La libertà del punto di fuga
di Paolo Marcucci
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“Quando non può più lottare contro il vento e il mare per seguire la sua rotta, il veliero ha due possibilità: l’andatura di cappa (il fiocco a collo e la barra sottovento) che lo fa andare alla deriva, e la fuga davanti alla tempesta con il mare in poppa e un minimo di tela. La fuga è spesso, quando si è lontani dalla costa, il solo modo di salvare barca ed equipaggio. E in più permette di scoprire rive sconosciute che spuntano all’orizzonte delle acque tornate calme. Rive sconosciute che saranno per sempre ignorate da coloro che hanno l’illusoria fortuna di poter seguire la rotta dei carghi e delle petroliere, la rotta senza imprevisti imposta dalle compagnie di navigazione. Forse conoscete quella barca che si chiama Desiderio.”
Questa è la prefazione di un fortunato libro degli anni settanta del secolo scorso, Elogio della fuga, del biologo francese Henri Laborit[1].
La teoria della fuga applicata ai temi più importanti dell’umanità, non solo dell’uomo, del singolo individuo, perché Laborit vede interessante nella vita[2], “quello che è universale, non i particolari che l’hanno scandita, né l’impasto unico di chi è stato modellato da quei particolari, né la forma mutevole che ne è venuta fuori. Può essere universale il modo in cui il contesto sociale determina un individuo, al punto di farne una sua espressione particolare”.
L’interpretazione della fuga, al contrario della consuetudine di considerarla con caratteri negativi, di codardia e anche di vigliaccheria, come invece il mezzo per sottrarsi alla logica, al sistema, che governa i rapporti umani, che impone rotte prestabilite e unico mezzo a volte per mantenersi in vita. La fuga quindi in un’accezione positiva ed equilibrata.
Enea, il grande eroe, quando si rende conto che Troia è ormai persa, in fiamme, fugge portandosi il vecchio padre, Anchise, sulle spalle e accompagnato dal figlio Ascanio e dalla moglie Creusa, fugge incontro al suo e al nostro futuro, e il gesto è immortalato nei secoli dai più grandi artisti. Caravaggio stesso passa gran parte della sua vita in fuga, regalandoci così autentici capolavori della pittura.
E proprio il tema della fuga è uno dei suoi dipinti più conosciuti e narra dell’infanzia di Gesù, raccontato dal Vangelo secondo Matteo, dove Giuseppe e Maria fuggono in Egitto per sfuggire a Erode e all’uccisione dei bambini, che sarebbe poi stata conosciuta come la strage degli innocenti.
Anche in economia la fuga è spesso la base del comportamento e della salvaguardia del patrimonio, basti pensare all’espressione La fuga di capitali, che indica il fenomeno di fuoriuscita di ricchezza e attività da un determinato paese per paura di avversi eventi politici o economici.
Oppure quando, nell’analisi della produzione industriale, si osserva attentamente il punto di fuga, cioè quando il ricavo scende nella curva al di sotto del costo variabile medio, e allora non è più conveniente produrre e continuare l’attività.
La letteratura con Stig Dagerman[3], collegandosi in qualche modo a Laborit, invocava la speranza “in una letteratura che, senza alcun riguardo, combatta per i tre diritti inalienabili dell’essere umano imprigionato nelle organizzazioni politiche e di massa: la libertà, la fuga e il tradimento”. E per Ceronetti[4] l’uomo è “un’ombra in fuga che non si posa”.
Come le donne, raccontate dal saggio storico di Maria Serena Mazzi, che in Donne in fuga[5], descrive la fuga medievale ad una condizione familiare o sociale, a volte, non più tollerabile. Sono storie di fuga di sante, regine, badesse, semplici monache, umili contadine, serve, schiave, eretiche, streghe, prostitute che scappano da un destino preordinato o talvolta dal rogo inquisitorio.
Ansano o della fuga
Allo stesso modo, qualche secolo prima, Ansano non riuscì a fuggire, quella volta, dalla pece bollente. Ansano (284–304) nasce a Roma e diventa infine il santo patrono di Siena, allora colonia romana. Uno specialista della fuga, lo definisce Carabba, raccontandone la sua vita[6].
“La vita è bella ma il mondo può essere opprimente. Il giovane Ansano trovava una via di fuga nelle sue idee, che rivelavano sempre un lato paradossale. “Cosa avrà in quella testa” si chiedevano le persone. I sui genitori si sforzavano di amarlo ma lui si cacciava in situazioni difficili. Ne usciva con guizzi imprevedibili perché apparteneva a una famiglia importante.
Era ancora un giovinetto con splendidi capelli lunghi quando cominciò a frequentare la matrona Massima, molto più grande di lui. Destò qualche sospetto il fatto che leggessero insieme in silenzio, per pomeriggi interi. A quel tempo tutti leggevano ad alta voce.
Quando Ansano andava a leggere a casa di Massima, non si sentiva alcuna voce, dietro quella porta chiusa. Il padre di Ansano, che si chiamava Tranquillino, ma covava rabbie improvvise, scoprì la terribile verità: Massima, di nascosto, aveva trasformato il ragazzo in un cristiano.
Quella religione aveva dato ad Ansano un contenitore in cui riversare i suoi paradossi. I due vennero rinchiusi e torturati. Massima non rinunciò a se stessa e morì sotto gli occhi di Ansano. Sembrava che anche per lui non ci fosse speranza. Ma se c’era una cosa che aveva imparato da Massima, era che la vita è bella in modo scandaloso. Così decise di fuggire, portando Massima dentro di sé.
Quante volte era stato rinchiuso dai genitori perché aveva detto qualcosa di inappropriato, e tutte le volte era riuscito a scappare. Era diventato un artista della fuga. Riuscì a scappare anche stavolta.
Dato che portava Massima dentro di sé, provò il desiderio di fare proseliti. Un angelo, forse un membro dell’organizzazione, gli suggerì di andare a Siena. Non si contano le persone che convertì durante il cammino. Il proconsole Lisia fu mandato a dargli la caccia. Scovare un battezzatore accanito come lui non era difficile: lo trovavi sempre tra la gente. Quando languiva nel buio di una cella sognava libere colline, quando era fuori sentiva una segreta nostalgia della cella. L’alternanza era continua perché ogni volta che lo rinchiudevano riusciva a scappare.
Siena era piena di Lapsi, detti anche gli Scivolati. Erano quei cristiani che, di fronte alle persecuzioni, avevano “mostrato la loro debolezza” rinnegando Cristo per salvare la vita e i beni. Nella Chiesa c’era da anni grande dibattito sul trattamento che meritavano. Noviziano, papa autoproclamato, sosteneva che gli Scivolati dovevano essere espulsi per l’eternità.
Ansano, invece, riconobbe in loro degli artisti della fuga. Aveva visto morire Massima per le proprie idee, ma era troppo pretendere che tutti fossero come lei. Quelli non volevano morire. Li capiva.
Aveva una particolare predilezione per i Libellatici: quelli cioè che si erano procurati documenti falsi che attestavano che avevano sacrificato agli dei, anche se non era vero. Migliaia furono gli Scivolati che poterono riprendere il loro cammino grazie a lui. Tutto ciò era insopportabile per i romani: se c’era una categoria di persone da preservare, era quella di coloro che rinnegavano il Cristianesimo.
Il proconsole Lisia lo fece rinchiudere in una torre inespugnabile, sorvegliato da guardie di provata moralità pagana, indisponibili agli scambi di persona. Ansano non scappò. Si era stancato. Convertiva e battezzava dalla finestra. Lisia decise che la cosa doveva finire. Tranquillino accettò. Lo tuffarono nella pece bollente, non funzionò. “Hai visto Massima? Non vinceranno mai” disse alla matrona dentro di sé. Lo decapitarono. La testa si allontanò saltellando, e chissà se era davvero la sua.”
E proprio il luogo del martirio e della morte di Ansano, Dofàna a Castelnuovo Berardenga, dove nella chiesa si conserva la reliquia del braccio sinistro del santo, ci porta, in chiusura, in terra senese e toscana e all’invenzione nella pittura e nell’architettura delle prime rappresentazioni della prospettiva e del fondamentale punto di fuga, che si completeranno magnificamente poi nel pieno del Rinascimento.
L’ultima cena, del 1308, di Duccio e la Presentazione del bambino al tempio, del 1342, di Ambrogio Lorenzetti sono le prove che porteranno poi al capolavoro dell’Annunciazione del Lorenzetti, del 1344, dove la prospettiva è costruita, per la prima volta, con un punto di fuga unico, con le rette sul pavimento di mattonelle che si uniscono in un solo punto, sulla colonna centrale della bifora.
Note
[1] Pubblicato in Italia nel 1982. Henri Laborit, 1914–1995, è stato uno dei maggiori biologi e filosofi del comportamento umano. Dal libro fu tratto anche un film, Mon oncle d’Amérique, nel 1980, diretto da Alain Resnais, vincitore di un gran premio speciale della giuria al Festival di Cannes.
[2] I capitoli del libro sono scanditi da temi come la libertà, l’amore, la morte, il piacere, il lavoro, la felicità, la politica.
[3] Stig Dagerman, 1923–1954, scrittore e giornalista svedese.
[4] Guido Ceronetti, 1927–2018, poeta, filosofo, scrittore.
[5] Donne in fuga. Vite ribelli nel Medioevo, di Maria Serena Mazzi, Il Mulino, 2017
[6] Corriere fiorentino 12–03–2021, Enzo Fileno Carabba.
Paolo Marcucci ha svolto tutta la sua esperienza lavorativa nel mondo bancario. È stato relatore a convegni/incontri a carattere economico, docenze a master universitari sul risk management. È stato assessore alla cultura e all’industria del Comune di Montelupo Fiorentino. Da sempre interessato alla storia e all’economia locale, la sua ultima pubblicazione è Storia della Banca Cooperativa di Capraia, Montelupo e Vitolini. Una banca territoriale toscana e l’economia locale al tempo della globalizzazione.