), Paris, 1908.

Relazione di Marino Giustiniano ambasciatore della Repubblica veneta in Francia

Il rispetto mò che ha sua maestà con Cesare è tale. Al tempo che io andai in Francia, mi parse conoscere che l’animo suo fosse tutto volto alla recuperazione dello stato di Milano e della contea d’Asti, per la ragione ch’egli diceva che avevano i suoi figliuoli per madama Valentina, figliuola legittima del duca Galeazzo Visconte, maritata in monsignor duca d’Orleans, per la cui dote gli fu data la contea d’Asti. E pretende successione allo stato di Milano adducendo ancora un’investitura che fece Massimiliano al re Luigi XII; sebbene il re cristianissimo rinonciasse al ducato di Milano e contea d’Asti e a tutta Italia [1]. Egli in persuadere Cesare a questa dedizione pianamente e d’accordo non pretermesse alcun mezzo amorevole per via delli oratori dell’uno e dell’altro, e di Clemente pontefice, il quale più volte per manifesti nunzii ha tentato Cesare, e per la via della regina di Francia [2], e di quella d’Ongheria [3], e d’altri molti. E non potendo condur Cesare ad alcuna condizione, se bene diede Cesare sempre buone parole, né mai l’ha levato di speranza dicendogli, come m’ha detto l’oratore di Cesare medesimo ed altri molti, non poter soddisfar sua maestà cristianissima allora, per la fede data al duca di Milano, ma che quando quello stato fosse nelle sue mani, gli faria piacere [4], non contento di questo il re cristianissimo, perché gli pare che gli desse vane parole, si convertì alle minaccie, delle quali publicamente si parlava. E non operando anco con quelle, divenne ai fatti così cautamente che non sono mai venuti a guerra aperta, ma sì che ogniuno l’ha conosciuto. E con questa opinione fece l’abboccamento di Marsilia con Clemente [5], nel quale udendo egli che Cesare stava forte nella sua deliberazione, concluse i movimenti d’arme in Germania sotto pretesto di voler mettere il duca di Vittembergh in casa [6]. Nel che se Iddio non avesse porto la mano col mezzo di Cesare, il quale all’improvviso e con gran destrezza, senza saputa del re cristianissimo, con la restituzione del ducato di Vittimbergh fece la pace [7], tutte quelle genti venivano in Italia sotto il favor secreto di Clemente. Questo fatto fu ajutato anco dal gran maestro [8], il quale sempre contra operando alla guerra differiva la missione del danaro in Germania. Il che fu ancora causa della pace.

E nel medesimo tempo deliberò di fare l’appontamento [9] con il Turco. E perché, andando la corte a Marsilia, venne l’oratore di Barbarossa a trovar il re cristianissimo al Puy, e dopo l’abboccamento venne un altro oratore del Turco a Chastellerault, ivi si conchiuse l’intelligenza col Turco e con Barbarossa. Le quali due operazioni, come furono per metter Cesare in tal necessità che fosse costretto di soddisfar esso re, così sua maestà ha poi conosciuto che lo fecero maggior di quello che era: perché Francesi videro allora che Cesare volse l’animo a concordare e confirmare gli animi di tutti li principi germani; ed allora fece il matrimonio della figliuola del serenissimo re de’ Romani col primogenito del duca di Baviera, e si conciliò il duca di Sassonia, il duca di Vittembergh, ed il langravio di Assia. Con questo modo il re cristianissimo si vide spogliato di tutto il favore che aveva acquistato in Germania, appresso gran quantità di denari, e della speranza di poter avere quella quantità di fanterie buone germane che lui desiderava, se non forse di venturieri. E vide il re che l’andata di Barbarossa [10] a Tunisi, fondata sopra l’amicizia che avea il Turco con sua maestà, fu causa che Cesare l’andò a rovinare per mare e per terra in Africa; per la quale operazione vede esser aggiunta tanta reputazione e grandezza a Cesare, che ha cominciato a temer di lui.

Venendo mò Cesare in Italia per fare il concilio [11], il re cristianissimo è sospinto in maggior dubio, e sospetta che egli non si faccia maggiore con il concilio; perché così come le diverse opinioni della fede hanno fatto che li eretici poco obbedivano a Cesare, così con il tentare il concilio, il quale può unire e concordare le opinioni, teme che non unisca anco li Germani all’obbedienza sua. E con tal mezzo il re cristianissimo dubita che Cesare si faccia più potente, non solamente con li principi germani, ma con le terre franche, e con li popoli. Onde gli nasce un gran timore, nel quale sua maestà è entrata, del suo regno, così discorrendo: «Cesare, oltre i suoi stati molti e grandi, è fatto vittorioso contra il Turco, e l’ha privato d’una gran parte della sua armata marittima; ha tutta l’Italia, parte sua, parte confederata; unirassi la Germania per via del concilio; si vendicherà contra il duca di Ghelder, il quale sua maestà è tenuta a difendere» [12]. Poi si stima ch’egli debba andare contra il re d’Anglia, per li errori ne’ quali è incorso [13]. Avvertisce ancora che Cesare è intento a mettere nel regno di Dania [14] il conte Palatino. E così circondato da ogni parte, dubita d’essere costretto di accettare tutte le leggi che Cesare gli vorrà imporre. Quindi è nasciuto tanto timore in questo re cristianissimo e signori, che dove prima affettavano il ducato di Milano, ora primieramente hanno l’occhio alla grandezza di Cesare, e secondariamente a Milano. E questa è una delle cause che offerisce al pontefice e a vostra serenità, a di- fensione, le forze sue, in caso che Cesare volesse alterare gli stati del pontefice e di vostra serenità, e così del resto d’Italia. Il che esso re desidera infinitamente, peché giudica in tal caso che il pontefice e vostra serenità, lo chiamassero in Italia: ed allora gli pareria di essere liberato dal timore della grandezza di Cesare, e di guadagnare il ducato di Milano e contea d’Asti. E perciò esso re cristianissimo spera che il papa e vostra serenità comincino a temere di Cesare, vedendolo avere il ducato di Milano [15], e che forse dello stato di tornare più mai agli stipendi di Francia, a’ quali si era tenuto per molto tempo, incitato da Francesco I aveva infranto tal patto, riconducendosi con mille lance al servizio di lui. Fiorenza, o con il duca Alessandro o con la repubblica, o in palese o nascosamente, voglia farsi padrone; di modo che il pontefice e vostra serenità prendino sospetto di Cesare in Italia, e con tal mezzo possa lui esserci chiamato…

Parlerò ora del rispetto ch’è tra il re cristianissimo ed il Turco[ 16], perché mi pare che dopo il ragionamento ch’abbiamo fatto di quello che intercede fra il re di Francia e Cesare, opportunamente accada dire di quello del Turco.

Dico adunque che disegnando il re cristianissimo deprimere la grandezza di Cesare, e metterlo in necessità di chiedergli aiuto, acciocché per quella trattazione lo soddisfacesse dello stato di Milano, non lo volendo fare pianamente, trattando intelligenza con Germani contra Cesare [17], ancora cominciò a trattarla con il Turco, il quale gli mandò un orator suo proprio, o vero sotto pretesto di Barbarossa, il quale venne al Puy quando il re cristianissimo andava a Marsilia nel luglio 1533. Poi di decembre 1734 venne un altro suo oratore a Chatellereault, con il quale fu conclusa l’intelligenza fra loro, cioè Francia, Turco e Barbarossa; nella quale i Francesi patteggiavano tregua per tre anni. Il che per mia opinione, regolata da infiniti fondamenti, giudico che sia intelligenza d’aiutare il re cristianissimo ad avere tutto quello che lui pretende da Cesare. E giudico che tale intelligenza fosse medesimamente deliberata in Marsilia con Clemente pontefice, come fu ancora quella di Germania. E infino che il re cristianissimo non vide tanta preparazione di Cesare contro Barbarossa per Tunisi, giudicò aver necessitato la maestà cesarea a chiedergli aiuto, e per conseguente a dargli il ducato di Milano. Ma poiché egli ha veduto che l’uscir fuora di Barbarossa e prender Tunisi fu causa di far conoscer Cesare così potente, che non solamente ha fugato e battuto Barbarossa, toltogli l’armata marittima e l’artiglieria, ma ancora fattosi di quel luogo padrone; gli pare che Cesare sia tanto cresciuto di reputazione che abbia causa di temer di lui. Di modo che ora tiene l’amicizia di esso Turco, perché gli pare non poter avere alcuno che più facilmente possa minuire la grandezza di Cesare. Di qui nasce che egli tiene in Costantinopoli La Foresta (La Forèt) un suo oratore, il quale lo tiene avisato di ogni successo. Il che esso re cristianissimo mi ha confirmato apertamente con tali parole: «Oratore, non posso negare ch’io non desideri che il Turco esca fuori potente; non già per sua utilità, perché egli è infedele, e noi siamo cristiani; ma per tenere Cesare in spesa, e con nemico sì grande far lui minore, e dare securtà maggiore ad ogni potentato». E da qui nasce che con sommo affetto egli desidera che il Turco accomodi la causa sua con il soffi [18], e ritorni a Costantinopoli, perché, come vi fosse, non solamente egli si reputaria securo da Cesare, ma spereria metterlo in tanta spesa e per conseguente in tanta necessità, che egli potesse condiscendere ad alcun partito di Milano. E tanto più pare di bisogno al re di tenersi il Turco per amico, perché contra sua maestà cesarea conosce aver tentato molte cose contra le capitulazioni; onde meritatamente può egli dubitar di sua maestà cesarea, non avendo, massime sinora, alcun prencipe che sia d’importanza, per amico e di chi si possa fidare. E perché questa amicizia col Turco pare a’ Francesi che gli sia d’alcuna infamia (ed è già manifesta), si sforzano di scusare questa intelligenza dicendo, che ad ogniuno, per ogni ragione sì naturale come delli canoni, è ammesso e concesso in ogni causa la difensione, e per conseguente essere onesto torre ajuto da ogniuno, e da infideli ancora, aducendo molti testi in favor loro, e risolvendo i contrarii. Le quali parole mi sono state dette dall’ammiraglio. E questa sua intelligenza il re cristianissimo fa onesta con l’esempio di molti principi cristiani, ch’hanno tregua e pace con lui; e d’altri ch’hanno mandato oratori al Turco istesso per averla, dal quale è stata rifiutata; e che più onestamente egli può accettare una intelligenza mandatagli ad offrir fino nel suo regno.

Note

[1] Pel trattato di Cambray.

[2] Eleonora d’Asburgo, sorella di Carlo V, vedova del re Emanuele II di Portogallo (R.T.).

[3] Maria, govematrice delle Fiandre (vedova di Luigi II, re di Boemia e di Ungheria), essa pure sorella di Carlo V (R.T.).

[4] Il fatto mostrò ben presto con quanta sincerità Carlo V facesse quelle promesse.

[5] Nella occasione del matrimonio del suo secondogenito Enrico con la nipote del papa Caterina de’ Medici (ottobre 1533).

[6] Ulrico, duca del Württemberg, era stato scacciato dal suo ducato da Ferdinando, re dei Romani, fratello di Carlo V, perché alleato della Francia (R.T.).

[7] E fu la pace detta di Cadati dal paese di questo nome in Boemia, ove, il 29 giugno 1734, fu ratificata dal re de’ Romani.

[8] Anne duca di Montmorency (1493–1367), uomo politico francese, assai ascoltato alla corte di Francesco I, favorevole ad un accordo con l’imperatore Carlo V (R. T.).

[9] Vale accordo.

[10] Questo ardito pirata spavento del Mediterraneo, fratello di un altro Barbarossa che nel 1316 aveva conquistato Algeri, e a lui, due anni dopo, cedutolo, in morte, nel 1334 s’impadronì di Tunisi non altrimenti che suo fratello aveva fatto d’Algeri, rassicurato in quell’ardito tentativo dai recenti trattati della Francia colla porta Ottomana, come narra la Relazione. Ma l’aperta difesa di un pirata mussulmano era troppo vergognosa perché Francesco I osasse tentarla, e lo abbandonò contro le armi di Carlo V alla sua sorte, che fu di perdere quella recente conquista. Questo grand’uomo di mare, conosciuto dagli Arabi sotto il nome di Khair Eddyn, era, per quel che si dice, figlio di un pentolaio di Lesbo. Avendo fatto omaggio a Solimano dei suo dominio d’Algeri fu da lui nominato ammiraglio delle sue flotte, stimandolo il solo uomo capace di lottare contro Andrea Doria. Morì in Costantinopoli nel 1346 carico di anni e di una gloria non sempre, a vero dire, generosamente acquistata.

[11] Carlo V entrò in Napoli di ritorno dalla sua gloriosa spedizione il 23 novembre 1535. Dania, ossia Danimarca; e si allude in questo luogo ai torbidi di quel regno, ove il re Cristiano II, cognato di Carlo V, era tenuto in prigione da’ suoi sudditi ribellati. Il pensiero di Carlo, che qui si annuncia, fu uno forse dei tanti ch’egli volse nell’animo per la restituzione delle cose di quel regno, nessuno però dei quali pose ad effetto.

[12] Carlo d’Egmont, duca di Gheldria, che si era composto con Cesare, patteggiando di non

[13] Errori dell’eresia da lui adottata, predicata, ed imposta al popolo suo.

[14] I codici scrivono Dacia, e il Tommaseo ha mantenuta tale lezione; ma è errore. Vuoisi leggere

[15] Francesco Sforza era morto senza posterità il 24 ottobre 1535.

[16] Il gran Solimano.

[17] Tratto a tal fine con i confederati di Smalcalda, e spedì loro con apposita commissione Guglielmo Du Bellay.

[18] recte “sofì”: alterazione dell’arabo “safawi”, gentilizio della dinastia musulmana scita che regnò in Persia dal 1502 al 1736 (R.T.).

Fonte: Rosario Romeo e Giuseppe Talamo (a cura di), Documenti storici. Antologia, vol. II L’età moderna, Loescher, Torino, 1966.

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Mario Mancini
Mario Mancini

Written by Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.

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