La conquista fascista dell’Etiopia

Due discorsi di Mussolini al popolo italiano (5 e 9 maggio 1936)

Mario Mancini
6 min readApr 2, 2020

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La guerra italo-etiopica si iniziò il 3 ottobre 1935 e terminò con l’entrata delle truppe italiane in Addis Abeba il 5 maggio 1936. Quali motivi spinsero Mussolini alla guerra? La pressione demografica che aveva portato la popolazione italiana nel 1935 ’36 ad oltre 42 milioni di abitanti? La crisi che attraversava l’economia italiana? La diminuita emigrazione in America e l’aumento della disoccupazione che, secondo i dati ufficiali rasentò, nel 1934, il milione di unità?

Tutti questi motivi furono certamente presenti, quale più quale meno, nella decisione di Mussolini, ma, a giudizio di Federico Chabod (L’Italia contemporanea, 1918-1948, Torino, Einaudi, 1961, pp. 90 sgg.), prevalente fu «il motivo politico, cioè la potenza, il prestigio della nazione… che fa tutt’uno con la sua potenza e col suo prestigio personale», secondo la legge delle dittature di compensare con successi all’esterno la perdita della libertà all’interno.

La situazione internazionale si presentava agli inizi del 1935 favorevole per l’Italia: il 7 gennaio era stato concluso, tra Mussolini e Laval, un accordo con il quale l’Italia rinunziava allo statuto privilegiato degli italiani in Tunisia e la Francia s’impegnava a non porre ostacoli ad un’azione italiana in Etiopia. Qualche mese dopo, nell’aprile, a Stresa si giunse ad un accordo tra Gran Bretagna, Francia e Italia (Mac Donald, Flandin e Mussolini) per una politica di pace e di rispetto dei trattati in Europa.

Di fronte all’incidente di Ual-Ual, al confine tra la Somalia italiana e l’Etiopia, avvenuto tra il 5 e il 6 dicembre 1934, la Francia assunse, pertanto, un atteggiamento favorevole nella sostanza all’Italia, mentre la Gran Bretagna puntava su di una soluzione del contrasto nell’ambito della Società delle Nazioni.

Di fronte ai preparativi di guerra italiani, l’Inghilterra tentò, mediante una missione di Eden a Roma (24 giugno 1935), una mediazione che non ebbe alcun esito.

Nel settembre la Società delle Nazioni tentava ancora una soluzione pacifica, ma senza risultato; cosicché nel mese successivo, dopo l’inizio delle operazioni militari, vennero approvate le sanzioni economiche contro l’Italia entrate in vigore il 18 novembre.

In realtà la minaccia di intervento navale da parte della Gran Bretagna, che per di più non corrispondeva ad un concreto disegno politico data la impreparazione militare inglese, fu controproducente perché contribuì ad aumentare il “consenso” degli italiani al fascismo.

Come accadde del resto per le sanzioni, che, mentre non vennero mai applicate per quelle merci veramente essenziali allo sforzo bellico italiano (petrolio, ferro, acciaio), diedero la sensazione agli italiani di poter superare la sfida di 52 paesi.

La guerra d’Etiopia segnò forse il punto più alto della parabola mussoliniana: sembrò che si fosse piegata non soltanto l’Etiopia ma le stesse grandi potenze dell’Europa occidentale.

Questa errata convinzione circa le capacità militari ed economiche dell’Italia segnò una svolta nella politica fascista, oramai sempre più decisa a perseguire i suoi fini espansionistici; il che avrebbe necessariamente portato ad un progressivo avvicinamento alla Germania, subordinando sempre più gli interessi italiani a quelli del nuovo alleato.

Si dà qui il testo dei due discorsi pronunziati da Mussolini il 5 e il 9 maggio 1936 per la conquista di Addis Abeba e per la proclamazione dell’impero, tratti da B. Mussolini, Opera omnia a cura di E. e D. Susmel, vol. XXVII, Firenze, La Fenice, 1959, pp. 265-66 e 268-69.

Sul periodo cfr. P. Renouvin, Le crisi del secolo XX, 1929–1945, trad. it., Firenze, Vallecchi, 1961 e F. Chabod, L’Italia contemporanea. In particolare sulla guerra d’Etiopia cfr. L. Salvatorelli, G. Mira, Storia d’Italia nel periodo fascista, Torino, Einaudi, 1964, cap. X (pp. 815-84) e R. Mori, L’impresa etiopica e le sue ripercussioni internazionali in La politica estera italiana dal 1914 al 1943, Torino, E.R.I., 1963, pp. 159-87.

1. Discorso di Mussolini del 5 maggio 1936

Camicie nere della Rivoluzione, uomini e donne di tutta Italia, Italiani e amici dell’Italia al di là dei monti e al di là dei mari, ascoltate!

Il Maresciallo Badoglio mi telegrafa: «Oggi 5 maggio alle ore 16, alla testa delle truppe vittoriose sono entrato in Addis Abeba».

Durante i trenta secoli della sua storia, l’Italia ha vissuto molte ore memorabili, ma questa di oggi è certamente una delle più solenni.

Annuncio al popolo italiano e al mondo che la guerra è finita.

Annuncio al popolo italiano e al mondo che la pace è ristabilita.

Non è senza emozione e senza fierezza che, dopo sette mesi di aspre ostilità, pronuncio questa grande parola, ma è strettamente necessario che io aggiunga che si tratta della nostra pace, della pace romana che si esprime in questa semplice, irrevocabile, definitiva proposizione: l’Etiopia è italiana.

Italiana di fatto perché occupata dalle nostre armate vittoriose, italiana di diritto perché col gladio di Roma è la civiltà che trionfa sulla barbarie, la giustizia che trionfa sull’arbitrio crudele, la redenzione dei miseri che trionfa sulla schiavitù millenaria. Con le popolazioni dell’Etiopia, la pace è già un fatto compiuto. Le molteplici razze dell’ex-impero del Leone di Giuda hanno dimostrato per chiarissimi segni di voler vivere e lavorare tranquillamente all’ombra del tricolore d’Italia.

Il capo ed i ras battuti e fuggiaschi non contano più e nessuna forza al mondo potrà mai più farli contare.

Nell’adunata del 2 ottobre io promisi solennemente che avrei fatto tutto il possibile onde evitare che un conflitto africano si dilatasse in una guerra europea. Ho mantenuto tale impegno e più che mai sono convinto che turbare la pace dell’Europa significa far crollare l’Europa.

Ma debbo immediatamente aggiungere che noi siamo pronti a difendere la nostra sfolgorante vittoria con la stessa intrepida e inesorabile decisione con la quale l’abbiamo conquistata.

Noi sentiamo così di interpretare la volontà dei combattenti d’Africa, di quelli che sono morti, che sono gloriosamente caduti nei combattimenti e la cui memoria rimarrà custodita per generazioni e generazioni nel cuore di tutto il popolo italiano; e delle altre centinaia di migliaia di soldati, di Camicie nere che in sette mesi di campagna hanno compiuto prodigi tali da costringere il mondo alla incondizionata ammirazione.

Ad essi va la profonda e devota riconoscenza della Patria e tale riconoscenza va anche ai centomila operai che durante questi mesi hanno lavorato con accanimento sovrumano.

Questa d’oggi è una incancellabile data per la rivoluzione delle Camicie nere, e il popolo italiano che ha resistito, come non ha piegato dinanzi all’assedio e alla ostilità societaria, merita, quale protagonista, di vivere questa grande giornata.

Camicie nere della Rivoluzione! uomini e donne di tutta Italia!

Una tappa del nostro cammino è raggiunta. Continuiamo a marciare nella pace per i compiti che, ci aspettano domani e che fronteggereino col nostro coraggio, colla nostra fede, colla nostra volontà.

Viva l’Italia!

2. Proclamazione della sovranità italiana sull’Impero etiopico
Discorso di Mussolini del 9 maggio 1936

Ufficiali ! Sottufficiali! Gregari di tutte le Forze Armate dello Stato in Africa e in Italia! Camicie Nere della Rivoluzione! Italiani e Italiane in patria e nel mondo! ascoltate!

Con le decisioni che fra pochi istanti conoscerete e che furono acclamate dal Gran Consiglio del Fascismo, un grande evento si compie: viene suggellato il destino dell’Etiopia, oggi 9 maggio, quattordicesimo anno dell’era fascista.

Tutti i nodi furono tagliati dalla nostra spada lucente e la vittoria africana resta nella storia della patria integra e pura come i legionari, caduti e superstiti, la sognavano e la volevano. L’Italia ha finalmente il suo Impero. Impero fascista perché porta i segni indistruttibili della volontà e della potenza del Littorio romano; perché questa è la meta verso la quale durante quattordici anni furono sollecitate le energie prorompenti e disciplinate delle giovani, gagliarde generazioni italiane. Impero di pace, perché l’Italia vuole la pace per sé e per tutti, e si decide alla guerra soltanto quando vi è forzata da imperiose incoercibili necessità di vita. Impero di civiltà e di umanità per tutte le popolazioni dell’Etiopia.

Questo è nella tradizione di Roma, che, dopo aver vinto, associava i popoli al suo destino.

Ecco la legge, o Italiani, che chiude un periodo della nostra storia e ne apre un altro, come un immenso varco aperto su tutte le possibilità del futuro:

1) I territori e le genti che appartenevano all’Impero di Etiopia sono posti sotto la sovranità piena e intera del Regno d’Italia.

2) Il titolo di Imperatore viene assunto per sé e per i suoi successori dal Re d’Italia.

Ufficiali! Sottufficiali! Gregari di tutte le Forze Armate dello Stato, in Africa e in Italia! Camicie Nere! Italiani e Italiane!

Il popolo italiano ha creato col suo sangue l’Impero. Lo feconderà col suo lavoro e lo difenderà contro chiunque con le sue armi.

In questa certezza suprema levate in alto, legionari, le insegne, il ferro e i cuori a salutare, dopo quindici secoli, la riapparizione dell’Impero sui colli fatali di Roma. Ne sarete voi degni? (la folla prorompe in un formidabile “Sì”).

Questo grido è come un giuramento sacro che vi impegna innanzi a Dio ed innanzi agli uomini, per la vita e per la morte!

Camicie Nere! Legionari! — Saluto al Re!

Fonte: Rosario Romeo e Giuseppe Talamo (a cura di), Documenti storici. Antologia, vol. II L’età conteporanea, Loescher, Torino, 1966.

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Mario Mancini
Mario Mancini

Written by Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.

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