Kerouac: we gonna go
I 100 anni dell’errante Jack
di Daniele Dottorini
Estratto da: Sentieri Selvaggi, n. 12, p. 105
Un movimento aperto
Cento anni sono passati dalla nascita di Jack Kerouac. Le ricorrenze, si sa, hanno senso allorquando diventano uno spunto di riflessione, non una nostalgica agiografia.
Dunque: perché parlare di un autore così legato a un’epoca e a una cultura che sembrano oggi lontanissime? Forse proprio per questo.
Più pensiamo a Kerouac, alla Beat Generation, a un’idea di erranza e di viaggio — sostenuti e arricchiti da quella atmosfera zen che circolava nella San Francisco di quegli anni — più il pensiero si sposta su un’idea di cinema, di immagine che non si limita agli esempi classici, canonici (Easy Rider di Dennis Hopper, More di Barbet Schroeder, Punto zero di Richard C. Sarafian), ma a una idea di cinema che riflette il movimento aperto, libero e sincopato della scrittura di Kerouac.
I road movie
Certo, è molto facile riproporre la classica associazione tra il movimento continuo che caratterizza storie e scritture di Kerouac e filoni narrativi come il Road Movie. Ma il pensare Kerouac dal punto di vista del cinema non passa da qui, passa da una forma, e da uno sguardo.
La scrittura, come forma del cinema. Occorre rileggere lo stile rapido ed essenziale di Kerouac nei suoi scritti.
Le descrizioni sono colpi d’occhio, messe a fuoco rapide dello sguardo, improvvise inserzioni della memoria, come nella prima pagina de I vagabondi del Dharma:
“Nei pressi di Camarillo, dove Charlie Parker era uscito di senno e poi era tornato in sé, un piccolo vecchio sparuto vagabondo si arrampicò sul mio stesso pianale”.
C’è già tutto in fondo: il gesto, minimo, essenziale e lo scarto, l’associazione mnemonica (Camarillo, l’istituto psichiatrico dove Parker fu ricoverato tra il ’46 e il ’47).
Inquadrature brevi, flashback, frasi blues, fraseggi jazz. Si possono rileggere i testi di San Francisco Blues e trovarsi di fronte a un montaggio ritmato secondo un andamento jazz, in cui ogni verso suggerisce un’inquadratura, o un movimento di macchina.
E tutti insieme diventano un riff, una melodia e un rapido assolo, sguardi fatti di musica e scrittura che coprono tutto il mondo.
Perché il mondo è un Occhio
E l’universo Vede
Liquido
Raro
Radiante.
Un autore profondamente cinematografico
I libri di Kerouac sono profondamente cinematografici, ma non per quello che raccontano.
Quello dello scrittore è un montaggio in cammino, sincopato, fatto di scarti, salti improvvisi. Per lui si trattava di fondare su questo una libertà dello sguardo, della narrazione, del movimento.
Il cinema “On the Road” degli ultimi decenni è quanto di più lontano si possa immaginare dalla scrittura di Kerouac.
Essere sulla strada significa per molti film seguire una serie prefissata di tappe, che porteranno alla risoluzione del viaggio.
Nessuna deviazione, nessuno scarto. La scrittura domina come gabbia.
Il cinema attraverso Kerouac
Vengono però in mente anche altre immagini, che scartano, che si insinuano potenti nel panorama contemporaneo. Sguardi che portano comunque avanti un’idea di cinema libero e aperto alla deviazione, all’assolo, al detour; un cinema capace dunque di aprirsi all’inquietudine del mondo contemporaneo, come Kerouac, Burroughs, Ginsberg facevano decenni prima.
Ci vengono incontro le erranze dei personaggi dei film di Gus Van Sant, gli scarti ironici e folli dei corpi in movimento nei film di Jim Jarmusch, i viaggi quasi mitologici di Robert Kramer (Route OneUSA), il lavoro di smontaggio progressivo delle regole della serialità che fa Steven Soderbergh in Mosaic o in The Knick; il tempo lungo del passeggiare e del parlare nella trilogia del Before di Richard Linklater, e così via, anche uscendo dai confini del cinema USA o del cinema di finzione. S
i apre dunque un percorso di domande, di connessioni, di percorsi critici: la ricorrenza inverte il suo sguardo e ci permette forse di pensare il cinema di oggi attraverso Kerouac, o almeno di cominciare a farlo, come esercizio critico, diremmo necessario.
Da: Sentieri Selvaggi, n. 12, p. 105