La dichiarazione d’indipendenza americana
The pursuit of happiness (1776)
La “Grande dichiarazione” (come venne presto chiamata la Dichiarazione delle colonie inglesi d’America ribellatesi alla madrepatria) fu preparata da un ristretto comitato composto da Thomas Jefferson — che poi la scrisse — John Adams, Benjamin Franklin, Roger Sherman e Robert Livingston e approvata dal Congresso il 4 luglio 1776. Essa contiene un lungo elenco di abusi commessi da Giorgio III d’Inghilterra; ma non è tanto su questi elementi che è basata la giustificazione dell’autonomia politica delle colonie, quanto sul tentativo perpetrato dal re di instaurare una forma di governo tirannica.
La filosofia politica della Dichiarazione è contenuta nel secondo paragrafo, dove è affermata l’uguaglianza di tutti gli uomini, il loro diritto alla vita, alla libertà, alla felicità, il dovere dei governi di provvedervi e il diritto dei governati di abbatterli se non vi provvedano.
Molti di questi principi, che erano stati già diffusi dai giusnaturalisti, trovavano ora una enunciazione in un documento politico destinato ad esercitare una larga influenza, nei lustri immediatamente successivi, in Francia (Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789) e si può dire in tutti i movimenti liberali del secolo decimonono.
Probabilmente il pensatore che fu più costantemente presente agli estensori della Dichiarazione americana fu Locke, sostenitore dei diritti dell’individuo nei confronti dello stato e di una società politica basata essenzialmente sul “consenso” dei suoi componenti.
Nel capitolo Della tirannide nei Two Treatises of Government [Due trattati sul governo] (1690) il filosofo inglese si era posto il problema della liceità di resistere ai comandi di un principe. L’ammissione di un tale principio avrebbe evidentemente sradicato ogni costituzione politica e lasciato al posto del governo e dell’ordine soltanto anarchia e confusione. Potevano però esserci casi in cui il «cattivo operato e l’oppressione» costituissero una minaccia per i beni, la libertà, la vita della maggioranza del popolo. In questo caso — concludeva Locke — «non saprei dire come si possa trattenere (il popolo) dal resistere alla forza illegale che lo opprime».
Il testo della Dichiarazione che qui si riporta è tratto da La formazione degli Stati Uniti d’America a cura di A. Aquarone, G. Negri, C. Sceiba, I, Pisa, 1961, pp. 416–20.
Sul problema cfr. The reign of George III [Il regno di Giorgio III], 1760- 1815 by J. Steven Watson (Oxford, i960), vol. XII della collana The Oxford History of England, e l’introduzione di A. Aquarone a La formazione degli Stati Uniti d’America cit., II, pp. VII-XXXI, con bibliografia.
L’Unanime dichiarazione dei Tredici Stati Uniti d’America
Quando nel corso di eventi umani, sorge la necessità che un popolo sciolga i legami politici che lo hanno stretto ad un altro popolo ed assuma tra le potenze della terra lo stato di potenza separata ed uguale a cui le Leggi della Natura e del Dio della Natura gli danno diritto, un conveniente riguardo alle opinioni dell’umanità richiede che quel popolo dichiari le ragioni per cui è costretto alla secessione.
Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e la ricerca della Felicità; che per garantire questi diritti sono istituiti tra gli uomini governi che derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati; che ogni qualvolta una qualsiasi forma di governo tende a negare questi fini, il popolo ha diritto di mutarla o abolirla e di istituire un nuovo governo fondato su tali principi e ad organizzarne i poteri nella forma che sembri al popolo meglio atta a procurare la sua Sicurezza e la sua Felicità.
Certamente, prudenza vorrà che i governi di antica data non siano cambiati per ragioni futili e peregrine; e in conseguenza l’esperienza di sempre ha dimostrato che gli uomini son disposti a sopportare gli effetti d’un malgoverno finché siano sopportabili piuttosto che farsi giustizia abolendo le forme cui sono abituati. Ma quando una lunga serie di abusi e di malversazioni, volti invariabilmente a perseguire lo stesso obiettivo, rivela il disegno di ridurre gli uomini all’assolutismo, allora è loro diritto, è loro dovere rovesciare un siffatto governo e provvedere nuove garanzie alla loro sicurezza per l’avvenire. Tale è stata la paziente sopportazione delle Colonie e tale è ora la necessità che le costringe a mutare quello che è stato finora il loro ordinamento di governo. Quella dell’attuale re di Gran Bretagna è storia di ripetuti torti e usurpazioni, tutti diretti a fondare un’assoluta tirannia su questi Stati. Per dimostrarlo ecco i fatti che si sottopongono all’esame di tutti gli uomini imparziali e in buona fede.
1) Egli ha rifiutato di approvare leggi sanissime e necessarie al pubblico bene.
2) Ha proibito ai suoi governatori di approvare leggi di immediata e urgente importanza, se non a condizione di sospenderne l’esecuzione finché non si ottenesse l’assentimento di lui, mentre egli trascurava del tutto di prenderle in considerazione.
3) Ha rifiutato di approvare altre leggi per la sistemazione di vaste zone popolate, a meno che quei coloni rinunziassero al diritto di essere rappresentati nell’assemblea legislativa — diritto di inestimabile valore per essi e temibile solo da un tiranno.
4) Ha convocato assemblee legislative in luoghi insoliti, incomodi e lontani dalla sede dei loro archivi, al solo scopo di indurre i coloni affaticandoli a consentire in provvedimenti da lui proposti.
5) Ha ripetutamente disciolte assemblee legislative sol perché si opponevano con maschia decisione alle sue usurpazioni dei diritti del popolo.
6) Dopo lo scioglimento di quelle assemblee si è opposto all’elezione di altre: ragion per cui il Potere legislativo, che non può essere soppresso, è ritornato, per poter funzionare, al popolo nella sua collettività, — mentre lo Stato è rimasto esposto a tutti i pericoli di invasioni dall’esterno, e di agitazioni all’interno.
7) Ha tentato di impedire il popolamento di questi Stati, opponendosi a tal fine alle leggi di naturalizzazione di forestieri rifiutando di approvarne altre che incoraggiassero la immigrazione, e ostacolando le condizioni per nuovi acquisti di terre.
8) Ha fatto ostruzionismo all’amministrazione della giustizia rifiutando l’assentimento a leggi intese a rinsaldare il potere giudiziario.
9) Ha reso i giudici dipendenti solo dal suo arbitrio per il conseguimento e la conservazione della carica, e per l’ammontare e il pagamento degli stipendi.
10) Ha istituito una quantità di uffici nuovi, e mandato qui sciami di impiegati per vessare il popolo e divorarne gli averi.
11) Ha mantenuto tra noi, in tempo di pace, eserciti stanziali senza il consenso dell’autorità legislativa.
12) Ha cercato di rendere il potere militare indipendente dal potere civile, e a questo superiore.
13) Si è accordato con altri per assoggettarci a una giurisdizione aliena dalla nostra costituzione e non riconosciuta dalle nostre leggi, dando il suo assentimento alle loro pretese disposizioni legislative miranti a:
1) acquartierare tra noi grandi corpi di truppe armate;
2) proteggerle, con processi da burla, dalle pene in cui incorressero per assassinii commessi contro gli abitanti di questi Stati;
3) interrompere il nostro commercio con tutte le parti del mondo;
4) imporci tasse senza il nostro consenso;
5) privarci in molti casi dei benefici del processo per mezzo di giuria;
6) trasportarci oltremare per esser processati per pretesi crimini;
7) abolire il libero ordinamento di leggi inglesi in una provincia attigua, istituendovi un governo arbitrario, ed estendendone i confini sì da farne nello stesso tempo un esempio e un adatto strumento per introdurre in queste Colonie lo stesso governo assoluto;
8) sopprimere le nostre carte statutarie, abolire le nostre validissime leggi, e mutare dalle fondamenta le forme dei nostri governi;
9) sospendere i nostri corpi legislativi, e proclamarsi investito del potere di legiferare per noi in ogni e qualsiasi caso.
Egli ha abdicato al suo governo qui, dichiarandoci privati della sua protezione e facendo guerra contro di noi.
Egli ha predato sui nostri mari, ha devastato le nostre coste, ha incendiato le nostre città, ha distrutto le vite del nostro popolo.
Egli sta trasportando, in questo stesso momento, vasti eserciti di mercenari stranieri per completare l’opera di morte, di desolazione e di tirannia già iniziata con particolari casi di crudeltà e di perfidia che non trovano eguali nelle più barbare età, e son del tutto indegni del capo di una nazione civile.
Egli ha costretto i nostri concittadini fatti prigionieri in alto mare a portar le armi contro il loro paese, a diventar carnefici dei loro amici e confratelli, o a cadere uccisi per mano di questi.
Egli ha incitato i nostri alla rivolta civile, e ha tentato di istigare contro gli abitanti delle nostre zone di frontiera i crudeli selvaggi indiani la cui ben nota norma di guerra è la distruzione indi- scriminata di tutti gli avversari, di ogni età, sesso e condizione.
Ad ogni momento mentre durava questa apprensione noi abbiamo chiesto nei termini più umili, che fossero riparati i torti fattici; alle nostre ripetute petizioni non si è risposto se non con rinnovate ingiustizie. Un principe, il cui carattere si distingue così per tutte quelle azioni con cui si può definire un tiranno, non è adatto a governare un popolo libero.
E d’altra parte non abbiamo mancato di riguardo ai nostri fratelli britannici. Di tanto in tanto li abbiamo avvisati dei tentativi fatti dal loro parlamento di estendere su di noi una illegale giurisdizione. Abbiamo ricordato ad essi le circostanze della nostra emigrazione e del nostro stanziamento in queste terre. Abbiamo fatto appello al loro innato senso di giustizia e alla loro magnanimità, e li abbiamo scongiurati per i legami dei nostri comuni parenti di sconfessare queste usurpazioni che inevitabilmente avrebbero interrotto i nostri legami e i nostri rapporti.
Anch’essi sono stati sordi alla voce della giustizia, alla voce del sangue comune. Noi dobbiamo, perciò, rassegnarci alla necessità che denuncia la nostra separazione, e dobbiamo considerarli, come consideriamo gli altri uomini, nemici in guerra, amici in pace.
Noi pertanto, Rappresentanti degli Stati Uniti d’America, riuniti in Congresso generale, appellandoci al Supremo Giudice dell’Universo per la rettitudine delle nostre intenzioni, nel nome e per l’autorità del buon popolo di queste Colonie, solennemente rendiamo di pubblica ragione e dichiariamo:
Che queste Colonie Unite sono, e per diritto devono essere, stati liberi e indipendenti;
che esse sono sciolte da ogni sudditanza alla Corona britannica, e che ogni legame politico tra esse e lo Stato di Gran Bretagna è, e deve essere, del tutto sciolto; e che come Stati liberi e indipendenti, essi hanno pieno potere di far guerra, concludere pace, contrarre alleanze, stabilir commercio e compilare tutti gli altri atti e le cose che gli stati indipendenti possono a buon diritto fare. E in appoggio a questa dichiarazione, con salda fede nella protezione della Divina Provvidenza, reciprocamente impegniamo le nostre vite, i nostri beni e il nostro sacro onore.
Fonte: Rosario Romeo e Giuseppe Talamo (a cura di), Documenti storici. Antologia, vol. II L’età moderna, Loescher, Torino, 1966.