La città di Manchester nella rivoluzione prima industriale

La testimonianza di un economista napoletano (1844)

Mario Mancini
15 min readMar 1, 2020

Vai agli altri capitoli del libro “Documenti storici”

Le pagine che seguono sono tratte da un saggio apparso anonimo, con questo titolo, nel «Giornale di Commercio» di Palermo (13 maggio-29 luglio 1844), e recentemente attribuito da F. Sirugo a Francesco Ferrara (Palermo 1810-Venezia 1900), massimo economista italiano del Risorgimento, allora giovane segretario della Camera di Commercio di Palermo.

In realtà autore dell’opera è Leon Faucher (Limoges 1803-Marsiglia 1854), pubblicista e uomo politico, collaboratore dei maggiori giornali francesi del suo tempo e direttore dal 1839 al 1842 del Courier français. Deputato, fu ministro dei lavori pubblici nel 1848 e nel 1851; si ritirò a vita privata dopo il colpo di stato del 2 dicembre.

Lo scritto su Manchester apparve dapprima su un giornale francese e fu poi tradotto in inglese nel 1844 col titolo Manchester in 1844. Esso costituisce uno splendido esempio di quella letteratura di indagine sui fatti e le condizioni sociali che, nata con l’illuminismo, doveva avere grande sviluppo proprio dall’esame della grandiosa trasformazione dell’Inghilterra in paese industriale: e il suo interesse è reso particolarmente grande dallo stesso oggetto dello studio, che è appunto quella Manchester in cui si realizzarono nel modo più tipico i fenomeni della classica rivoluzione industriale.

È tuttavia da avvertire che la tesi di un peggioramento delle condizioni delle classi lavoratrici inglesi nel periodò culminante della rivoluzione industriale, tra il 1780 e il 1840, che fu predominante se non esclusiva sino ai primi decenni del nostro secolo, è stata poi vivamente contestata, sulla base di accurati raffronti tra i livelli dei consumi precedenti e quelli del periodo or or menzionato.

Questa revisione ha dato luogo a una vivace discussione che è tuttora in corso tra gli studiosi, soprattutto inglesi. Cfr. per un primo orientamento P. Mantoux, La Révolution industrielle en Angleterre [La rivoluzione industriale in Inghilterra], Paris, 1906; T. S. Ashton, La rivoluzione industriale 1760-1830, trad. it., Bari, Laterza, 1953. Il testo de La città di Manchester è da vedere ora in F. Ferrara, Opere complete, vol. VI, parte 1, a cura di F. Sirugo, Roma, Associazione Bancaria Italiana, 1965, pp. 7-74; ivi, pp. 14-22, lo stralcio qui riprodotto. Cfr. T. S. Ahton, Economie and Social Investigations in Manchester, 1833–1933 [Indagini economiche e sociali su Manchester], London, 1934.

La città di Manchester

Nel principio dell’ultimo secolo, Manchester era una città di mercantuoli e di piccoli fabbricanti, che compravano dei tessuti crudi a Bolton e ne’ vicini villaggi, per tingerli e portarli attorno di fiera in fiera, a schiena di cavallo. Allora il commercio che mancava di capitali, si strascinava in affari a minuto. I fabbricanti vivevano con una parsimonia estrema, lavoravano e mangiavano insieme a’ loro domestici; una casa fabbricata di mattoni era il lusso di quei tempi. La manifattura propriamente detta stava dispersa pei tuguri. IL tessitore era una specie di manifattore domestico che comprava il filo, quando non potea fornirlo la sua famiglia, e vendeva in seguito il tessuto* sul prezzo del quale dovea rifarsi delle sue anticipazioni e buscava il salario del suo travaglio. La manifattura, a Manchester, si limitava alle operazioni chimiche, alla tintura e all’apparecchio; per tutto il rimanente, il capitalista urbano non era, come oggidì il fabbricante di Lione, che un commissionario o un mercante.

Nel 1760, la manifattura del cotone, concentrata nel Lancashire, occupava 40 mila artefici, la maggior parte tessitori. Vent’anni dopo, in onta allo sviluppo che tale fabbricazione avea ricevuto, Manchester non Contava 50 mila abitanti. Nel 1800, la forza produttiva in questa industriosa città non era ancora rappresentata che da 32 macchine a Sapore, equivalenti a 430 cavalli.

Si sa quali sieno Stati, i primi passi della potenza meccanica nell’industria. Le macchine, nelle manifatture, erano mosse da asini o da cavalli, e maneggiate da fanciulli. Il primo inventore della filatura, Watt, impiegava, dieci donzelle nella sua ufficina di Birmingham; i primi operai, di Arkwright non furono che fanciulli di Nottingham e di Crawford.

La casa Peel ne occupò fino a mille ne’ suoi opifici. I formidabili ordigni dell’industria, che i suoi storici, cercando delle analogie nella storia, han comparato alle cento braccia dì Bri areo, in origine non furono che apprendisti di 6 a io anni d’età, che si andavano a levare a truppe dalle case di carità. Furono degli orfanelli e de’ .figliuoli abbandonati coloro che innalzarono, eolie lor deboli mani, il tempio delle manifatture, e popolarono di una folla, ormai divenuta soverchia, i distretti manufattori.

L’atto dell’anno XIV di Giorgio III, che rilascia il diritto addizionale di 3 danari per yard su calicots [stoffa leggera di cotone greggio] lavorati in Inghilterra, dice in termini precisi, per ispiegare una tale concessione, che: molte centinaia di poveri sono impiegati nelle nuove fattorie. Questa popolazione va sempre crescendo, benché ogni nuovo passo della meccanica produca l’effetto di diminuire il numero degli operai necessari in ciascuno de’ rami dell’industria. Un filatore odierno produce in un giorno più di quanto avrebbe fatto anticipatamente in un anno; M. Baines ha calcolato che 150 mila filatori, dirigendò altrettanti mule jenny, faceano il lavoro di 40 milioni di lavoranti; all’antico filatoio. Dopo l’invenzione del telaio self acting e della tessitura meccanica, la produzione tende ancora ad accrescersi, perché la manifattura è puramente automatica, e l’uomo non deve che sorvegliare nei suoi effetti l’azione dell’acqua e del vapore.

L’incremento della popolazione nel Lancashire trova una; naturale spiegazione in quello della produzione. Al tempo stesso che la popolazione della contea saliva da 300 mila ad 1 milione e 660 mila, e quella di Manchester da 40 a 306 mila, la manifattura del cotone, nel regno, portava da 3 a 603 milioni di lire il consumo annuale e il valore de’ suoi prodotti, malgrado il continuo discalo de’ prezzi,, saliva da 800 mila a 36 milioni. Oggidì il Lancashire possiede tre quinti di tutti gli stabilimenti dedicati alla filatura e tessitura del cotone, e più di 100 ne esistono nella sola Manchester.

La topografia industriale della contea di Lancastro è curiosa oltremodo; Manchester è collocata, come un diligente ragno, nel centro della tela, ed estende le sue strade ferrate verso gli ausiliari, della fabbrica, villaggi una volta, città anch’esse oggidì, e quasi sobborghi della grande città. Sulla strada di Leéds, ad una lega da Manchester, sono Oldham co’ suoi 60 mila abitanti, Bury, Rochdale, e Halifax, ciascuna delle quali conta da 24 a 26 mila, abitanti. La strada di Bolton riunisce a quest’altra città Preston e Chorley, che possiedono insieme cento filande, e 114 mila abitanti.

Sulla strada di Sheffield, non fa bisogno che di pochi minuti per toccare gli stabilimenti di Staley-Bridge, Ashton, Dukinfield, e Hyde, popolati da più che 80 mila persone. La strada di Birmingham incorpora, diremo così a Manchester ì 30 mila abitanti di Stockport; e quella di Liverpool la unisce a Wigan e Warrington. Quindici o sedìci fucine d’industria brillan così attorno a questa grande costellazione.

Un ordine, partito la mattina da Liverpool, è discusso tra i fabbricanti alla borsa di Manchester, verso mezzodì: la sera è distribuito tra le manifatture de’ dintorni. In meno di 8 giorni, il cotone filato a Manchester, a Bolton, a Oldham o nelle vicinanze di Ashton, è tessuto nelle fabbriche di Bolton, di Staley Bridge, o di Stockport; è tinto e stampato a Blackburn, a Chorley o a Preston, apparecchiato, misurato, impacchettato a Manchester. Per questa divisione di travaglio fra le città, nelle città fra le fabbriche, nelle fabbriche tra gli operai, l’acqua, il carbone, le macchine travagliano senza riposo; l’esecuzione va rapida come il pensiero l’uomo partecipa in certo modo alla potenza della creazione; l’uomo decreta che il tessuto si faccia, e il tessuto è già fatto.

Manchester, che tiene agli ordini suoi e come nel suo pugno tutte queste agglomerazioni industriali, ella stessa forma una aggregazione la più straordinaria, la più interessante, e sotto alcuni riguardi la più mostruosa che il progresso delle società abbia improvvisato. La prima impressione non vi previene in favor suo: il sito non ispicca, e l’orizzonte è fosco. A traverso i vapori che esalano da questa paludosa contrada, e sotto la nebbia di fumo che sgorga dalle sue officine, il travaglio ha un che di mistero, di simile all’attività sotterranea d’un vulcano.

Non grandi linee, non sommità che guidino l’occhio, e l’aiutino a misurare quel vasto insieme. La città non si distingue né pe’ contrasti che erano il carattere delle città de’ bassi tempi, né per la simmetria che presentano le città di recente formazione. Tutte le case, tutte le strade si rassomigliano; ma è l’uniformità in mezzo alla confusione. Guardandovi un po’ più da vicino, un cert’ordine nondimeno si scopre. Manchester è situata al confluente d’una piccola riviera, l’Irwell ingrossata dall’Irk, e d’un ruscello, il Medlock. L’Irwell separa Manchester dal suo principale sobborgo, dalla vecchia città che ha dato nome al distretto di Salford; sulla riva sinistra del Medlock è un’altra dipendenza, di Manchester, Chorlton on Medlock, che nel 1801 aveva 675 abitanti, ed oggi ne ha 30 mila. Le manifatture e gli opifici formano un recinto attorno alla città e seguono il corso delle acque. Ergono i loro sette piani lungo l’Irwell, e sul margine de’ canali che, penetrando più innanzi in Manchester, vi formano una linea interna di navigazione.

Le acque dell’Irk, nere e puzzolenti, servono alle concerie ed alle tintorie, quelle del Medlock alle stamperie, alle fabbriche di macchine, ed alle fonderie. Il margine dell’Irwell, che sembra essere stato la prima sede di questo incivilimento, oggi tuttavia ne forma il centro. Lungo il suo corso sono collocati gli edilizi municipali. Discendendo dalla collina su cui s’innalza la casa de’ poveri, s’incontrano il collegio, la vecchia chiesa [old church], la Borsa, e dall’altro lato i tribunali e le carceri. Da Pendleton alla via di Londra, una grande strada tronca, che traversa la città da Ponente a Levante, offre alle sue estremità le botteghe dove gli artefici si provvedono, e al suo centro, in Market-Street, in Piccadilly, i magazzini di lusso, le librerie, gli uffici dei giornali.

Il quartiere aristocratico di Mosley Street, che taglia Market-Street ad angolo retto, riunisce i banchi, dove i fabbricanti di Manchester e de’ contorni si pongono a contatto col movimento degli affari. Nell’angolo delle due strade son concentrati i depositi delle materie prime e delle mercanzie manufatte. Le strade ferrate, come quelle che ultime sono state a venire, si fermano a’ punti esterni di questa circonferenza, quelle di Liverpool e di Bolton ad Occidente, quelle di Leeds, di Sheffield, e di Birmingham ad Oriente.

Da queste combinazioni, indifferenti in apparenza, risulta una grande economia di tempo e di spese nella produzione. Forse vi è da dolersi del poco spazio che si è riserbato agli uomini, della mancanza di pubbliche piazze, fontane, alberi; passeggi e siti ventilati; ma certo, era difficile avvicinare di più i prodotti al mercato, le macchine a’ motori, la mercanzia a’ mezzi di trasporto. Le strade di ferro giungono, sostenute da archi, sino al punto in cui comincia la pena di andarle a cercare; i canali passano sotto le strade, ramificandosi in tutti i quartieri e portando i battelli da carbone sino alla porta delle filande o sino alla bocca de’ fornelli. Manchester non presenta né il moto di Liverpool, né quello di Londra.

Nella più gran parte della giornata, la città è silenziosa e pare deserta. I trasporti si sdrucciolano taciturni sopra i canali, non già a pie’ de’ palagi come in Venezia, ma in mezzo a due siepi di filande, che si dividono l’aria, l’acqua ed il fuoco. I convogli volano sulle strade ferrate e rendono il viaggiare delle moltitudini così semplice com’era altra volta quello degli individui. Non si ode che la respirazione delle macchine, il sibilo delle fiamme che scappa dalla sommità de’ cammini, lanciando, direm così, verso il cielo, in segno di omaggio, i sospiri del travaglio che piacque al creatore imporre all’uomo.

A certe ore della giornata, la città si rianima. Gli artefici che entrano e sortono negli opifici, riempiono a migliaia le strade; la Borsa si apre, e la folla vi affluisce de’ capi di questa immensa popolazione di artefici. Ma anche nelle ore in cui gli uomini dan libero campo a’ lor sentimenti, il carattere grave ed aspro dell’abitante di Manchester non perde un atomo delle abitudini che gli imprimono le occupazioni troppo esclusive dell’industria.

Il Dr. Taylor che ha visitato il Lancashire durante la crisi commerciale del 1841, e che è un pittore alquanto ottimista benché esatto in generale, descrive ne’ termini seguenti le impressioni in lui lasciate da Manchester.

«È una città di affari, dove il desiderio de’ piaceri non si sente, e il divertirsi va appena contato per una occupazione di second’ordine. Le persone che s’incontrano per le strade han sempre un’aria di preoccupazione, ed un andare accelerato. Non si vedono che pochissime vetture particolari; non esiste che una sola strada in cui si trovino delle ricche botteghe, e questa medesima è d’una data recente».

«Tra i pochi edifici di stile monumentale, un solo è consacrato alle ricreazioni degli abitanti; gli altri appartengono al culto, alla carità, alla scienza, agli affari. La Borsa è il parlamento de’ lord del cotone, è la loro assemblea legislativa, un’assemblea che emana decreti così immutabili come quelli de’ Medi e de’ Persi, ma nella quale, all’inverso di tutti i parlamenti del mondo, poco si parla e molto si fa. Affari di un immenso interesse si compiono con un sol cenno di capo, con un sol aguzzare di sguardo, con un sol stringer di spalle, laconismo in faccia al quale la concisione spartana saprebbe d’insipida e puerile ciarlataneria. Si ha memoria vaga e lontana d’aver veduto una volta qualcuno che parlava alla Borsa; ma se ne fa menzione ne’ termini in cui si racconterebbe che nella chiesa di S. Pietro fu ballata una giorno la sarabanda, o che Arlecchino ha recitato le sue farse nel venerando recinto di Old Bailey».

«Ciò che distingue l’assemblea, è il talento e l’intelligenza, applicati alle grandi speculazioni dell’industria; genio, e stupidità, sono ugualmente difficili a rinvenirsi. Se il livello intellettuale non è molto elevato, nessuna facoltà resta nondimeno disimpiegata.

M’è accaduto di visitare Manchester in un’epoca di prosperità ed attività commerciale; più tardi, l’ho vista nel periodo della sventura e del ristagno. Nella prima di queste due posizioni, uno straniero si sarebbe creduto in mezzo ad una comunità di Dervish danzanti, che hanno per regola silenzio e movimento perpetuo. Sembrava che ciascuno fosse incapace di rimanere in un posto più di due o tre minuti secondi. Ogni uomo a Manchester ha per principio che a’ nulla si è fatto finché resti qualche cosa da fate». Dategli l’occasione, ed egli intraprenderà a provvedere tutti i mercati tra Lima e Pekino; ed egli si sentirà orribilmente tormentato se, per una distrazione, abbia omesso un piccolo villaggio che potrebbe comprare un gomitolo de’ suoi filati, o un yard de’ suoi tessuti.

«L’aspetto della Borsa, nel periodo della crisi, è spaventoso davvero. Fosco ed inquieto è il contegno di coloro che la frequentano; l’ardore dello spirito è mutato in ostinazione. I manufattori sembrano persuasi che gli sfuggono dalle mani i profitti, se non anche i capitali, e son decisi di sopportare una certa somma di perdite, ma non lasciarsi trascinare al di là. Sieno attivi o lenti gli affari, la Borsa non dura più d’un’ora; tosto che l’orologio ha battuto le due pomeridiane, l’assemblea comincia a sparire insensibilmente e senza rumore; prima delle tre la Borsa è vuota e deserta come una delle catacombe d’Egitto».

Tali abitudini sentono l’origine della popolazione. Nelle città manufatturiere della Francia, il travaglio fu innestato sullo stato sociale preesistente. Mulhouse era una città libera ed aveva delle tradizioni politiche che hanno impresso una speciale fisonomia alla sua industria; si direbbe una sola famiglia di fabbricanti; tanto si sostengono a vicenda, e tanto gli operai vi sono paternamente trattati. Lione è una città letteraria e religiosa, del pari che industriale; la nobiltà ed il clero vi hanno i loro particolari quartieri, dal fondo de’ quali prendono parte al governo della città. Rouen appartiene alla gente del foro non meno che a’ possessori delle fabbriche ed a’ proprietari di terre.

Là trovasi ognuno degli elementi il cui concorso forma ciò che si chiama società. Ma a Manchester l’industria non ha più trovato che sé medesima; tutto vi è simile e tutto vi è nuovo; non ci sono che padroni ed artefici. La scienza, che i bisogni dell’industria spesso concorrono a sviluppare, comincia adesso a prendere stanza in quelle contrade; Manchester ha una Società di statistica, e la chimica vi è tenuta in onore; ma le lettere e le

arti non vi hanno alcun corso. Il teatro non serve punto a raffinare il gusto, e non appresta se non ciò che abbisogna ad una massa occupata, de’ grossolani sollazzi. In fatto di opinioni politiche predomina lo spirito radicale. In materia di sette religiose, le più moderne ottengono la preferenza: Manchester contiene più metodisti, quacqueri, e indipendenti, che partigiani della chiesa stabilita. Questa città realizza, in certo modo, l’utopia di Bentham: tutto vi si misura col principio dell’utilità: e il bello, il grande, il nobile, non sortiranno per certo che da questa sorgente, se mai avverrà che vi nascano.

Il lusso delle vetture e de’ cavalli, ed ogni altro sfoggio qualunque è ignoto a Manchester. Il che non viene soltanto dalla parsimonia e dalla austerità che pongono i fabbricanti nella loro domestica economia; proviene ancora, anzi sopra tutto proviene da difetto di classi superiori che (e la novella aristocrazia non differisce in ciò dall’antica) non passano la vita loro a Manchester. La città propriamente detta, fu già notato dal Dr. Kay Shuttleworth, non è abitata che da’ bottegai e dagli artefici; i mercanti e i fabbricanti risiedono ne’ sobborghi in casine circondate da un parco ò da una villetta.

Questa esistenza circoscritta dall’angusto orizzonte della famiglia, esclude le sociali relazioni; è una specie d’absenteismo locale. Avviene fin anco che, al serrarsi dei banchi, al cessare delle pulsazioni delle macchine, sul far della sera, tutto ciò che era pensiero, l’autorità, la forza impulsiva, l’ordine morale di questo immenso opificio, tutto dispare in un atomo. Lo strato superiore della società si ripiega sulle campagne; Manchester è abbandonata fin al domani in potere degli operai, de’ tavernai, de’ mendicanti, de’ malfattori, delle prostitute, della polizia incaricata di apportare in questo scompiglio un po’ d’ordine materiale.

In che modo questa popolazione si occupa nelle due o tre ore di riposo e di libertà che le rimangono frammezzo al travaglio ed al sonno? Sembra che dopo una giornata di 14 ore, durante la quale il marito travaglia da un lato, la moglie ed i figli dall’altro, i membri della famiglia che erano forzosamente disciolti, dovrebbero sentirsi felici a tornare in casa, a rivedersi, a respirare insieme un momento; ma il focolare domestico, tanto per effetto delle circostanze, quanto per colpa delle abitudini, non seduce per nulla quegli operai. Dopo un desinare di pochi istanti, uomini, donne, fanciulli, errano per le strade o si avviano verso le bettole.

Quando si percorrono, la sera, i quartieri poveri A Angel-Meadow, Garden-Street, New-Town, Saint-George-Road, Oldham-Road, Ancoats-Street, e quello che si addita sotto il nome di Petite-Irlande, si vedono le porte delle case aperte, e la folla vi urta co’ gomiti; se il tempo è freddo o piovoso, la taverna si riempisce e la strada si vuota; se il tempo è sereno, la strada usurpa i dritti della taverna.

Nel mezzo di queste truppe, si ravvisano a colpo d’occhio gli operai irlandesi, che montano al numero di 35 o 40 mila. Gli inglesi vanno a piccoli gruppi, o anche isolati, salvo il caso di dovere insieme discutere un grave interesse comune, come aumento di salari e diminuzioni di travaglio.

Gli irlandesi son sempre in istato di agitazione perpetua. Sovente si radunano a centinaia nell’angolo d’Oldham-Road, o A Ancoats- Street. Uno fra loro legge ad alta voce le notizie d’Irlanda, i proclami d’O’Connel, o le circolari della associazione; e la folta schiera li comenta a tutto fiato e sino a più non finirne. Gli irlandesi a Manchester sono così ordinatamente congiunti, e per dirla con una frase militare, sentono talmente i loro gomiti, che in un batter d’occhio, a un semplice segno, si può riunirne un par di migliaia sopra un punto medesimo.

Pochi anni fa, gli operai irlandesi formavano la parte più abbietta della popolazione; le loro abitazioni, erano le più mal sane e più: sucide; i loro figliuoli erano i più trascurati. Là, ne’ sotterranei da essi abitati, si distillavano in contrabbando de’ grossolani liquori spiritosi.

La miseria, la febbre, l’ubriachezza, il mal costume, il furto vi regnavano costantemente. Là era il ricovero de’ vagabondi e de’ malfattori. Ogni giorno qualche rissa doveva scoppiare in quelli orrendi quartieri, qualche delitto dovea insanguinarli.

Tali fatti, de’ quali si trovan le tracce in tutte le inchieste parlamentarie ed amministrative che da 12 anni in qua si sieno pubblicate, oggi han subito un notevole cangiamento. Le prediche del P. Mathew, secondate dagli sforzi del clero cattolico, han cominciato a sollevare quegli infelici dalla loro degradazione. Essi si ubriacano meno, e men facilmente perciò vengono a risse.

La domenica 22 luglio 1843, ventimila di loro avea preso l’impegno d’astenersi da’ forti liquori (taken the pledge) il lunedì la polizia ebbe a raccogliere metà degli ubriachi e de’ delinquenti che prima soleva. I tavernai (publicans) alzavano le loro grida. Quegli che era solito mescere il gin a cinquanta persone alla vòlta, appena se ne vedeva 15 o 20.

Ciò che più è da notare, è la sorveglianza esercitata dal clero sulla educazione de’ fanciulli. Abbandonati a sé stessi, nell’età più tenera, corrono le strade laceri e scalzi, mentre che i loro parenti stanno ad ubriacarsi; ed ogni anno la polizia ne raccoglie 506 mila, traviati o abbandonati. In una città così fatta, sono certamente ammirevoli preti cattolici che tengono aperte ogni sera le loro cappelle come una specie di asilo, in cui la gioventù d’ambo i sessi si tenga occupata a cantare delle sacre strofe, o ad ascoltare la voce del suo pastore. Si vedono la domenica da 5 a 6 mila di queste tenere creature, sfilare in processione sotto la bandiera di Saint- Patrick; e la semi-nettezza, la decenza di questa truppa infantile, è il progresso più grande ed il meno previsto, che all’occhio dell’osservatore è dato notare.

Nel tutto, Manchester ha guadagnato dalla parte dell’ordine apparente. Dacché la nuova polizia fu istallata, le strade son più tranquille, se non più sicure. Non vi ha più bisogno, come 12 anni addietro, di installare, ogni domenica, presso il constabile (4) onde allontanare dalla pubblica via i cattivi soggetti, nel momento in cui le famiglie sortissero per andare al servizio divino. Una forza di 390 uomini, sotto l’energica direzione del Soprintendente M. Beswick, è più che bastevole a reprimere le contravvenzioni e i delitti, in una città la cui popolazione sorpassa quella di Liverpool; il che prova abbastanza che i costumi a Manchester si son fatti men violenti, e gli abitanti son più occupati.

Ad onta di questo apparente progresso, i delitti si accrescono…

Fonte: Rosario Romeo e Giuseppe Talamo (a cura di), Documenti storici. Antologia, vol. II L’età conteporanea, Loescher, Torino, 1966.

--

--

Mario Mancini
Mario Mancini

Written by Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.

No responses yet