La democrazia nella Rete

Estratto dal libro “Democrazia dello smartphone. Risorsa o pericolo?, di Luca Cerquatelli

Mario Mancini
12 min readNov 25, 2021

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Siamo lieti di pubblicare un estratto dal libro di Luca Cerquatelli Democrazia dello smartphone. Risorsa o pericolo? (goWare disponibile in cartaceo e digitale) da pochi giorni disponibile in tutte le librerie online e fisiche.

L’autore da 25 anni si occupa del rapporto tra politica e web ed è stato consulente di Gianroberto Casaleggio per lo sviluppo della piattaforma “Rousseau”. Un’esperienza che l’ha portato ad approfondire le molte relazioni tra democrazia, politica e rete.

Riflessioni che costituiscono l’ossatura di questo libro originalissimo che si completa con tre interviste a studiosi e attivisti di vaglio che hanno riflettuto e scritto sulla democrazia digitale.

Di seguito riportiamo il testo integrale l’intervista dell’autore a Massimo De Felice. Un testo che stimola il lettore su un sacco di piani.

Bella veramente!

Massimo Di Felice

Massimo Di Felice è docente di Teoria dell’opinione pubblica nei contesti digitali all’Università di San Paolo, in Brasile, dove ha fondato e dirige il centro di ricerca internazionale sulle reti digitali Atopos.

Direttore scientifico dell’Istituto Toposofia e cofondatore dell’Osservatorio internazionale di teoria sociale Sostenibilia dell’Università La Sapienza di Roma, è PHD in Scienze della comunicazione all’Università di San Paolo e dottore in sociologia presso l’Università La Sapienza di Roma.

Ha svolto attività di ricerca in diversi paesi ed è stato visiting professor alle università della Sorbona Descartes Parigi V, Paul Valery di Montpellier, Lusofona di Porto, La Sapienza di Roma.

È autore di articoli scientifici e di libri pubblicati in diverse lingue tra i quali Net-attivismo. Dall’azione sociale all’atto connettivo (2017) e Paysages post-urbains. La fin de l’expérience urbaine et les formes communicatives de l’habiter (2016).

L’intervista di Luca Cerquatelli a Massimo Di Felice

Crisi dei sistemi democratici e pandemia

Luca Cerquatelli (LC): Lei sostiene che i nostri sistemi democratici sono ormai “esauriti”, perché non sono in grado di fronteggiare i grandi cambiamenti climatici e l’innovazione tecnologica. Ritiene che l’attuale pandemia del coronavirus crei una nuova criticità da aggiungere ai due fattori precedenti? Quale saranno secondo lei gli effetti della pandemia sulle democrazie attuali in termini di digitalizzazione?

Massimo Di Felice (MDF): Allora, in primo luogo mi sembra molto evidente che la pandemia ha mostrato chiaramente come è cambiato il processo decisionale e come in contesti pandemici, e quindi in contesti ecologici complessi come quelli di Gaia, come quelli digitali, i processi decisionali non sono più dei processi esclusivamente politici nel senso occidentale del termine, ossia nel senso aristotelico, nel senso di Habermas e dell’agire comunicativo ecc., ossia i processi decisionali sono il risultato di interazioni complesse tra umani e non umani.

Il cambiamento dell’idea di governance

LC: La pandemia ha chiaramente messo in evidenza questo primo importante aspetto, quindi un cambiamento radicale dell’idea di governance, cioè dell’idea di che cosa sia un processo decisionale, perché nella tradizione occidentale abbiamo sempre pensato che le decisioni della politica, quindi l’agire politico, sia il risultato del pòlemos, della disputa delle diverse opinioni tra individui, tra cittadini e loro rappresentanti, tra le istituzioni create e composte solo da umani. La pandemia ci ha messi dinanzi a un’altra situazione: esistono altri attori che sono potentissimi, che sono in grado di mettere al tappeto l’economia mondiale, che sono in grado di sospendere tutte le libertà che noi pensavamo di avere come innate in quanto animali politici, e di metterci dinanzi a una realtà diversa. È stato evidente come le decisioni venivano prese, nel caso del governo italiano, in dialogo stretto con la comunità scientifica che non prendeva decisioni da sola ma le prendeva in dialogo con i dati. Quindi se noi dovessimo ricostruire l’ecologia dei processi decisionali all’interno della pandemia facendo un’analisi ristretta al contesto italiano, ma potrebbe essere fatta in qualunque Paese del mondo, dovremmo ricostruire una cartografia dove ci sono da un lato i portavoce rappresentanti politici, e dall’altro l’equipe di scienziati che monitorano la pandemia attraverso i dati. Quindi politici, scienziati, dati, algoritmi, software, lo stesso virus e le sue possibili origini (quindi anche il nostro rapporto con l’ambiente, la biodiversità le condizioni climatiche, i contesti sanitari di ogni Paese) che compongono una cartografia complessa all’interno della quale è possibile prendere delle decisioni e agire soltanto in forma adattativa, ossia non sono i soggetti umani che prendono le decisioni perché in un contesto di rete nessun membro della rete può agire da solo ma è sempre portato ad agire da altri, come dice Bruno Latour nella teoria “dell’attore-rete”, e quindi la decisione diviene un processo complesso di interazione tra entità diverse.

MDF: Questo complesso processo di interazione che caratterizza questo nuovo tipo di governance è possibile soltanto attraverso le architetture di rete, soltanto attraverso i dati. Questo quindi mi sembra la prima conseguenza, il primo effetto delle pandemie sulla democrazia. Il secondo è che ovviamente bisogna rivedere il concetto di società e conseguentemente anche di democrazia: bisogna pensare a delle nuove forme di architettura del sociale all’interno delle quali, oltre agli umani, ci siano i non umani, ci siano i virus, ci siano i dati, ci siano i software, gli algoritmi, le biodiversità, il clima ecc. Questo sta succedendo molto rapidamente, perché questa non sarà l’ultima pandemia, e soprattutto il nostro rapporto con l’ambiente dovrà essere la prevenzione a queste pandemie. Quindi prevedo un grande stravolgimento, probabilmente questa pandemia sarà il momento di svolta sui processi democratici dell’Occidente: l’inizio di una nuova fase dei processi decisionali.

Oltre la concezione umanocentrica

LC: Come mai nell’era dell’intelligenza plurale e dei big data tutto il mondo è stato colto impreparato dal coronavirus?

MDF: Perché l’idea di società è limitata a quella della polis, e l’idea della politica occidentale è limitata allo scambio di opinioni, di punti di vista dei partiti, del rappresentanti, dei leader o anche della popolazione; cioè pensiamo che il mondo è quello che sta intorno a noi e che siamo noi gli unici animali intelligenti, come diceva Aristotele, gli animali politici, e quindi siamo gli unici artefici del nostro destino. Scopriamo rapidamente quello che già le scienze biologiche ci dicono da sempre, che invece ci sono altre entità che coabitano e che influenzano la nostra esistenza e che la rendono possibile. Penso a tutto il discorso, per esempio, sull’importanza delle piante fatto da Mancuso: senza le piante non esisteremo, e le piante secondo lui sono le specie viventi più intelligenti del pianeta perché riescono ad adattarsi meglio, a vivere più a lungo spendendo meno energie, e creando delle forme di intelligenza distribuita per prendere decisioni. Quindi il coronavirus ci ha colto di sorpresa proprio perché noi siamo ossessionati da una concezione umanocentrica delle nostre società, continuamente distratti e alienati da dibattiti politici.

La Rete come ecosistema naturale

LC: Nel suo libro La cittadinanza digitale lei paragona la Rete a un ecosistema naturale, ipercomplesso e in equilibrio. In un ecosistema naturale però non esistono degli algoritmi creati da potenti multinazionali. Non ritiene che chi controlla questi algoritmi possa plasmare la Rete ai propri interessi? Un ecosistema, per definirsi tale, non dovrebbe essere decentralizzato?

MDF: Un ecosistema è una rete complessa, una rete di reti. Uno dei primi principi della rete non è la simmetria, l’uguaglianza, ma al contrario è l’asimmetria, questo vale per gli organismi vivi, per gli ecosistemi di organismi vivi, e vale anche per le reti digitali. I fenomeni di decentralizzazione sono all’interno delle reti digitali complementari, contemporanei, e analoghi ai fenomeni di centralizzazione. La Rete non è una rete di uguali ma è una rete di diversi, quindi ci sono forti concentrazioni e forti decentralizzazioni che si susseguono continuamente. Ti faccio un esempio: bisogna sempre uscire dalla logica sociopolitica, sociologica e di interpretazione e, dal mio punto di vista, invece avvicinarsi a una logica biologica, dei processi, o anche chimica se puoi, o neuronale. Pensiamo per esempio a come funziona il nostro cervello: è una rete di dati che risponde a degli input esterni, li elabora, e attraverso le sinapsi trasmette informazioni e risposte. Nel tuo caso, che stai facendo una ricerca su questi argomenti, se noi potessimo guardare e rappresentare graficamente le tue sinapsi su un grafico o su un disegno noteremmo che ci sono delle forze centralizzazioni su alcuni temi, visto che in questo periodo tu stai continuamente analizzando e ricercando alcune tematiche.
Quindi se dovessimo individuare le tue parole chiave, i nodi, i grovigli, avremo delle forti centralizzazioni su alcuni temi, e magari dispersione e sparizione di altre tematiche. Questo fa parte dei processi naturali delle reti, quindi è vero che ci sono le grandi cinque multinazionali, ma è pur vero che la Rete si è sviluppata attraverso la centralizzazione di questi gruppi e anche la loro capacità di innovazione. Gli algoritmi di Google funzionano perché riescono a sviluppare delle procedure su una quantità di big data infinita e quindi ci permettono poi di trovare le cose. Questi processi possono generare delle forme di influenza? Certamente, ma possono anche generare delle forme di risposta e quindi di critica a questa influenza, o degli altri algoritmi o forme di rete che possono svilupparsi in alternativa a questo.

La rete è continua trasformazione

MDF: La rete digitale un organismo vivo, non è stabile: quello che è centrale oggi non lo sarà domani, è un processo in continua trasformazione. Gli interessi economici sono anche il motore dell’innovazione digitale. Non abbiamo avuto Internet perché sia stata un’idea di qualche intellettuale o un progetto politico per i cittadini, noi l’abbiamo avuta — come anche la tipografia, i giornali, la radio, la televisione ecc. — perché ci sono stati gli interessi di mercato. Il libro è divenuto un oggetto di massa, e ha diffuso la lettura e quindi l’accesso alle informazioni e alla soggettività in Europa, soltanto quando è diventato un oggetto di consumo, cioè quando le prime case editrice hanno iniziato a venderlo, prima era rinchiuso nei monasteri è la popolazione non ne aveva accesso.
Oggi riusciamo a fare un dibattito anche su questi argomenti perché ci sono degli algoritmi di Google che ci permettono di trovare le informazioni e quindi di darci più contenuti sugli argomenti che noi vogliamo discutere e dibattere. Se ci viene il dubbio che gli algoritmi di Google influenzano e direzionano le nostre ricerche possiamo utilizzarne degli altri, ci sono altri motori di ricerca, forme alternative.
Ancora una volta la centralizzazione all’interno di una logica di rete è contemporanea e corrispettiva ai processi di decentralizzazione, non esistono gli uni senza gli altri, la Rete non è il luogo degli uguali, è il luogo dei diversi, quindi è il luogo delle forme vive. Nelle forme vive ci sono delle centralizzazioni e delle decentralizzazioni, e come tutte le forme vive queste non sono definitive, cambiano con il tempo, cambiano con innovazione tecnologica, le blockchain per esempio hanno creato un sistema di produzione di criptomonete che vengono prodotte e validate da tutti i membri della blockchain, e quindi non passano più nel per una banca centrale né sono emesse dallo Stato, un esempio chiarissimo. Wikipedia è un altro esempio, quindi all’interno delle reti esistono processi di centralizzazione piramidali e ci sono anche processi che vanno nella direzione opposta. Non è né il regno della centralizzazione, né il regno della decentralizzazione: è il regno della complessità.

Il cambio dell’idea di conoscenza

LC: Nel Manifesto per la cittadinanza digitale si parla di “infoviduo” e di passaggio del “soggetto politico alla persona digitale”. Dal 2012 a oggi, però, in concomitanza con l’esplosione dello smartphone e delle piattaforme social, i dati dell’indagine OCSE-PISA denotano un aumento medio dell’analfabetismo funzionale dei giovani. Non rischiamo di trovarci in futuro una cittadinanza digitale più ignorante rispetto a quella attuale?

MDF: Certo che questo rischio c’è, ma questo dipende dal fatto che stiamo cambiando radicalmente e rapidamente proprio l’idea di formazione e soprattutto l’idea di conoscenza. In un contesto dove tu hai tutti i contenuti, tutte le informazioni a un click, ovviamente il sistema scolastico dovrebbe trasformarsi e dovrebbe riorganizzarsi in forma completamente diversa dai contesti degli small data, ossia i contesti all’interno dei quali le informazioni erano “piccole” e poche. Il nostro sistema scolastico è stato fondato sulle biblioteche, sull’esistenza di dati concentrati in libri che possono essere accessibili agli individui attraverso un processo molto lento, che è il processo della lettura e dell’interpretazione, che ha tutta una serie di benefici. Però la nostra architettura di informazioni oggi non è più soltanto quella delle biblioteche, è anche quella dei dati, è quella dei big data, quindi di dati prodotti da altri dati, di database che producono autonomamente altri dati, di architetture rapidissime, automatiche di produzione ed elaborazione di dati. In questi contesti l’accesso all’informazione è immediato e sincronico, e avviene attraverso l’interazione tra individui e banchi di dati. Questo dovrebbe porre ai processi formativi delle domande e soprattutto delle risposte di adattamento. Non significa abolire il sistema delle biblioteche e il sistema degli small data, ma significa perlomeno integrarli o cercare di far dialogare questi mondi nel modo più efficiente possibile. Altrimenti si corre il rischio che le scuole e le università, come già succede purtroppo, parlino un linguaggio che non è più lo stesso delle nuove generazioni, abitino un mondo che non è più lo stesso. Questo è deleterio perché questa è la causa vera dell’analfabetismo funzionale dei giovani. Non si tratta di nozioni e svogliatezza, si tratta di linguaggio: il linguaggio delle nuove generazioni è diverso dal linguaggio delle generazioni anteriori. Quindi è necessario che i processi formativi, le scuole e le università cambino il loro linguaggio e che siano in grado di farlo trasportando anche tutta la tradizione, tutta la conoscenza basata sui libri, in questo mondo, che non era semplice traslazione è qualcosa di molto più complesso e sarà necessario essere veramente creativi. L’analfabetismo funzionale e il fallimento delle scuole e delle istituzioni di formazione dinanzi al cambiamento paradigmatico delle architetture digitali e dei big data.

La proprietà intellettuale

LC: Cosa ne pensa del caso Aaron Swartz? Ritiene che oggi ci sia sufficiente libertà di accesso alla conoscenza digitale e all’open data?

MDF: Conosco il caso Aaron Swartz dai giornali ma non ho elementi sufficienti per entrare nello specifico. Certo è un segnale forte, tremendo, ed è anche l’espressione ovviamente di processi complessi. Stiamo sempre in un processo di passaggio, di cambiamenti che sono repentini, che sono veramente qualitativi e che quindi creano queste forme di ibridazione tra processi di proprietà di dati e processi di decentralizzazione all’interno dei quali siamo ancora.
Anche qui un luogo di conflitto, la Rete è il luogo del conflitto, non è un parlamento (cioè un luogo di opinioni diverse), ma un ecosistema complesso più simile a una foresta, anch’esso un luogo di conflitto. È un luogo dove ogni specie deve procurarsi le forme di adattamento per cercare di riprodursi il più possibile, mantenersi il più a lungo viva e di perpetuarsi nel tempo. Anche nelle reti avvengono questi processi. Internet non è un luogo “del paradiso”, della giustizia e dell’uguaglianza, dove non ci saranno più schiavi. La Rete è il luogo della complessità e del conflitto, e quindi determinati rapporti di forza si confrontano anche in modo violento. Quindi da questo punto di vista la dimensione conflittuale della società rimane tutta, ma è basata su altre architetture ed ecologie.
Non si tratta più del conflitto delle idee e di interessi economici: la cosa è più complessa e ci sono conflitti relativi anche a nuove forme di moneta, nuove forme di valori, nuove forme di creazioni di significati, quindi non è la traslazione del rapporto di forza della società industriale all’interno delle reti, come la maggior parte degli analisti di rete fanno in modo meccanico, automatico e anche pigro. Non si tratta di rivedere soltanto le forze del capitale all’interno delle nuove forme di creazione di valore come dati ecc., la cosa è più complessa perché se cambiano le ecologie delle interazioni, se cambiano i contesti, cambiano anche il significato del valore: una criptomoneta non è una moneta digitale ma è qualcosa di diverso. I dati non sono il nuovo petrolio, è in corso qualcosa di diverso. Quindi è necessario, per chi ama un’interpretazione sociologica di questi processi, fare un’analisi critica e farla bene, senza trasportare per pigrizia, o per abitudine, o per un atteggiamento meccanicistico, i conflitti dell’epoca industriale della società capitalista all’interno dei conflitti di potere di grandi gruppi multinazionali e popolazione, perché è semplicistico e non funziona.
È necessario stabilire nuovi tipi di rapporti di forze, lo vediamo in questi giorni con la pandemia: il virus non era previsto nelle teorie critiche, in nessuna teoria sociale e manuale di economia, quindi stiamo dinanzi a un mondo nuovo per comprendere il quale sono necessari dei nuovi occhiali e un nuovo sguardo, e quindi una nuova teoria.

Da di Luca Cerquatelli, Democrazia dello smartphone. Risorsa o pericolo?, goWare, 2021, pp. 80- 89

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Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.