In Vino Veritas

di Mario Soldati

Mario Mancini
17 min readFeb 16, 2021

Racconto della domenica

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Corriere della sera, domenica 14 agosto 1983
Un racconto di Mario Soldati con un finale da indovinare
a cura di Paolo Marcucci

L’illustrazione che accompagnava il racconto di Mario Soldati pubblicato dal “Corriere della Sera”.

Pubblichiamo questo introvabile racconto di Mario Soldati comparso sul Corriere della Sera alla vigilia di Ferragosto del 1983. Il racconto è stato recuperaro grazie a un vago ricordo di Paolo Marcucci che lo ha condiviso con l’Associazione Mario Soldati e Anna Cardini Soldati, nuora dello scrittore. Grazie all’interessamento dell’Associazione e della signora Soldati si è riusciti a risalire al titolo del racconto e alla sua data di pubblicazione. Paolo Marcucci ha potuto così reuperarlo dall’Archivio storico del Corriere della Sera.

Qui la riproduzione della pagina del Corriere con il racconto di Soldati.

Buona lettura!

In Vino Veritas

Il Presidente del Tribunale della Spezia ha chiamato il mio amico Gigi Arnaudi, maresciallo comandante la stazione dei Carabinieri di Sarzana per chiedergli un rapporto informativo sul caso Moizio. Entro un mese, il magistrato deve decidere se dichiarare o no la morte presunta dell’anziano possidente.

Il Maresciallo è arrivato da poco in quella sede e non conosce la storia, nemmeno per sentito dire. Il giudice non ha tempo né voglia di metterlo al corrente dei fatti, ma spiega al Maresciallo che l’istanza viene da pane della moglie, ansiosa di poter disporre del patrimonio e forse di risposarsi. Ammicca: gran bella donna, marescià. E lo congeda con la intesa che il Maresciallo rinfrescherà la pratica senza alzare troppa polvere. Vedrà lui stesso, del resto: un caso doloroso, ma chiaro. Almeno, così sembra a tutti.

Il Maresciallo si fa mettere al corrente dal carabiniere più anziano, il quale era già in servizio a Sarzana all’epoca del fatto. Un caso atroce, ma non unico nella storia criminale recente. Il Moizio era stato rapito dentro la sua proprietà da quattro banditi mascherati e armati. Lo avevano portato via sotto gli occhi della moglie terrorizzata e dell’autista. Costui aveva tentato coraggiosamente di difendere il padrone e si era presa una brutta botta in testa, necessario ricovero all’ospedale.

Il carabiniere ricorda bene, c’erano state trattative per il riscatto, condotte personalmente dalla vedova che aveva chiesto il silenzio stampa e la neutralità degli inquirenti. I negoziati non avevano condotto a niente e a poco a poco erano finiti nel nulla. Secondo la voce pubblica, il colpo era stato fatto da una banda di sardi: il vecchio, sofferente di cuore, gli era morto In mano, e quelli avevano fatto scomparire Il cadavere, dandolo in pasto ai maiali.

Il Maresciallo vuole saperne un po’ di più e, come è sua abitudine, va diritto alla fonte. La vedova Moizio è, lo aveva detto il Presidente, una bella donna, dotata di una forte carica di sensualità, e altrettanto energica. Magra, alta, il volto un po’ caprino, sorriso fisso e vagamente sprezzante, capelli rossi con una ciocca compatta di traverso sulla fronte.

Risponde a tutte le domande del Maresciallo, con una franchezza sconcertante e spesso aggressiva. Non vuole apparire diversa da quello che è e quindi racconta lei stessa, senza farsela chiedere, la storia del proprio ingresso nella casa del Moizio. VI era entrata come domestica tuttofare, che era ancora minorenne, e il Moizio, già anziano, aveva appena perso la prima moglie. In principio, il padrone si era dato da fare, come tutti gli uomini quando una donna giovane comincia a girare per casa. L’aveva portata a letto praticamente con la forza, ma poi si era messo a volerle bene davvero. Fin ché, lei si era fatta sposare. Non poteva lamentarsi di i questo suo matrimonio con un uomo tanto più vecchio. Non ne aveva sentito il peso, anche perché era durato tutto molto poco. Qualche mese dopo le nozze erano venuti a portarglielo via.

Il Maresciallo ha ascoltato, in silenzio e con un volto senza espressione il racconto della donna. Ora viene al dunque! Gli interessa di sapere per quale motivo le trattative con i rapitori si erano arenate. La donna, Claudia, risponde senza esitare che lei, sin dal primo momento, era stata ferma come una roccia su un punto. Voleva garanzie che il marito fosse vivo, prima di tirare fuori anche solo una lira. I rapitori, da questo orecchio, non ci volevano o non potevano Sentire. Lei aveva richiesto, di volta in volta, una lettera autografa, una fotografia con dei riferimenti sicuri, anche un nastro con la voce e un messaggio: ma loro si erano sempre tirati indietro all’ultimo momento, pur avendo promesso più volte la famosa prova. Dopo ripetute prese di contatto lungo vie rischiose anche per Claudia, il filo delle trattative si era spezzato. Avevano preferito sparire nel nulla da cui erano apparsi.

“Avevano capito che lo…» così Claudia conclude, «… che io non mi sarei mai fatta bidonare, come purtroppo succede tante volte, che i parenti continuano a pagare centinaia e centinaia di milioni, per trovarsi alla fine con un mucchio di ossetti in mano!».

Il Maresciallo non fa commenti. Le chiede se — a suo avviso — possono essere state le condizioni del cuore a stroncare il marito. Claudia esce per tornare un momento dopo con una cartella clinica, corredata di lastre e di analisi. Si direbbe che il Moizio era stato davvero un cardiopatico, con la vita appesa a un filo. Certamente li trauma del sequestro non poteva avergli fatto bene.

Il Maresciallo ringrazia e si muove per andarsene, non senza aver notato, fuori della camera dove è avvenuto rincontro, il felpato andirivieni di un giovane robusto e ricciuto. Se al Maresciallo era venuto in mente un punto interrogativo, ora Claudia stessa provvede a annullarlo.

Chiama il giovanotto e lo presenta. Si chiama Enrico Salimbeni, è l’altro testimone della drammatica serata, l’autista che aveva rischiato la pelle per contrastare i rapitori.

Il Maresciallo non vuole sentirsi ripetere il racconto della irruzione e del sequestro. Chiede a Salimbeni che aspetto aveva il Moizio quando l’avevano trascinato via. Salimbeni scuote la testa e risponde che il suo povero padrone aveva l’aria più di là che di qua. E il Maresciallo, dopo qualche altra domanda, lo congeda. Senonché, appena quello è uscito, Claudia erompe brusca, come se faticasse a dominarsi.

«Signor Maresciallo! Sono anni che aspetto! Signor Maresciallo, mi dica la verità: quando crede lei che mi rilasceranno questa benedetta dichiarazione? La prego, parli chiaro!».

Arnaudi risponde, cauto, che i giudici, in questi casi, dichiarazione di morte presunta, ci vanno con i piedi di piombo: «…Vede, signora, in teoria… in teoria, si potrebbe perfino immaginare che, un giorno o l’altro, suo marito, il signor Moizio, si presenti… ecco, appaia li, lì, nel vano di quella porta». “Magari!» grida Claudia con strano slancio.

Per la prima volta il Maresciallo stupisce. La guarda con i suoi occhi penetranti e calmi, come se la vedesse soltanto in questo momento. Scossa da un brivido, Claudia aggiunge con voce rotta:

«Purtroppo, a questa possibilità ho smesso di crederci da un bel pezzo!».

L’improvviso slancio di Claudia ha avuto l’effetto di sgelare anche il contegno, fino adesso rigidamente ufficiale, del Maresciallo. Mentre la donna lo accompagna alla porta, lui lascia cadere un commento benevolo: «Stia tranquilla, signora. La dichiarazione del Tribunale a un certo punto verrà. Ho visto altri casi come questo che si sono conclusi al medesimo modo: con la Inserzione sui quotidiani locali di un annuncio di morte presunta; con un termine per far giungere all’autorità giudiziaria eventuali notizie in contrario. Ma lei signora, nell’attesa, non deve farsi cattivo sangue, perché i tempi della magistratura sono quelli che sono. Nessuno è mai riuscito a forzarli. Del resto, perché deve essere impaziente? La roba è come se fosse sua. Nessuno gliela contende».

Di colpo, Claudia ridiventa se stessa: “ La roba?! Certo che nessuno può venire qui a buttarmi fuori. Ma io ho solo un interesse, una smania. Di vendere tutto, casa e azienda vinicola, e levarmi da questo schifoso paese, andarmene n vivere in città, una grande città! Anche se lei non se ne è accorto, signor Maresciallo, sono ancora abbastanza giovane da avere voglia di rifarmi una vita!».

Subito Claudia si controlla, ma ci ride sopra lei stessa. Dato che deve fare un rapporto, il Maresciallo verrebbe a saperlo presto, e tanto vale che glielo dica lei stessa; per rifarsi una vita non ha aspettato nessuna decisione del Tribunale. Accenna col capo alla porta da cui è uscito Salimbeni: «Trovano da ridire, perché potrebbe essere mio figlio. Be’, che cosa c’è di male0 Se io andavo bene per il signor Moizio, che poteva essere mio nonno, lui può andare bene per me, che potrei essere sua madre».

Il seguito dell’indagine rivela che, secondo le chiacchiere ricorrenti in Sarzana, la relazione con il Salimbeni non è — come ha lasciato i capire Claudia — posteriore alla scomparsa del Moizio. Anzi, secondo alcuni, i due erano andati a letto sin dal primo momento, prima del matrimonio e prima ancora che Claudia diventasse l’amante del vecchio. Chi fornisce queste notizie, è il notaio nel cui ufficio Amaudi è venuto per controllare la situazione successoria. Non c’è l’ombra di un parente all’infuori della moglie, la quale diventerebbe erede universale in caso di una positiva decisione del giudice.

Il notaio, vecchio professionista, è un interlocutore molto disponibile. Arnaudi ne approfitta per domandargli un parere. CI sono molti motivi per dubitare che il comportamento della donna, in occasione del rapimento, sia stato meno che limpido?

Il notaio non ha simpatia per Claudia, che considera una puttana arrivista; ma la sua opinione è netta: Claudia ha fatto benissimo a non mollare e a lasciare i responsabili del sequestro a bocca asciutta. Anche i suo più accaniti denigratori allora l’hanno ammirata, come del resto hanno ammirato la grinta con cui ha affrontato i problemi della sopravvivenza dell’azienda vinicola. Il Moizio, con quel suo vinello nostranino che va a ruba non solo in zona ma anche in città! era riuscito a entrare nei circuiti più importanti di supermarket, dove si fanno i soldi veri, ma era sempre stato molto geloso dei suoi segreti. Evidentemente aveva fatto un’eccezione per Claudia, la quale, di origine contadina anche lei e cresciuta in mezzo alle vigne, doveva aver capito quel segreti molto bene.

Dopo la disgrazia, tutti avevano giurato che la fine del Moizio sarebbe stata anche la fine dell’azienda: un bianco da tavola così leggero e fragrante, cosi originale fino alla stranezza, e al tempo stesso cosi adatto a lasciarsi bere, nessuno sarebbe più riuscito a rifarlo tale e quale. Dal Moizio non c’erano contadini fissi, ma ci andavano a turno solo degli stagionali che si alternavano nelle varie fasi del processo di vinificazione; e così nessuno era mai riuscito a cogliere il segreto delle mescolanze e dei travasi che il vecchio faceva nel tini. Tutti avevano aspettato con ansia maligna Tannata successiva per trovare, all’assaggio, un vino cattivo o semplicemente diverso. Invece, erano rimasti sbalorditi: quel diavolo della Claudia ce l’aveva fatta, era riuscita a mantenere Inalterati il colore, il profumo, il gusto: era sempre lo stesso vinello, di cui, dopo tutto, la zona andava orgogliosa. La vedova aveva adottato lo stesso rigore del marito a protezione dei segreti aziendali: ignari braccianti si erano succeduti ad altri ignari occasionali, nella vigna e In cantina: niente era trapelato all’esterno. Quanto Trebbiano Toscano? quanto Trebbiano Nostrale? quanta Albarola? quanto Greco? quanto Bosco? Restava sempre un mistero, adesso come prima, in quale misura ciascuno questi vitigni si combinassero nel bianco da tavola delicato e lievemente abboccato, lievemente frizzante, della ditta Moizio.

Il Maresciallo ha ascoltato con molto interesse le confidenze del notalo. Lo lascia di stucco quando si alza e. confidenza per confidenza, gli dichiara che, ora, gli è proprio venuta la voglia di far conoscenza con il famoso vinello.

Al caffè Costituzionale, il più antico e rispettato di Sarzana, la sua richiesta di aprire una bottiglia del vino della vedova non desta alcuno stupore. Anzi, suscita nel signor Ugo Caraglio, padrone del locale, il desiderio di unirsi al Maresciallo nella degustazione. Arnaudi acconsente divertito. Bevono insieme con la rilassata concentrazione dei veri intenditori, che non ha niente a che vedere con il teatrale sussiego dei competenti. Il signor Caraglio si lascia andare a un elogio sperticato del vino, ma Arnaudi lo interrompe. Vuole risposta a una sola domanda: è vero o non è vero che il vino è rimasto, dopo la scomparsa del Moizio, tale e quale?

Ugo Caraglio beve un sorso, riflette, poi scuote leggermente la testa e risponde che, a suo parere, Il suo parere contro quello di tutti, una leggerissima differenza fra prima e dopo c’è, un niente, una cosa quasi inafferrabile un punto interrogativo in fondo al bicchiere. Ma c’è, lui ne è sicuro. Di tutte le cose che ha sentito durante il corso dell’indagine, la prima che sembra avere colpito veramente l’attenzione, l’immaginazione e l’istinto dei Maresciallo è questa dichiarazione del Caraglio. Si alza, insiste inutilmente per pagare, e se ne va.

Il ritmo paziente e quasi svogliato dell’indagine subisce una brusca accelerazione. Il primo passo del Maresciallo è una visita al Presidente del Tribunale per chiedergli un breve rinvio dei termini stabiliti. Il magistrato lo guarda con occhi attenti. Domanda se sta saltando fuori qualche cosa di nuovo. Arnaudi risponde che non c’è ancora niente di concreto. Forse è solo una sensazione, ma sente il bisogno di fare alcuni cauti accertamenti, che richiederanno tre o quattro giorni in più. Sorprendentemente, il giudice dichiara che, quando aveva affidato l’incarico al Maresciallo, si era chiesto proprio questo: se Arnaudi avrebbe avvertito anche lui una certa strana sensazione, un lieve e inspiegabile disagio, che finora aveva impedito a lui di mettere la firma sul documento tanto sospirato dalla vedova.

Più tardi il Maresciallo telefona a un carissimo amico. Sir Cyril Ray. L’estate, e proprio in quelle settimane, di solito Sir Cyril è in viaggio in una qualunque fra tutte le parti del mondo dove si coltivi vigna e si faccia vino: al Sudafrica o al Bàlaton, in California, Borgogna, Friuli, in Sicilia oppure in Australia. Naturalmente, Arnaudi conosce soltanto il suo numero di Londra, ma ha la fortuna, telefonando, di sentirsi rispondere da una conoscenza, Miss Twinkle, una irlandese che parla italiano quasi altrettanto bene di Sir Cyril. E ha un’altra fortuna più Importante: il boss — così gli dice la vecchia segretaria — doveva recarsi in Cile senonché, considerata l’attuale instabilità politica di quel Paese, aveva cambiato programma e adesso si trovava appunto in Italia, a Maiolati Spontini per studiare finalmente a fondo quello che lui chiamava l’ottimo e a volte il pessimo dei vini italiani, il Verdicchio!

Tanti anni prima, quando viveva in Italia a lungo per scrivere il suo capolavoro (quel «The wines of Italy” che fu pubblicato nel 1967 e vinse il Trofeo di Bologna) sir Cyril si era fermato tre mesi di seguito a Neive mentre era a Neive anche Arnaudi come maresciallo ordinario. Si vedevano regolarmente ogni sera, nacque così una di quelle amicizie che durano tutta la vita. E già allora, con Sir Cyril impenitente scapolo, c’era la simpatica Twinkle, vecchia già allora.

Breve, Sir Cyril è il numero uno del mondo come autore di letteratura enologica, scienziato e artista al tempo stesso. Arnaudi lo pesca al telefono nella signorile villa di Maiolati che lo ospita.

«Treachery! You are a treacherous friend! Tradimenti! Sei un traditore amico!”, sono le prime parole di Sir Cyril appena afferra a volo il motivo della telefonata. «Tu mi cerchi soltanto quando hai bisogno di me!”.

«Si, ma bisogna che tu mi creda. Questa volta ho un problema che puoi risolvere solo tu. Devi venire subito a Sarzana, hai capito?». Sir Cyril si ribella. Non può. E’ carico d’impegni, ha un programma fissato da tempo. Giorno per giorno, deve visitare uno per uno quasi tutti i produttori della zona, che è vastissima. Deve correre qua e là, ore di macchina.

Ma Arnaudi sa il fatto suo, conosce l’arte di svegliare l’interesse dell’inquisitore che sonnecchia nel subcosciente di ognuno di noi. Gli chiede a bruciapelo se ha mai sentito parlare del vino di Moizio. Certo che Sir Cyril lo conosce. Gli pare perfino di avere, una volta, scritto un articolo su quel piccolo capolavoro venuto fuori, a sorpresa, nel punto meno pensabile della geografia enologica del nostro Paese. Ebbene, Amaudl afferma seriamente che, in quel vino, c’è un mistero di vita e di morte, e che, tra tenti esperti, lui solo, solo Sir Cyril, può scoprire la verità di una tragica vicenda tuttora misteriosa. Sir Cyril, a suo tempo, aveva saputo della scomparsa del Moizio: ora capisce, indovina: è qualcosa che si ricollega col rapimento senza ritorno… Non esita più. Annuncia il suo arrivo tra due, massimo tre giorni. Il Maresciallo lo ringrazia, e raccomanda il più assoluto silenzio.

L’incontro si svolge al Caffè Costituzionale, sotto la pergola, tra le piante in cassa, dove, a quell’ora del mattino estivo, non c’è ancora nessuno. Sir Cyril è arrivato con la sua maestosa Daimler guidata da un personaggio robusto, ma anziano e solenne come un maggiordomo. Sir Cyril è piccolo, rotondetto il corpo e il capo: uno sguardo, un portamento, un’aria ironica e tuttavia bonaria, autorevole e tuttavia affettuosa. Osservandone il sorriso sottile e il lampeggiare frequente degli occhi azzurri nel cerchi degli occhiali d’oro, si pensa alla serenità imperturbabile, alla fantasia astuta, divertita e disinteressata del grande filologo. Si spiega come egli sia celebre per partecipare a un pranzo senza quasi mangiare ma lasciando l’impressione di fare alla mensa il dovuto onore e come sia altrettanto celebre per assaggiare e giudicare tutti i vini che gli presentano senza mal bere più di qualche goccia ogni bicchiere. Insomma, Sir Cyril ricorda, a chi, come me, li ha conosciuti e amati. Pietro Toesca e Ferdinando Neri: due filologi, appunto, due studiosi.

Proprio per questo, forse, Sir Cyril cade dalle nuvole allorché sente ciò che il suo vecchio amico maresciallo pretende da lui. Dovrebbe, nientemeno, presentarsi alla vedova, chiedere di assaggiare il vino dell’annata, e ridare un’occhiata alle vigne con la scusa che intende rinfrescare Il suo vecchio articolo e ripubblicarlo su una rivista specializzata. Dovrebbe guardarsi intorno con grande attenzione, ascoltare tutto, e riferirgli nel minimi particolari. Di nuovo Sir Cyril si ribella. Questo non significa dare un parere di esperto, ma prendere parte attiva in un’operazione di polizia giudiziaria. Amaudl io persuade con facilità.

Punto primo: Sir Cyril è l’unico visitatore al quale Claudia, così restia a lasciar ficcare il naso nei segreti della sua cantina, non può chiudere la porta in faccia. E’ anche l’unico che non la metterà in guardia se la donna ha qualcosa da nascondere. Infine, e il solo al quale non sfuggirà certamente se c’è qualcosa di anormale e di strano nella grande fattoria, custodita come una fortezza. Sir Cyril domanda all’amico se ha dei sospetti sulla vedova.

Arnaudi allarga le braccia e risponde francamente che non sa che cosa rispondere. D’altra parte, il sospetto è il suo mestiere. Claudia si è dimostrata sinora perfettamente coerente. Anche la storia che racconta è coerente, sta in piedi. Il modo sgradevole in cui presenta se stessa nella cornice dei fatti rende tutto ancora più verosimile. Ma il Maresciallo non che non avrà pace fino al momento che non avrà messo a tacere un tarlo roditore che lavora in fondo alla sua mente. Sir Cyril parte rassegnate per la sua missione.

Chi lo accoglie alla villa non è Claudia, come nei calcoli del Maresciallo. Si presenta invece, col viso infingardo cotto dal sole, il Salimbeni. Non ha l’aria di sapere chi è Sir Cyril ma accondiscende, sebbene con malagrazia, a fargli dare un’occhiata alle vigne. Sir Cyril, immedesimatosi nel suo ruolo lo interroga. Chi fa il vino, dopo la fine del Moizio? Salimbeni risponde che no, non hanno un enologo. Ci lavorano lui e la signora Claudia. Sir Cyril, con aria distratta, gli pone delle domande sulle uve. L’altro risponde senza esitazione. Tuttavia, a giudicare dalle reazioni di Sir Cyril, deve sballarle grosse. La visita finisce in cantina, dove il Salimbeni, frettoloso e riluttante, consente a mescere alcuni assaggi. Ma la signora Claudia, no, non è possibile vederla perché non sta bene. Sir Cyril assaggia il vino e una espressione perplessa, interrogativa, si va formando lentamente sul suo volto.

Più tardi, al Costituzionale, rendiconta al Maresciallo. Ebbene, la prima cosa che ha avvertito mettendo piede nella villa è stata un’atmosfera di tensione assolutamente insolita nei luoghi dove si fa buon vino. Il vino è una cosa viva e delicata: non potrebbe mai venire bene nascendo in un ambiente saturo di elettricità com’è oggi la fattoria della vedova.

Altra cosa che ha insospettito Sir Cyril è l’assoluta ignoranza dimostrata dal giovane in materia di vitigni. Aveva confuso il Trebbiano Toscana col Nostrale, aveva scambiato tra loro l’Albarola e la Bianchetta, il Bosco e il Rollo. E le viti erano tenute piuttosto male, non abbastanza potate e diserbate, con ciuffi di gramigna al piede delle viti. Quello che nemmeno uno sciagurato come il Salimbeni aveva potuto rovinare era la perfetta disposizione dei filari, piantati come vuole l’arte: paralleli, geometrici, diretti da Nord a Sud cosi da prendere di taglio il sole a mezzodì quando è più forte e più alto, e cosi da riceverlo in pieno la mattina e il pomeriggio quando è più debole.

Il Maresciallo, che ha valutato con gli occhi socchiusi le Impressioni dell’amico, gli domanda di passare alla visita In cantina e Sir Cyril lo accontenta. Nella tavernetta ricavata apposta per la degustazione dei clienti, il Salimbeni ne aveva dette altre quattro o cinque veramente sorprendenti, scambiando un vino molto giovane, aspro, feccioso, con un Sangiovese molto vecchio, e dichiarando Sangiovese dell’anno scorso una bottiglia squisita che doveva avere almeno cinque anni. Finalmente Sir Cyril era arrivato al punto che più suscitava la curiosità del Maresciallo: le sue impressioni all’assaggio del famoso bianco da tavola di Moizio. Se c’era davvero una piccola differenza, come sosteneva il signor Caraglio, Sir Cyril se ne sarebbe certamente accorto. Era famoso per ricordarsi le minime sfumature di un vino a distanza di anni tra un assaggio e l’altro. Ma questa volta il Maresciallo sarà deluso. L’espertissimo Sir Cyril ha avvertito sì qualche infinitesima differenza fra il vino di oggi e quello di anni prima, ma troppo insignificante è la differenza e troppi anni sono passati Non riesce ad avanzare nemmeno un’ipotesi. Del resto, le annate dei vini non sono mai perfettamente uguali l’una all’altra.

Partito l’amico, Arnaudi va dal magistrato a confidargli la sua marezza. Quelle indagini, basate dopo tutto sul niente, sono approdate al niente. Un sesto senso gli dice che la chiave del mistero deve essere quel in vino, ma non c’è alcun elemento concreto che gli permetta di allargare il raggio delle ricerche come il Presidente del Tribunale lo aveva invitato a fare. Perciò ha preparato un rapporto basato unicamente sui fatti e in cui non c’è niente che, a suo avviso, possa fermare la pratica avviata per la dichiarazione di morte presunta. Il magistrato, fra l’amaro e il cinico commenta: così la bella vedova potrà godersi in pace l’eredità del Moizio e il Salimbeni potrà godersi in pace la bella vedova. Dal momento che si parla di vino, è proprio il caso di dire: prosit!

E il magistrato ripone in un cassetto della scrivania il fascicolo che gli ha portato il Maresciallo.

Nel cuore della notte il Maresciallo viene svegliato dal telefono. È sir Cyril, eccitatissimo. Finalmente, d’un tratto, ha capito come, forse, sarebbe riuscito a riempire quella strana sensazione, assai vaga, come di un vuoto, di una mancanza, che gli era venuta assaggiando il vino nuovo di Moizio.

Da Sarzana fino a Maiolati, durante un viaggio lungo ma nella sua Daimler comodissimo, aveva dapprima sonnecchiato e poi, a poco a poco, aveva ricominciato a pensare al vino di Moizio, quello nuovo e quello vecchio. Ma soprattutto all’articolo che aveva scritto su quello vecchio tenti anni fa. Purtroppo lo aveva scritto dopo la pubblicazione di «The wines of Italy». Purtroppo perché aveva con sé a Maiolati il volume e avrebbe potuto controllare subito. Era un breve articolo, ma non si ricordava la date di pubblicazione né il nome del quotidiano o della rivista. Certo, a casa sua, a Londra, nel suo archivio, tutti i suoi scritti erano catalogati e rubricati. E, telefonando a Twinkle… Guardò l’ora: troppo tardi, Twinkle doveva già avere lasciato il suo posto di lavoro e, in quel momento preciso, doveva essere sulla strada del ritorno a casa, nel Kent, un’ora dì treno. In ogni caso, il numero di telefono della casa di Twinkle, lo aveva In un taccuino rimasto, anche quello, a Maiolati.

Non importa. Quando arriva a Maiolati è quasi notte, ma telefona subito a Twinkle: prenda un taxi, tomi a Londra, e di là lo chiami In Italia. Bene, Twinkle lo ha chiamato cinque minuti fa e al telefono gli legge quelle poche righe che bastano a illuminarlo: nel vecchio articolo c’è, nero su bianco, il nome del sapore che gli era mancato assaggiando il vino fatto da Claudia: era uno spruzzo, niente di più dì uno spruzzo di Malvasia che il vecchio Moizio aggiungeva per rendere meno acerbo il suo vino nel caso le viti non avessero preso abbastanza sole: e. quasi certamente, era un caso che succedeva ogni anno.

Il Maresciallo, mentre ascolta, è tutto teso nello sforzo di interpretare la rivelazione dell’amico: ebbene, e con questo? Ebbene? Ma Sir Cyril ha qualcosa di più ria dirgli, e questa volta la rivelazione è chiarissima. Sir Cyril ricorda benissimo, nella sua visita alla fattoria quella mattina, di avere notato la vigna della Malvasia in condizioni particolarmente deplorevoli.

Cosi, da lontano, gli era sembrato che le zolle sotto le viti invase dalla gramigna non fossero state smosse da anni. Aveva provato d’istinto a avvicinarsi, ma — — ricorda benissimo — il Salimbeni gli si era messo rudemente di traverso per sbarrargli la strada, e solo a quel punto, solo allora, si era deciso a portarlo in cantina.

Arnaudi esulta dall’altra parte del filo. Ghigna all’amico: “Che cosa ti avevo detto? In vino veritas!”.

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Mario Mancini
Mario Mancini

Written by Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.

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