La guerra commerciale tra l’Inghilterra e Francia rivoluzionaria

Il blocco continentale (1806)

Mario Mancini
7 min readFeb 8, 2020

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William Turner, La valorosa Téméraire trainata al suo ultimo ancoraggio per essere demolita, 1838, National Gallery, Londra, Londra

Alle origini del decreto napoleonico del 21 novembre 1806, tendente a chiudere al commercio inglese tutto il continente europeo, sta la lotta secolare combattuta, specie tra Francia e Inghilterra, intorno alla libertà dei mari, e specialmente circa l’estensione del diritto di blocco. Già nel 1584 gli olandesi contro la Spagna, e poi inglesi e olandesi nel trattato di Whitehall contro la Francia, avevano cercato di applicare ai loro avversari il blocco cosiddetto “fittizio”, cioè esteso a coste e a porti il cui accesso non era effettivamente controllato e impedito dalle proprie flotte.

Nel see. XVIII una serie di trattati sancirono invece il principio che il blocco, per essere legittimo ai sensi del diritto internazionale, non potesse essere fittizio né “per crociera”, cioè attuato attraverso il mantenimento di navi incrocianti nelle acque avversarie; ma dovesse essere invece “effettivo”, cioè realizzato attraverso l’investimento da presso della costa o del porto avversario, in modo che l’accesso ne risultasse in ogni caso pericoloso.

Nonostante ciò gli inglesi dichiararono il blocco fittizio contro la Francia tanto all’inizio della guerra dei Sette Anni (1756) che durante la guerra d’indipendenza americana (1775). Le pretese inglesi provocavano gravi danni al commercio e alla navigazione dei paesi neutrali, e nel 1780 indussero Russia, Danimarca e Svezia a stringere, a difesa del proprio commercio, la Lega dei neutri, poi rinnovata due volte, nel 1794 e nel 1800, in occasione del blocco dichiarato dall’Inghilterra contro la Francia rivoluzionaria; nel 1800 l’Inghilterra rispose con il proditorio attacco della flotta guidata dal Nelson contro la flotta danese a Copenaghen.

Da parte sua, la Convenzione, allo scoppio della guerra con l’Inghilterra (1793), aveva proibito l’importazione di molte merci inglesi (sospendendo così l’usanza che durante l’Antico Regime aveva visto i traffici continuare anche tra paesi in guerra, nella misura in cui non interferivano direttamente con le operazioni militari); e pochi mesi dopo aveva vietato l’esistenza sul suolo francese di qualsiasi merce prodotta in territorio soggetto al governo britannico, inaugurando così la guerra economica generale tra i due paesi.

In seguito, il Direttorio estese queste misure non solo a tutti i prodotti fabbricati in Inghilterra, ma anche a quelli che avrebbero potuto esserlo, e le applicò a tutti i paesi controllati dalle armate francesi. Napoleone, col decreto di Berlino, cercò di rinnovare questo sistema, e di estenderlo a tutto il continente, dichiarando esplicitamente di voler applicare all’Inghilterra gli stessi principi che essa adottava nella sua legislazione marittima.

A un anno di distanza, poi, procedette a nuove restrizioni: il decreto di Fontainebleau del 13 ottobre 1807, rinnovato dal primo decreto di Milano (23 novembre 1807) dichiarò inglesi per la loro stessa natura tutte le derrate coloniali e una serie di altre merci, e aggravò le disposizioni del decreto di Berlino, che si riferivano alle navi provenienti “direttamente” dall’Inghilterra (e che potevano perciò sostenere di avervi solo fatto scalo), ordinando che ogni nave che avesse comunque toccato i porti inglesi doveva essere confiscata con tutto il carico.

Il governo britannico reagì con una serie di disposizioni dell’11, 15 e 25 novembre 1807: in virtù di esse tutte le navi neutrali dirette verso porti francesi o provenienti da essi dovevano sbarcare il proprio carico in uno dei porti britannici stabiliti, pagarvi i diritti doganali con un forte aumento, e ritirare una licenza; fu inoltre vietato l’invio in Francia, anche da parte dei neutri, di merci come la china e il cotone.

La reazione da parte di Napoleone fu immediata: il secondo decreto di Milano (17 dicembre 1807) stabilì che ogni nave neutrale che si fosse sottoposta a queste imposizioni da parte inglese dovesse essere considerata come “snazionalizzata” e diventata inglese; e di conseguenza esposta a essere catturata tanto nei porti che in alto mare. Alcuni decenni dopo le guerre napoleoniche, il trattato di Parigi del 1836 riconobbe il principio della effettività del blocco come requisito indispensabile per la sua legittimità.

Il testo (francese) del decreto di Berlino è da vedere in Correspondance de Napoléon Ier, cit., vol. XIII, Parigi, 1863, n. 11283. Sul “Blocco Continentale” cfr. G. Lefebvre, Napoleone, trad, it., Bari, Laterza, 1960, pp. 286–292. La migliore trattazione è quella di E. Heckscher, The Continental System; an “Economic Interpretation [Il sistema continentale: un’interpretazione economica], 1922.

Campo imperiale di Berlino, 21 novembre 1806

Napoleone, Imperatore dei Francesi, Re d’Italia, ecc.,

Considerando,

Che l’Inghilterra non ammette il diritto delle genti seguito universalmente da tutti i popoli civili;

Che essa reputa nemico ogni individuo appartenente allo Stato nemico, e fa di conseguenza prigionieri di guerra non solo gli equipaggi dei vascelli armati da guerra, ma anche gli equipaggi delle navi commerciali e delle imbarcazioni mercantili, e anche i fattori del commercio e i negozianti che viaggiano per gli affari dei loro traffici;

Che essa estende ai bastimenti e ai prodotti del commercio e alle proprietà dei privati, il diritto di conquista, che può applicarsi solo a ciò che appartiene allo Stato nemico;

Che estende alle città e ai porti commerciali non fortificati, alle rade e agli sbocchi dei fiumi il diritto di blocco che, secondo la ragione e l’uso di tutti i popoli civili, è applicabile solo alle piazze forti;

Che dichiara bloccate località davanti alle quali non ha neppure una nave da guerra, benché una località sia in stato di blocco solo quando è talmente investita che non si possa tentare di avvicinarvisi senza un imminente pericolo;

Che dichiara in stato di blocco località che tutte le sue forze riunite sarebbero incapaci di bloccare, coste intere e tutto un impero;

Che quest’abuso mostruoso del diritto di blocco non ha altro fine che d’impedire le comunicazioni fra i popoli, e d’innalzare il commercio e l’industria dell’Inghilterra sulla rovina dell’industria e del commercio del continente;

Che essendo questo lo scopo evidente dell’Inghilterra, chiunque sul continente fa commercio dei prodotti inglesi favorisce in tal modo i suoi disegni e se ne rende complice;

Che questa condotta dell’Inghilterra, in tutto degna delle prime età della barbarie, ha profittato a questa potenza a danno di tutte le altre;

Che è diritto naturale opporre al nemico le armi di cui si serve, e combatterlo nel modo stesso in cui egli combatte, quando disconosce le idee di giustizia e tutti i sentimenti liberali, risultato della civiltà fra gli uomini.

Noi abbiamo deciso di applicare all’Inghilterra gli usi che essa ha consacrato nella sua legislazione marittima. Le disposizioni del presente decreto saranno costantemente considerate come principio fondamentale dell’Impero fino a quando l’Inghilterra avrà riconosciuto che il diritto di guerra è uno e identico per terra e per mare; che non può estendersi né alle proprietà private, qualunque esse

siano, né alla persona degli individui estranei al mestiere delle armi, e che il diritto di blocco deve essere limitato alle piazze forti realmente investite da forze sufficienti;

Noi abbiamo di conseguenza decretato e decretiamo quanto segue:

Art. 1. — Le isole britanniche sono dichiarate in stato di blocco;

Art. 2. — Ogni commercio e ogni corrispondenza con le isole britanniche è vietata. Di conseguenza, le lettere o i pacchi indirizzati o in Inghilterra o ad un inglese, o scritti in lingua inglese, non avranno corso negli uffici postali e saranno sequestrati;

Art. 3. — Ogni individuo suddito dell’Inghilterra, di qualunque stato o condizione, che sarà trovato nei paesi occupati dalle nostre truppe o da quelle dei nostri alleati, sarà fatto prigioniero di guerra;

Art. 4. — Ogni magazzino, ogni mercanzia, ogni proprietà, di qualunque natura, appartenente a un suddito dell’Inghilterra, sarà dichiarato di buona preda;

Art. 3. — Il commercio dei prodotti inglesi è proibito, e ogni prodotto appartenente all’Inghilterra; o proveniente dalle sue fabbriche e dalle sue colonie, è dichiarato di buona preda;

Art. 6. — La metà dei prodotti della confisca delle merci e proprietà dichiarate di buona preda dagli articoli precedenti sarà impiegata ad indennizzare i negozianti delle perdite che essi hanno provato per la cattura di bastimenti di commercio che sono stati presi dalle crociere inglesi;

Art. 7. — Nessun bastimento proveniente dall’Inghilterra o dalle colonie inglesi, o che vi sia stato dopo la pubblicazione del presente decreto, sarà ricevuto in alcun porto;

Art. 8. — Ogni bastimento che, per mezzo di una dichiarazione falsa, contravverrà alla disposizione di cui sopra, sarà sequestrato; e la nave e il carico saranno sequestrati come se fossero proprietà inglese;

Art. 9. — Il nostro Tribunale delle Prede di Parigi è incaricato del giudizio definitivo di tutte le contestazioni che potranno sorgere nel nostro Impero o nei paesi occupati dall’esercito francese, relativamente all’esecuzione del presente decreto. Il nostro Tribunale delle Prede di Milano sarà incaricato del giudizio definitivo delle dette contestazioni che potranno sorgere nell’ambito del nostro regno d’Italia;

Art. 10. — Comunicazione del presente decreto sarà data, dal nostro ministro degli esteri, ai re di Spagna, di Napoli, d’Olanda e d’Etruria, e ai nostri altri alleati, i cui sudditi sono vittime , come i nostri, dell’ingiustizia e della barbarie della legislazione marittima inglese.

Art. 11. — I nostri ministri degli esteri, della guerra, della marina, delle finanze, della polizia, e i nostri direttori generali delle poste, sono incaricati, ciascuno per ciò che lo concerne, dell’esecuzione del presente decreto.

Fonte: Rosario Romeo e Giuseppe Talamo (a cura di), Documenti storici. Antologia, vol. II L’età moderna, Loescher, Torino, 1966.

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Mario Mancini
Mario Mancini

Written by Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.

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