La politica di Carlo V: Milano o Paesi Bassi?
Rapporto di Filippo d’Asburgo a Carlo V sulla discussione di Valladolid (1544)
Il documento che presentiamo riguarda alcune trattative succedute alla pace di Crépy (stipulata tra Francia e Spagna il 18 settembre 1544). A Carlo, duca d’Orléans, secondogenito di Francesco I, erano state prospettate due soluzioni matrimoniali: l’infanta donna Maria, che avrebbe portato in dote il possesso dei Paesi Bassi (Borgogna e Charolois) oppure Anna, figlia di Ferdinando, re dei Romani, fratello di Carlo V, che avrebbe portato in dote al principe francese il ducato di Milano. L’imperatore dette incarico al figlio Filippo, a Valladolid, di esaminare la cosa con il Consiglio di Stato: per tutto il mese di novembre del 1544 si svolsero discussioni per decidere in merito alla difficile alternativa. In queste discussioni emersero opinioni diverse che Filippo comunicò al padre in una lettera del 14 dicembre 1544. Il documento che qui di seguito riportiamo è una minuta del verbale di una di queste sedute che chiarisce le posizioni dei componenti il Consiglio.
Il problema era strettamente politico e le posizioni che risultarono maggiormente chiare furono appunto quelle dei personaggi che incarnavano due opposte tendenze politiche della corte di Carlo V: il cardinale di Toledo, Juan Pardo y Tavera e il duca d’Alba. Il vecchio cardinale di Toledo rappresenta la tendenza che si oppone alla politica “italiana” di Carlo V: egli è del parere che la cessione più conveniente per l’Imperatore sia quella di Milano, perché cedere un regno antico come le Fiandre e dei sudditi fedeli e tranquilli per uno stato inquieto e acquistato da poco non sarebbe saggio. Nelle sue parole si coglie l’eco della politica che vuole indirizzare la potenza spagnola verso le coste dell’Africa settentrionale.
Il Duca d’Alba invece è un sostenitore della politica “italiana” di Carlo V; cedere Milano, significherebbe dividere le varie parti dell’Impero: Milano era necessaria sia per giungere ai Paesi Bassi che per arrivare a Napoli e in Sicilia. Nella concezione del duca d’Alba è assai viva l’esigenza della continuità delle varie parti dell’impero.
Nel marzo 1545 Carlo V decideva di cedere il ducato di Milano, ma il 9 settembre dello stesso anno, improvvisamente, moriva il duca d’Orléans.
Il documento di cui sopra si trova nell’Archivio di Simancas, Estado, 67 ff. 13-16 ed è stato pubblicato in spagnolo nella «Rivista Storica Italiana», anno LXX, 1958, fasc. IV, pp. 344-50, da Federico Chabod.
Per un orientamento generale sul problema cfr. V. de Caprariis, L’Italia nell’età della Controriforma (1559–1700), in Storia d’Italia coordinata da N. Valeri, Torino, UTET, 2° ed., 1965, II vol., pp. 385–776.
Rapporto di Filippo d’Asburgo al padre Carlo V sulle posizioni del Cardinal di Toledo e del Duca d’Alba negli incontri di Valladolid
Il Cardinale di Toledo
Fece un lungo discorso, parlando dell’importanza dello stato delle Fiandre, che sono uno stato antico, pacifico, ereditario, di fronte a uno stato inquieto e posseduto senza un titolo molto fondato; e allegò molti argomenti per convincere che era un mal minore concedere lo stato di Milano che non gli altri, e rievocò quanti signori aveva cambiato tanto per ciò che si legge nelle antiche storie quanto nei tempi presenti. Qui svolse un amplissimo ragionamento sul fatto che non conveniva all’autorità di Sua Maestà né alla sua reputazione né alla pace del suo spirito concedere questi stati delle Fiandre: infatti, non avrebbe raggiunto lo scopo della pace al quale aspirava, poiché, qualora i francesi possedessero le Fiandre, il re di Francia o il delfino suo figlio, quando gli fosse succeduto, avrebbe potuto dire che, se a suo fratello avevano dato in dote i possedimenti delle Fiandre, egli non poteva né voleva perdere il diritto che aveva la corona di Francia sullo stato di Milano; e l’avrebbe chiesto e avrebbe mosso guerra e si sarebbe incorsi negli stessi inconvenienti di ora, e senza gli stati delle Fiandre.
[Aggiunse] Che dando al figlio del re di Francia lo stato di Milano gli si davano molti emuli che, temendo la sua grandezza, si sarebbero alleati, come sono il Papa, i veneziani e il duca di Firenze e altri d’Italia mentre negli stati delle Fiandre non ne avrebbe avuto nessuno, anzi in pochissimi anni sarebbe potuto diventare signore di tutte le terre adiacenti, come Cleve, Julich, Liegi e le altre.
Che, morendo la signora Infanta donna Maria senza figli, il Duca di Orléans o il re di Francia si sarebbero impadroniti di quegli stati delle Fiandre, cosa per la quale non sarebbero mancati pretesti relativi al problema delle sovranità o ad altri fidecommessi; e Sua Maestà avrebbe perso grandissima reputazione senza poter rimediare tornando a conquistarli, mentre sarebbe rimasta in piedi la pretesa di Milano; sembrandogli che non convenisse al re di Spagna possedere Milano, per le molte e continue spese che esso esige, e per le invidie, rivalità e timori dei potentati d’Italia.
Che non darebbe sufficiente sicurezza il fatto che l’imperatore durante sua vita conserverebbe la signoria delle Fiandre, dato che sarebbe al governo il duca d’Orléans, al quale il fratello avrebbe cercato di prendere lo stato, pretendendo la sovranità e con altri pretesti.
[La cessione delle Fiandre] Significherà aumentare molto le forze al re di Francia e ai suoi e diminuire quelle di S. Maestà e del Principe.
Il cardinale di Toledo insistette ancora sul fatto che, non vedendo altra opinione o altri argomenti che lo persuadessero di più, non poteva evitare di rimanere convinto di quanto aveva detto; che, per tutti i motivi che un umano giudizio poteva afferrare, considerava più conveniente nei riguardi dell’autorità di S. M. e dell’interesse a mantenere la preminenza attuale verso l’Impero e la Germania, il possesso dello stato delle Fiandre, perché il re di Francia, avendo quello, avrebbe avuto stretti rapporti con gli stati della Germania e avrebbe finito col fare tutto ciò che avesse voluto con loro, e sarebbe venuto nelle Fiandre per comunicare con essi e stringere accordi in danno di S. M. e del re suo fratello.
Tornò a ripetere l’argomento che importava di più uno stato antico, ereditario, proprio, che non uno stato feudale che non si può conservare ma si deve dare[1], che l’Imperatore successivo può togliere per un motivo qualunque e che è, ed è stato, la cagione di tutti i mali e le discordie della cristianità; e che, qualora S. M. l’avesse dato, e poi fossero successi alcuni inconvenienti, non avrebbe perso nessuna reputazione, perché sarebbe sembrato che aveva compiuto un’opera degna di sì magnanimo principe e un’opera degna anteponendo l’amore che come padre doveva al figlio, e dando quello stato al duca d’Orléans per il bene della pace e la quiete e il beneficio della cristianità; se invece, avendo disposto degli stati delle. Fiandre, gliene fossero seguiti alcuni inconvenienti o turbamenti, come poteva succedere, in questo caso era imperdonabile il suo errore per aver dato i suoi stati patrimoniali prima della propria morte e essendo egli ancora in vita, al figlio del proprio nemico, del quale aveva tanta esperienza poiché gli aveva mancato la fede tante volte, e del quale si poteva avere così poca sicurezza; e nessuno l’avrebbe attribuito a buon giudizio, bensì a grande sconsideratezza.
Il duca d’Alba
Anch’egli disse in sostanza quasi lo stesso che nella1 seduta scorsa, ripetendo che, come al cardinale di Toledo sembrava che S. M. perdeva la reputazione e l’autorità che aveva verso l’Impero e verso la Germania se avesse dato gli stati delle Fiandre per le ragioni che aveva detto, così a lui sembrava che molto di più si perdeva quest’autorità e reputazione se si fosse dato lo stato di Milano al Duca d’Orléans, perché se S. M. non avesse avuto questo stato gli sarebbe stato chiuso il passaggio non solo verso le Fiandre ma anche verso la Germania: infatti non gli sarebbe rimasta che ila sola via del mare oceano per andare da una parte all’altra e, se i tedeschi non fossero stati in buoni rapporti con S. M., non gli sarebbe rimasta nessuna porta per entrare nello Impero per pacificarlo.
Oltre a ciò riteneva che la cessione di Milano al duca d’Orléans e la conseguente chiusura del passaggio per poter soccorrere le Fiandre equivaleva a lasciar nelle mani del re di Francia quegli stati perché: fosse libero di prenderli a suo piacere, in qualunque momento ne avesse il capriccio, poiché non avevano speranza di esser soccorsi; e [aggiunse] che desiderava sapere se non sarebbe stato più vantaggioso alla propria reputazione il darli S. M. volontariamente e come dote alla figlia, oppure che il re di Francia se li prendesse senza poter venir ostacolato, dichiarando che su ciò non aveva dubbi e che lo riteneva cosa molto facile da fare. Osservò anche che, vista la sete e l’ambizione dei francesi, era naturale che, avendo il piede nello stato di Milano, avrebbero aspirato ai regni di Napoli e della Sicilia, ai quali neppure S. M. avrebbe potuto portare alcun soccorso perché sarebbe stato chiuso il passaggio per Milano, e perché dalla Spagna non sarebbe potuto andare aiuto non essendoci nessun porto da Colibre a Gaeta dove la flotta avrebbe potuto riunirsi, ed essendo scontato che la città di Genova doveva stare a disposizione e agli ordini del re di Francia o di colui che fosse duca di Milano. Era convinto che se si fossero messi a contrappeso lo stato di Milano e i regni di Napoli e Sicilia, che sono in così evidente rischio di andar perduti, nessuno avrebbe dubitato che questo era più importante, senza confronti, piuttosto che conservare gli stati delle Fiandre.
Aggiunse che, rimanendo a S. M. o al principe nostro signore lo stato di Milano si sarebbero potute assicurare e rifornire le terre del Piemonte in modo tale che il re di Francia e i suoi successori perdessero la speranza di metter piede in Italia, il che si sarebbe potuto fare facendosi dare dal duca di Savoia alcune terre che per lui sono di pochissima importanza e che a S. M., per questo scopo, lo sarebbero di grandissima, mentre [al duca di Savoia] si potrebbe dare facilmente un compenso per esse in qualche altra parte.
Il Presidente del Consiglio[2]
Disse che in ciò che aveva udito dire si tralasciava di parlare di un punto che, a suo parere, era più importante che non il disporre dello Stato di Milano o di quello delle Fiandre. Questo era ciò che toccava alla signora Infanta donna Maria, la quale, oltre ad essere tanto eccellente principessa e di così straordinarie qualità e virtù, era secondogenita di Sua Maestà e ad essa sarebbe potuta toccare una così grande successione. Gli sembrava che non sarebbe stata ben collocata sposando il duca d’Orléans, anche se egli avesse per suoi propri ereditari gli stati delle Fiandre e di Milano; se era vero ciò che l’imperatore sottolineava circa la scarsa soddisfazione che si aveva dei suoi costumi passati e del cattivo modo di comportarsi che aveva tenuto fino ad ora, tanto più si doveva aver cura che Sua Maestà non gli desse una figlia che tanto amava e uno stato tanto pacifico, tanto antico e nel quale i suoi predecessori ebbero la loro origine e il patrimonio. Insistette molto su questo, dicendo che, a suo giudizio, aveva più peso questo solo punto che non il valore degli stati delle Fiandre o di quello di Milano, e sottolineando che se, Dio non voglia, cadesse la successione al duca, avendo egli le abitudini che ha mostrato, sarebbe un inconveniente e un male da considerare.
Si dilungò molto a proposito di tale argomento. Oltre a ciò disse che se si fosse potuti essere sicuri che il re di Francia e suo figlio avrebbero rispettato le capitolazioni, egli sarebbe stato del parere di dar loro Milano, perché sembrava saggio dare quello stato per il bene della pace; e sottolineò il merito che questo gesto avrebbe davanti a tutto il mondo. Però, sia per quanto aveva sentito sempre del passato, sia per ciò che capiva della scarsa costanza dei francesi, egli riteneva certo che non avrebbero mantenuto ciò che ora avevano promesso più di quanto avessero fatto prima di adesso; e presupponendo che potesse essere così, il suo parere era che si ingrandiva di più il re di Francia dando a sua figlia gli stati delle Fiandre che non lo stato di Milano. Infatti riteneva cosa vana pensare che il duca d’Orléans, avendo ricevuto questo beneficio da S. M., volesse assistere più lui o il principe suo figlio che non il padre e i fratelli, nel cui regno avrà il suo ducato d’Orléans, e tutto il resto di cui il re di Francia dice nelle capitolazioni che lo doterà; ed essendo egli buon fratello e figlio, sarebbe dar loro grandissima forza e aumentare in gran maniera il regno di Francia, e con ciò, e con la parte che avrebbero avuto nell’Impero, con molta maggiore facilità essi avrebbero potuto tentare la conquista di Milano e riuscirvi.
Aggiunse che non vedeva ragione per cui si persuadesse che fosse più conveniente dare le Fiandre che non Milano; e qui elencò altri argomenti.
Il duca d’Alba
Replicò sul fatto che, sebbene dare al duca d’Orléans gli stati delle Fiandre fosse accrescere di molto la grandezza del re di Francia, che avrebbe potuto avere gente dei bassi tedeschi e così pure molta gente a cavallo, bisognava considerare che, dandogli lo stato di Milano, gli rimaneva molto facile prendere gli stati delle Fiandre, sempre che lo volesse, perché, come l’esperienza ha dimostrato, a S. M. e al suo successore non rimane nessuna parte da cui poter soccorrere le Fiandre se non l’Oceano, per il quale si vede quale rischio, pericolo e avventura si correrebbe e maggiormente se il re d’Inghilterra non fosse nostro amico; mentre possedendo lo stato di Milano e potendo effettuare ciò, come si presuppone che farebbe con facilità, verrebbe ad avere l’uno e l’altro.
Questo argomento del soccorso delle Fiandre non ebbe replica sufficiente che lo convincesse, sebbene alcuni avessero detto che oltre all’aiuto per mare si sarebbero potuti inviare tedeschi e che il Re dei Romani da parte sua avrebbe fatto ecc.
Contro ciò si disse che, avendo le Fiandre, il Re di Francia avrebbe avuto la stessa facilità con lo stato di Milano, per i tedeschi che saranno dalla sua parte. A ciò replicò il Duca che, conservando S. M. o il principe questo stato, doveva far fortificare le terre del Piemonte in modo che il Re di Francia perdesse la speranza di scendere in Italia: la qual cosa il duca di Savoia non avrebbe fatto per nessuna altra persona che possedesse il ducato di Milano, perché il duca avrebbe preferito compiacere il Re dandogli il passaggio e vettovaglie che non mettere a rischio il suo stato.
[Aggiunse] Che lo stato di Milano importa molto di più per il mantenimento di Napoli e della Sicilia e anche per la difesa di questi regni, perché possedendolo si può mantenere Genova e portare con facilità tedeschi, che non si possono invece trasportare se non in un lungo periodo di tempo attraverso le Fiandre e il mare Oceano.
Che si possono difendere meglio dal nemico tutti gli stati dell’Imperatore mantenendo questo stato piuttosto che rimanendo con quello delle Fiandre, anche se non dovesse derivarne alcun profitto, e che gli si può fare da quello più danno.
Che se Genova passasse dalla nostra soggezione a quella della Francia, come avverrebbe se Milano fosse del re di Francia, non si potrebbe soccorrere il regno di Napoli perché non vi sono porti da Rosas a Gaeta.
Che lo stato delle Fiandre è un lago morto dal quale non si può pretender di più in futuro, la qual cosa non è lo stato di Milano, ché possedendolo il re di Francia passerebbe poi a quello; di Firenze, e di là a quello di Napoli…
Che avendo i re di Spagna Milano, essi hanno la soglia e la porta del regno di Napoli; perché nel momento che venisse a mancare quello di Milano bisognerebbe passare a Napoli; il quale regno non riteneva tanto difficile da conquistare come lo stato di Milano nelle attuali condizioni.
Che riconosceva grandi inconvenienti nel dare le Fiandre, ma che erano di molto maggior peso per il futuro le conseguenze che potrebbero derivare dando Milano.
Fonte: Rosario Romeo e Giuseppe Talamo (a cura di), Documenti storici. Antologia, vol. II L’età moderna, Loescher, Torino, 1966.