La nascita della filosofia moderna a grandi lineamenti

di Bertrand Russell

Mario Mancini
7 min readNov 21, 2021

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Il periodo storico comunemente detto « moderno » ha un orientamento intellettuale che differisce per molti versi dal periodo medioevale. Due sono le differenze fondamentali: la diminuita autorità della Chiesa e l’accresciuta autorità della scienza. A queste due ne sono legate altre. La cultura moderna è più laica che clericale.

Gli Stati si sostituiscono sempre più alla Chiesa come autorità centrali che controllano la cultura. Il governo delle nazioni è, al principio, soprattutto nelle mani del re; poi, come nell’antica Grecia, i re vengono via via soppiantati da democrazie o da tirannidi. Il potere e le funzioni dello Stato nazionale crescono rapidamente nel corso dell’intero periodo (a parte qualche piccola fluttuazione); ma per lo più gli Stati hanno un’influenza minore, sulle idee dei filosofi, di quella che ebbe la Chiesa nel Medioevo.

L’aristocrazia feudale, che al nord delle Alpi era riuscita, fino al XV secolo, a conservare la propria autorità contro quella del governo centrale, perde prima la sua importanza politica e poi quella economica. È sostituita dal re, alleato ai ricchi mercanti: e questi si dividono il potere in diverse proporzioni nei vari paesi.

Esiste una tendenza tra i ricchi mercanti a farsi assorbire nell’aristocrazia. Dal tempo delle rivoluzioni francese e americana in poi, la democrazia, in senso moderno, diviene un’importante forza politica. Il socialismo, che si appone alla democrazia basata sulla proprietà privata, raggiunge per la prima volta il potere governativo nel 1917.

Queste forme di governo, però, nel diffondersi, devono evidentemente portare con sé una nuova forma di cultura; la cultura di cui ci occuperemo è per lo più «liberale», vale a dire più intrinsecamente legata al commercio. Ci sono importanti eccezioni, specie in Germania: Fichte ed Hegel, tanto per fare due esempi, rappresentano una prospettiva filosofica del tutto indipendente dal commercio. E tali eccezioni non sono peculiari della loro epoca.

Il rifiuto dell’autorità ecclesiastica, che è la caratteristica negativa dell’evo moderno, ha origini anteriori alla caratteristica positiva, che è l’accettazione dell’autorità scientifica.

Nel Rinascimento italiano, la scienza ebbe una parte assai limitata; l’opposizione alla Chiesa, nel pensiero degli uomini del tempo, era legata al sentimento dell’antichità, e guardava quindi ancora al passato, ma a un passato più remoto di quello del primo periodo della Chiesa e del Medioevo.

Il primo serio attacco della scienza fu la pubblicazione della teoria copernicana nel 1543; ma questa teoria non ebbe risonanze, finché non fu ripresa e portata innanzi da Keplero e da Galileo nel XVII secolo. Cominciò allora la lunga lotta tra la scienza e il dogma, nella quale i tradizionalisti combatterono una battaglia già perduta in partenza contro la nuova cultura.

L’autorità della scienza, che è riconosciuta dalla maggior parte dei filosofi dell’epoca moderna, è cosa assai diversa dell’autorità della Chiesa, dato che è razionale e non dogmatica. Non c’è alcuna sanzione per chi la respinge; nessun calcolo prudenziale influisce su chi l’accetta. Prevale unicamente per il suo intrinseco appello alla ragione.

È, per di più, un’autorità limitata e parziale; non afferma, come il corpo dei dogmi cattolici, un sistema completo, che investe la moralità umana, le speranze umane, e la storia passata e futura dell’universo. Si pronuncia soltanto su ciò che, ad un determinato momento, risulta scientificamente accertato, e che è una piccola isola in un oceano d’ignoranza.

C’è poi un’altra differenza dall’autorità ecclesiastica, la quale dichiara le proprie affermazioni assolutamente certe ed inalterabili in eterno: le affermazioni della scienza procedono per tentativi, sulla base della probabilità, e sono sempre considerate passibili di modificazione. Tutto ciò dà origine a una forma mentis assai diversa da quella dei dogmatici medioevali.

Ho parlato finora della scienza teoretica, che è un tentativo di comprendere il mondo.

La scienza pratica, che è un tentativo di mutarlo, ha avuto fin dal principio la sua importanza, e l’ha continuamente accresciuta, fino a sostituire quasi del tutto, nella riflessione, la scienza teoretica.

Dell’importanza pratica della scienza ci si accorse per la prima volta in rapporto alla guerra; Galileo e Leonardo ottennero impieghi di governo per le loro ricerche dirette a migliorare l’artiglieria e l’arte delle fortificazioni. Da allora in poi, la parte avuta nella guerra dall’uomo di scienza è rapidamente aumentata.

Iniziò più tardi, invece, il suo contributo allo sviluppo della produzione meccanica, e all’abituare le popolazioni all’uso prima del vapore e poi dell’elettricità; tutto questo, anzi, non cominciò ad avere importanti effetti politici che verso la fine del XIX secolo. Il trionfo della scienza fu dovuto principalmente alla sua utilità pratica e il tentativo di scindere questo aspetto da quello teorico ha reso la scienza sempre più tecnica, e le ha tolto sempre più il carattere di dottrina intorno alla natura del mondo. La penetrazione di questo modo di vedere tra i filosofi è cosa molto recente.

L’emancipazione dall’autorità della Chiesa accrebbe l’individualismo, spinto fino all’anarchia. La riflessione intellettuale, morale e politica era legata, per gli uomini rinascimentali, alla filosofia scolastica e al governo ecclesiastico. La logica aristotelica degli scolastici era, sì, ristretta, ma richiedeva almeno una certa precisione di pensiero.

Quando questa scuola logica passò di moda, non le successe, al principio, niente di meglio di una eclettica imitazione dei modelli antichi. Fino al XVII secolo non ci fu nulla d’importante in filosofia. Nell’Italia del XV secolo l’anarchia morale e politica era impressionante, e dette origine alle dottrine di Machiavelli. Allo stesso tempo, la liberazione da tutti i preconcetti mentali creò un sorprendente spiegamento di geni in arte e in letteratura.

Una simile società è inevitabilmente instabile. La Riforma e la Controriforma, insieme all’assoggettamento dell’Italia da parte della Spagna, posero fine a ciò che di buono e di cattivo era nel Rinascimento italiano. Quando il movimento si diffuse a nord delle Alpi, non aveva più il suo carattere anarchico.

La filosofia moderna, però ha conservato in generale una tendenza soggettivistica e individualistica. Questa è molto pronunciata in Cartesio, che costruisce tutta la conoscenza sulla certezza della propria esistenza, e accetta la chiarezza e la distinzione (entrambi fatti soggettivi) come criteri per la verità.

Non è preminente in Spinoza, ma riappare nelle «monadi senza finestre» di Leibniz.

Locke, la cui attitudine è totalmente obiettiva, è costretto, pur riluttante, ad accettare la dottrina soggettiva, secondo la quale la conoscenza è nell’accordo o nel disaccordo delle idee: un punto di vista così repulsivo per lui, ch’egli ne evade spesso con violente incongruenze.

Berkeley, dopo aver negato resistenza della materia, si salva da un completo soggettivismo solo per mezzo di una concezione di Dio che la maggior parte dei filosofi successivi ha considerato illegittima.

In Hume, la filosofia empiristica culminò in uno scetticismo che nessuno poteva né rifiutare né accettare.

Kant e Fichte furono soggettivisti, sia per attitudine che nelle loro dottrine; Hegel se ne salvò attraverso l’influenza di Spinoza.

Rousseau e il movimento romantico estesero il soggettivismo dalla teoria della conoscenza all’etica e alla politica, e finirono, com’era logico, in una completa anarchia simile a quella di Bakunin. Questo estremo soggettivismo è una forma di pazzia.

Intanto la scienza e la tecnica stavano facendo penetrare tra gli uomini pratici una mentalità del tutto diversa da quella che si poteva trovare tra i filosofi teoretici. La tecnica conferiva un senso di potenza: l’uomo è ora alla mercé di ciò che lo circonda molto meno di quanto non lo fosse prima. Ma la potenza donata dalla tecnica è sociale, non individuale; un individuo medio, naufrago in un’isola deserta, poteva arrangiarsi nel XVII secolo anche meglio di adesso.

La tecnica scientifica richiede la cooperazione d’un gran numero di individui organizzati sotto un’unica direzione. La sua tendenza, quindi, è contro l’anarchia e anche contro l’individualismo, dato che richiede una ben intessuta struttura sociale.

Al contrario della religione, è indifferente dal punto di vista etico: assicura agli uomini che essi possono compiere delle meraviglie, ma non dice loro quali meraviglie debbano compiere. In questo è incompleta. In pratica, gli scopi cui tenderà il genio scientifico dipendono in gran parte dal caso.

Gli uomini che sono alla testa delle vaste organizzazioni di cui la tecnica scientifica ha bisogno possono, entro certi limiti, volgerla in questa o in quella direzione, come preferiscono. La spinta al potere ha così un fine che non ebbe mai prima. Le filosofie che si sono ispirate alla tecnica scientifica sono filosofie della potenza, e tendono a considerare tutto ciò che non è umano come mero materiale greggio.

Gli scopi non vengono più presi in considerazione; si valuta soltanto la genialità del procedimento. Anche questa è una forma di pazzia. È, ai nostri giorni, la forma più pericolosa, e contro di essa occorre che una sana filosofia produca un antidoto.

Il mondo antico pose fine all’anarchia con l’Impero romano, ma l’Impero romano era un fatto concreto, non una idea. Il mondo cattolico cercò di por fine all’anarchia con la Chiesa, che era un’idea, ma non fu mai adeguatamente realizzata nei fatti. Né la soluzione antica né quella medioevale erano soddisfacenti: l’una perché non poteva essere idealizzata, l’altra perché non poteva essere inverata.

Il mondo moderno, oggi come oggi, sembra muoversi verso una soluzione simile a quella dell’antichità: un ordine sociale imposto con la forza, rappresentante la volontà d’un potente piuttosto che le speranze dell’uomo comune.

Il problema d’un durevole e soddisfacente ordine sociale può esser risolto solo accoppiando la solidità dell’Impero romano all’idealismo della Città di Dio di Sant’Agostino. Per raggiungere ciò sarà necessaria una nuova filosofia.

Da: Bertrand Russell, Storia della filosofia occidentale, Milano, Longanesi, 1948.

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Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.