Il quasi fallimento della Apple (1985–1997)

L’effetto palla di neve

Mario Mancini
25 min readAug 3, 2019

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Dalla Applefilia alla Applefobia

Nel 1997 Apple Computer è partita all’assalto del mondo con il primo personal computer di successo, l’Apple II. L’Apple II non è stato solo il primo personal computer di successo, è stato anche il primo computer di successo ad avere una tastiera e un monitor, una forma che, per molti è diventata, sinonimo di “computer”. Ma non lo era affatto all’epoca. L’Apple II fu venduto in milioni di unità, rendendo la Apple un’azienda miliardaria. Questa storia, senza aggiungere altro, sarebbe già stata qualcosa di straordinario per un’azienda fondata da due ventenni squattrinati e in jeans. Successe, però, che nel 1983 la Apple replicò il successo dall’Apple II con il Macintosh.

Il “Mac” è stato il primo personal computer di successo con interfaccia grafica, mouse, finestre, menu e tutto quello che oggi ci sembra ovvio. Insieme alla Apple LaserWriter, una delle prime stampanti laser per il mercato di massa, il Mac ha ridefinito totalmente l’usabilità di un computer e da allora tutti i personal computer hanno cercato di essere come il Mac. Le vendite del Mac sono state, di nuovo, nell’ordine di milioni di unità. All’inizio degli anni Novanta, Apple rilasciò una linea di computer portatili ottimi e facili da usare, realizzando nuovamente ricavi milionari. C’avevano preso il vizietto del successo e questo, alle volte, non è una buona cosa.

Apple sembrava una società magica, una sorta di Harry Potter di allora. I suoi prodotti erano innovativi in termini di design, di tecnologia e di alta qualità. Erano anche divertenti da usare. Legioni di fan di Apple andarono in sollucchero oltre ogni limite ragionevole per la Mela. Alcuni se la fecero sui loro corpi per esprimere a tutti la loro Applefilia.

Ma a metà degli anni ’90, accadde che la magia della Apple era svanita, e la mela di Newton era diventata la mela con il baco. Salvo poche eccezioni, i prodotti Apple erano diventati troppo costosi e privi di una vera innovazione sia in termini di design che di tecnologia. Quasi tutta le la linea di computer non era che un rifacimento indistinto del Macintosh del 1983, con miglioramenti al minimo sindacale. I prodotti concorrenti battevano il Macintosh in termini di prestazioni in quasi tutti gli ambiti e, in genere, il prezzo era sempre molto più basso.

Apple non era più un leader tecnologico e dovette anche lottare per rimanere a galla, poiché la società perse denaro per tutto il 1994, il 95, il 96 e il 97. Nel primo trimestre del 1997 raggiunse il nadir. C’era pochissima liquidità e le azioni di Apple toccarono il minimo di 4 dollari ad azione. La società registrò nel 1997 una perdita di oltre un miliardo di dollari.

Nello stesso anno, il principale concorrente di Apple, Microsoft, su pressione dell’antitrust, decise di investire in Apple 150 milioni di dollari per prevenire il disastro. Ma, proprio mentre si iniziava a recitare il “de profundis”, le cose iniziarono a prendere un verso differente. Il prezzo delle azioni si stabilizzò non appena la società iniziò a produrre una prima modesta marginalità. Era successo il miracolo e aveva un nome: Steve Jobs. Il mercuriale co-fondatore della Apple, rientrato nella società nel 1997, stava mettendo ordine nella casa. Una nuova linea di prodotti innovativa e competitiva aveva iniziato a colpire il mercato e mostrare che la Apple stava tornando ad essere quella che era stata. Era tornata la magia perduta. E sarebbe durata a lungo.

1. I primi fallimenti

Tutti coloro che utilizzavano un computer nei primi anni ’80 conoscevano l’Apple II o le sue varianti: II+, IIc, IIe. Meno conosciuti erano l’Apple I e l’Apple III. L’Apple I, poco più di un circuito integrato, fu presto sostituito dall’Apple II. L’Apple III, invece, è una storia differente che merita di essere raccontata.

1.1 L’Apple III

Mentre l’Apple II era destinato all’utenza finale (persone, famiglie, scuole), l’Apple III era indirizzato al mondo delle imprese. L’Apple III aveva più memoria, una grafica migliore e un sistema operativo più avanzato, il SOS (Sophisticated Operating System). Con la reputazione di Apple, l’Apple III sembrava destinato a un successo certo. È invece fu un disastro, anche immeritato.

Introdotto nel 1980, l’Apple III aveva enormi problemi di stabilità la cui fonte principale era la mancanza di una ventola di raffreddamento. Steve Jobs non voleva il disturbo causato dal rumore di una ventola. Succedeva, così, che l’Apple III, sottoraffreddato, si surriscaldava a dismisura disloggiando i componenti della scheda madre. La soluzione raccomandata da Apple per rimettere a posto i chip era quella di sollevare di qualche centimetro dal tavolo l’Apple III e lasciarlo cadere giù. Lo sbalzo delal caduta rimetteva i circuiti a posto. Con i suoi 3.500 dollari, l’Apple III era assai più costoso dei computer “business” basati sul coevo sistema operativo CP/M.

Forse il problema più grande dell’Apple III era la scarsa compatibilità con il software scritto per l’Apple II. C’era compatibilità, ma era stata intenzionalmente ridotta per impedire l’esecuzione di programmi che richiedevano più di 48 KB di memoria. Era proprio questo l’utilizzo richiesto dalla maggior parte dei programmi scritti nella popolare linguaggio Pascal. Invece di sfruttare come risorsa strategica il software scritto per l’Apple II, l’Apple III era concepito come una nuova piattaforma. Purtroppo era instabile e c’era poco software disponibile.

Il PC IBM, un computer più potente di una società leader di mercato, fu rilasciato pochi mesi dopo l’Apple III, ponendo così l’ultimo chiodo nella bara del progetto della Apple. Ma Apple continuò a lavorare sul III fino al 1984. Steve Wozniak, uno dei fondatori della Mela, ha messo in luce la stupidità della scelta di puntare tutto sull’Apple III. L’Apple II che era una piattaforma consolidata e che generava ricavi importanti e, a suo giudizio, doveva ricevere l’attenzione che meritava dalla società che, invece, continuò per anni a impegnare risorse ingenti in un evidente fallimento.

1.2 L’Apple Lisa

Un altro fallimento di Apple dei primi anni 80 fu il modello “Lisa”, che prese il nome dalla figlia di Steve Jobs. Lisa fu il primo prodotto di Apple con un’interfaccia grafica utente (GUI). Sebbene alcuni analisti pensino che Lisa fosse un passo necessario verso i futuri successi, sta di fatto che risultò essere un altro disastro.

C’è unanimità nel riconoscere che il fallimento del Lisa fu il costo eccessivo, a quasi 10.000 dollari, per il mercato di riferimento. Una parte di questo costo era determinato dai componenti e dalla configurazione di base del computer. Il Lisa, per esempio, aveva 1 MB di memoria (enorme per i suoi giorni). Apple cercò di recuperare i costi di sviluppo di Lisa in un lasso di tempo troppo breve. Una decisione che oggi appare una cattiva scelta. I costi di sviluppo sono “costi sommersi”; un approccio più razionale avrebbe potuto essere stato quello di cercare di recuperarli in un tempo più prolungato.

Come con l’Apple III, il Lisa aveva anche poco software, era in concorrenza con piattaforme ben posizionate e aveva la nomea di essere un computer lento. Sebbene le vendite di Lisa migliorarono, quando Apple abbassò il prezzo e lo rese compatibile con il Macintosh, alla fine la società decise di mettere fine al progetto e seppellì le scorte del Lisa in una discarica nello Utah, sotto la protezione armata.

1.3 Il Macintosh 128k

Uno dei successi più ammirati della Apple è tutt’oggi il Macintosh. Fu il secondo computer della Apple ada avere una interfaccia grafica. Il Mac eccelleva là dove la Lisa difettava: cioè il prezzo e le prestazioni … o almeno così sembrava. Il Mac originale fu messo sul mercato a un pezzo di 2500 dollari — circa un quarto del prezzo del Lisa.

Il Mac aveva anche un processore Motorola 68000 a 8 MHz; 60 per cento più veloce di quello del Lisa. Ma, per stare nella fascia di prezzo, il primo Mac, malgrado le obiezioni dell’area tecnica, aveva solo 128k di RAM. La sola interfaccia ne richiedeva metà, lasciando ai programmi un misero 64 KB, cioè quello che era disponibile su Apple II.

Come L’Apple II e il III, anche il Mac 128 non aveva la ventola, il che lo esponeva a surriscaldamento. Steve Jobs non ne voleva sapere della ventola e anche, a più di 10 anni di distanza e nonostante le esperienze passate, sarebbe tornato a progettare, nel 1999, un computer senza ventola, il “MacCube”. Guarda caso anche il MacCube aveva problemi di surriscaldamento. Tosto davvero Steve Jobs!

Inoltre il primo Mac non aveva un disco rigido e, a differenza di Lisa, disponeva di una sola unità floppy disk. Gli utenti dovevano inserire e rimuovere continuamente il dischetto del programma per memorizzare i dati su un differente supporto. Era tutto un leva e metti. Roba da perdere la testa.

In questa configurazione iniziale, il Mac era un computer ben poco utilizzabile. Fortunatamente, gli ingegneri avevano progettato una backdoor che consentiva una espansione a 512 KB di RAM. Fu questa configurazione, detta il “Fat Mac”, a rendere utilizzabile il sistema. Senza tale opzione, il Mac sarebbe probabilmente stato ricordato come una Lisa meno potente. Ironia della sorte vile che il Mac decollasse davvero solo con il modello “Mac Plus”, che aveva una configurazione di 1 MB di memoria, esattamente quella del Lisa.

2. I problemi degli anni novanta

La fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 furono un buon periodo per la Apple sul piano delle vendite e dei ricavi. Mal al di sotto dell’apparenza, si stavano accumulando dei grossi problemi. Entrambi i visionari fondatori dell’azienda se ne erano andati. Progetti sbagliati ed errori strategici stavano risultando in una linea di prodotti ben poco brillante. Uno stato di cose che alla fine sfociò in un collasso finanziario.

Nel 1998 il titolo toccò un minimo storico intorno ai 4 dollari ad azione e la società registrò perdite superiori al miliardo di dollari. Le vendite subirono una flessione del 28% sull’anno precedente che era già caduto dell’11%. Si trattava di una situazione veramente difficile. Peraltro, la società non aveva mai realizzato profitti superiori a 600 milioni di dollari in un anno. Al confronto, i problemi degli anni ’80 sembravano ben poca cosa. I fallimenti della fine degli anni ’90 causarono la quasi uscita dal mercato della Apple.

2.1 I problemi del sistema operativo Copland

Un fattore che può determinare la non riuscita di un progetto tecnologico può essere proprio di natura tecnica. Apple mostrò di avere questo problema negli anni Novanta, soprattutto nello sviluppo di un sistema operativo all’altezza dei tempi.

L’iniziale sistema operativo del Macintosh serviva la piattaforma hardware minima rilasciata nel 1983. Già a quel tempo erano stati fatti dei compromessi per rispettare il time-to-market e il conto economico. Il prodotto risultante fu leggendario, ma si basava essenzialmente sull’appeal dell’hardware.

Con questi basi l’evoluzione in una piattaforma più evoluta sarebbe stata problematica. Già a pochi anni di distanza, nel 1989, i componenti dell’hardware erano molto più economici e molto più performanti di quelli disponibili quanto fu costruito il primo Mac. Il management di Apple non ebbe altra scelta che iniziare a prendere in considerazione la riprogettazione del sistema operativo per adattarlo ai nuovi standard richiesti dal mercato.

Alcune funzionalità, come l’interfaccia utente a colori, furono aggiunte senza grande sforzo, ma le funzionalità più strutturali del sistema, necessarie a rendere il Mac competitivo, si dimostrarono molto più impegnative da attuare. In effetti, nel 1997, la nuova generazione di Mac OS, denominato in codice “Copland”, era ancora in alto mare senza che fosse prevista una data di rilascio ragionevole. Su consiglio del direttore tecnico Ellen Hancock, Gil Amelio, l’allora CEO di Apple, decise di uccidere il progetto Copland e cercare un’acquisizione che risolvesse il problema alla radice. Come sappiamo fu questa decisione di Amelio a riportare Steve Jobs in Apple.

Che cosa era dunque successo a Copland, per una decisione così radicale da parte di Amelio?

Era successo che Copland era in un vicolo cieco. Eppure Copland sembrava avere tutte le idee giuste. Una di queste era la protezione della memoria. La protezione della memoria impedisce ai software difettosi di causare arresti anomali del sistema. Nei primi Mac, che eseguivano solo un programma alla volta, questo era un problema minore, ma nei Mac dei primi anni ’90, che iniziavano ad eseguire più programmi contemporaneamente, l’arresto anomalo di uno di questi causava un arresto dell’intero sistema. La tecnologia di protezione della memoria era presente nel sistema operativo Unix già da decenni. La tecnologia degli anni ’90 lo rendeva tecnicamente fattibile e poteva essere anche un vantaggio competitivo importante nella competizione dei personal computer. Microsoft introdusse la protezione della memoria in tutte le versioni di Windows già dal 1992.

Copland aveva anche un “microkernel” e tutti i “servizi” di un sistema operativo evoluto. Per rimanere compatibile con le versioni precedenti, però, Copland doveva incorporare una “macchina virtuale”, chiamata “scatola blu”. la scatola blu doveva eseguire le versioni precedenti di Mac OS. Una tecnica chiamata emulazione. Contrariamente al fiasco di Apple III, che non aveva compatibilità all’indietro, l’approccio di Copland era quello di fornire agli utenti un percorso agevole di aggiornamento al nuovo sistema. Il cuore di Apple sembrava essere tornato a pulsare al ritmo giusto. Molte delle caratteristiche di Copland si sarebbero materializzate più tardi con Mac OSX.

Ma tecnicamente Copland si rivelò ostico da realizzare. Un grosso ostacolo tecnico era rappresentato dalla retro-compatibilità. Copland, di per sé, utilizzava non più di 4 MB di memoria, ma in modalità emulazione richiedeva una versione completa e residente in memoria di Mac OS 7. Ciò portava via ben due terzi della memoria di Copland ancor prima di eseguire una qualsiasi applicazione.

Fondamentalmente, la filosofia di emulazione di Copland era imperfetta. Mentre porzioni del sistema operativo sarebbero state eseguite fuori dall’emulatore, i programmi applicativi, invece, venivano tutti eseguiti insieme nella scatola blu. Un programma difettoso o malevolo avrebbe comunque provocato l’arresto del sistema proprio come era avvenuto in tutte le versioni precedenti di Mac OS. Si era punto e accapo.

2.2 Problemi organizzativi e manageriali

Le problematiche tecnologiche erano solo una parte della crisi della Apple. A metà degli anni ’90 la Apple sembrava più un centro di ricerca che un’azienda commerciale. Aveva perduto tutte le caratteristiche di un’impresa leader dell’industria del computer. Il rilascio di nuovi prodotti, il rispetto delle scadenze e i progetti futuri, tutto era saltato. Gli aggiornamenti di Mac OS sembravano poco più di pacchetti “shareware”. Inoltre Apple non aveva una direzione precisa, sembrava che andasse con il tempo meteorologico.

Per esempio, una caratteristica ampiamente pubblicizzata di Mac OS 8 era lo “springing folder”, una funzione molto carina afferente l’interfaccia. Trascinando un file sopra un disco o una cartella, questa si apriva automaticamente visualizzando il suo contenuto. Una caratteristica che sedusse gli aficionados che resero OS8 uno dei software più venduti di tutti i tempi. Questo successo, e altri simili, spinsero la Apple su una cattiva strada proprio a causa del modo scadente di gestire i progetti da parte del management. Una caratteristica che secondo Steve Jobs era alla radice dei mali della Apple.

Invece di focalizzarsi sull’obiettivo, il management pretendeva dall’area tecnica lo sviluppo di nuove e più sofisticate funzioni. Succedeva che il rilascio andava alle calende greche e alla fine si perdeva completamente il controllo del progetto.

Un fenomeno questo che il giornalista tecnologico Daniel Eran ha definito come “palla di neve”. I progetti erano diventati come palle di neve rotolanti giù per il pendio. Starda facendo s’ingrossavano sempre di più fino a diventare delle valanghe disastrose che si abbattevano sui loro stessi promotori. Questi progetti “palla di neve” diventarono alla fine impraticabili, perché il loro sviluppo doveva per forza inglobare tecnologie strategiche di cui la società credeva di non potere fare a meno.

Un’altra palla di neve fu il progetto di messaggistica della Apple, chiamato PowerTalk. PowerTalk nacque come un semplice progetto di posta elettronica. Al momento della sua cassazione, PowerTalk era diventato un Jurassic Park tecnologico, altrimenti denominato “Apple Open Collaborative Environment” (AOCE). C’era di tutto dentro. AOCE, infatti, incorporava accessi e password sicuri, tecnologia di crittografia, servizi di directory universali, supporto per numerosi protocolli di comunicazione e un’architettura “peer-to-peer” che aveva lo scopo di risparmiare ai clienti il costo di un sistema dedicato alla gestione della posta elettronica.

Il tutto suonava grandioso, ma AOCE consumava così tanta memoria, larghezza di banda di rete e spazio su disco che era quasi impossibile eseguirlo su un computer normale.

Nel frattempo, Microsoft aveva rilasciato il software Exchange molto più semplice e basato su tecnologie standard. Secondo un minimo di buon senso, il management di Apple avrebbe dovuto riconoscere che l’AOCE era fuori controllo, ma le tecnologie di AOCE erano così profondamente intrecciate che era diventato impossibile partizionare il prodotto in pacchetti più semplici e mirati. Dopo aver investito 100 milioni di dollari in AOCE, Apple uccise il progetto nel 1995.

2.3. Arriva Windows

Mentre Apple portava avanti con fatica Copland, il resto dell’industria andava al passo dell’oca. Be e NeXT, due piccole aziende fondate da un ex Apple (Jean-Louis Gassée e Steve Jobs, rispettivamente) avevano sviluppato un software di sistema molto superiore a MacOS. Ma Be e NeXT, come altri, cozzarono con la dura realtà dell’industria del computer, che si rilevò essere la loro nemesi. Negli anni Novanta, l’introduzione di una nuova piattaforma in un mercato consolidato era (quasi) senza speranza.

Sebbene Apple avesse poco da temere da queste nuove iniziative, il franchising Macintosh era in grave difficoltà a causa di una specifica piattaforma che era stata notevolmente migliorata. Si trattava Microsoft DOS/Windows su hardware Intel x86.

Microsoft DOS era in circolazione dai primi anni ’80, ma inizialmente era poco più di un gestore di file; niente a che vedere con MacOS e la sua interfaccia grafica. Microsoft iniziò a sviluppare un sistema operativo visuale nel 1985, ma i primi sforzi non erano che delle misere shell montate sopra il DOS. Ma Microsoft aveva le idee chiare ed era ben focalizzata. Con Windows voleva di realizzare due obiettivi: la perfetta retrocompatibilità con DOS e la distribuzione “gratuita” sui PC di ogni vendor.

Microsoft non voleva imporre ai propri utenti il passaggio a una piattaforma hardware completamente nuova, come successe con Be e NeXT. Neppure desiderava vendere al dettaglio il sistema operativo come pacchetto a sé stante, come, invece, fece IBM con OS/2, concorrente Windows.

Nel 1990, Windows, versione 3.0, era diventato molto popolare. Era ancora più grezzo di MacOS, mancava di funzionalità importanti, non accettava nomi di file più lunghi di 8 caratteri, ma non era più una semplice shell del DOS.

Microsoft aveva iniziato a sviluppare la tecnologia di protezione della memoria, non disponibile sui computer Apple per tutto il decennio successivo. Per i consumatori, la differenza tra Windows e MacOS diventò per lo più un fatto di cosmetica.

La popolazione di utenti di PC Windows si moltiplicò. Milioni di individui e organizzazioni acquistarono familiarità con il PC e il suo software. Inoltre Windows beneficiò del fondamentale effetto rete (network effect). Ogni volta che veniva rilasciato un nuovo programma o attivato un nuovo utente nel mondo dei PC, la piattaforma PC diventava sempre più virale.

Nel 1992 Macintosh IIVX senza monitor, indirizzato agli utenti domestici, costava oltre 3000 dollari. Un PC con una configurazione simile era disponibile a meno della metà del prezzo.

Sebbene gli irriducibili fan del Mac potrebbero obiettare, sta di fatto che la versione 1995 di Windows era superiore a MacOS. Senza più la limitazione nei nomi dei file, con la protezione della memoria, la barra delle applicazioni che monitorava i programmi aperti e una discreta quantità di flash memory, non restava molto della vantata superiorità del Macintosh.

I computer con Windows ’95 avevano un sistema operativo migliore, potevano eseguire più programmi ed erano molto più economici dei Mac con prestazioni simili. Restava il fatto che Apple produceva computer con un design migliore. Ma chi se ne frega!

Negli anni seguenti, la situazione peggiorò con l’aumentare del divario prezzo/prestazioni tra PC e Mac, anche perché MacOS non dava risposte alle aspettative degli utenti per un vero multitasking. L’incapacità di Apple a rilasciare un sistema operativo significativamente innovativo era ormai manifesta a tutti.

2.4 L’attacco dei cloni

Fin dall’inizio, la piattaforma Macintosh aveva una differenza fondamentale rispetto ai “compatibili PC-IBM”. Mentre chiunque con un know-how tecnico avrebbe potuto assemblare e vendere un PC, solo Apple era in grado di costruire un Macintosh. In un certo senso questa fu una benedizione. Apple era in grado di controllare tutti gli aspetti del proprio software e hardware, evitando quei problemi di compatibilità che afflissero i computer assemblati.

Inoltre, in quanto unico produttore del Macintosh, Apple aveva una sorta di monopolio commerciale e poteva aumentare e abbassare i prezzi a proprio volere. Però, la concorrenza sui prezzi nel mercato dei PC era brutale. Avvenne così che il controllo totale della Apple sul Macintosh mutò da benedizione in maledizione. Ad Apple riusciva difficile tenere il passo con lo stato dell’arte di ogni singolo aspetto della tecnologia dei computer, dovendo porre la propria principale attenzione a costruire sistemi completi.

Il 25 giugno 1985, Bill Gates, CEO di Microsoft, inviò una lettera, senza risposta, a John Sculley (CEO di Apple) e Jean Louis Gassée (CTO). In questa lettera inviatava perentoriamente Apple a dare la licenza della tecnologia del Macintosh ad altri produttori di computer. Gates sottolineava i vantaggi di una piattaforma standard:

Le eventuali carenze nell’architettura IBM possono essere rapidamente eliminate da un supporto indipendente. Le carenze hardware possono essere risolte in due modi:
- con schede di espansione con accesso diretto al bus di sistema (ad es. la scheda grafica Hercules ad alta risoluzione per monitor monocromatici)
- con la fabbricazione di compatibili differenziati (ad es. Compaq Portable o Deskpro più veloce).
L’architettura chiusa del Mac impedisce gli investimenti di terze parti indipendenti e disposte a realizzarli per implementare la piattaforma. L’architettura IBM, rispetto al Macintosh, ha probabilmente più di 100 volte le risorse tecnologiche del Mac poiché può fare affidamento sull’investimento di una moltitudine di produttori di PC compatibili.

Leggi qui il testo integrale della lettera in traduzione.

Il consumato barone del software, Bill Gates, aveva, probabilmente, a cuore il suo interesse, ma la sua proposta era fondata. Per Apple sarebbe stato quasi impossibile competere con l’ecosistema combinato delle risorse ingegneristiche il PC stava attivando. E poi… Perché mettersi fuori gioco quando esisteva una strategia alternativa? Gates fece parola anche, con fondamento, della riluttanza delle imprese di rifornirsi di sistemi Apple, per paura di essere ingabbiati da un unico fornitore.

Apple, inoltre, era percepita come lenta nel portare nuovo hardware sul Mac (display più grandi, più RAM, processori più veloci ecc.). Ma gli uomini di Cupertino, contenti di continuare a fare ciò che sapevano fare meglio — cioè vendere computer — non seguirono la raccomandazione di Gates, che aveva visto il problema.

Nel 1985, al momento della lettera di Gates, la minaccia dei PC compatibili non era proprio immediata. Quando Gates scrisse il memo, le capacità di un PC tipico erano molto indietro rispetto a quelle del Mac.

I primi produttori di PC avevano impiegato anni per realizzare i vantaggi della standardizzazione della piattaforma descritta da Gates e mettere a punto i relativi modelli di business. Anche se molti componenti era diventati delle commodity, i produttori di PC avevano continuato a svolgere il loro lavoro di ingegnerizzazione. Nel 2002, Hewlett Packard rimproverò al suo concorrente Dell di fare poca ricerca e sviluppo. In effetti Dell stava facendo soldi a palate con i puri standard di mercato.

Tuttavia, il potente ed economico PC, costruito con parti di ricambio, alla fine si concretizzò e, insieme ai progressi di Microsoft Windows e all’effetto rete, si mangiò il Mac in termini di prezzo e di prestazioni.

Il consiglio inascoltato di Gates poteva essere una buona dritta per rimettere in sesto la strategia aziendale di Apple. Il consiglio, comunque, non era del tutto disinteressato. Infatti accadde, che man mano che i costruttori di computer e i fornitori di componenti competevano per creare prodotti migliori a prezzi più convenienti, Microsoft si impose in una posizione assolutamente dominante tra i fornitori di sistemi operativi per PC.

2.5 I cloni del Mac

Apple aveva la rosica nei confronti di Microsoft, un’azienda di software che faceva soldi a palate mentre i costruttori di hardware si contendevano gli avanzi. Si sarebbe presa a schiaffi per non aver fatto lo stesso nei primi anni ’80, quando l’effetto rete era a suo favore.

Steve Wozniak ha espresso il suo punto di vista al riguardo in un’intervista di Newsweek mìnel 1996:

Consideravamo Apple un’azienda di hardware; al fine di proteggere il nostro business con l’hardware, non abbiamo concesso in licenza il nostro sistema operativo. Avevamo il sistema operativo più bello, ma per ottenerlo occorreva acquistare anche l’hardware, al doppio del prezzo. È stato un errore. Ciò che avremmo dovuto fare era calcolare un prezzo adeguato per distribuire la licenza del sistema operativo.

Dopo essersi ritirato da un accordo di licenza con Apollo, nel 1987, Apple decise, nel 1993, di autorizzare finalmente l’uso di MacOS da parte di altri costruttori di computer. Erano passati 10 anni tondi dalla comparsa del primo Mac. Il CEO di allora, Michael Spindler, inizialmente aveva espresso la preoccupazione per il danno che le vendite dei cloni avrebbero potuto arrecare alla Apple, senza aumentarne sensibilmente la quota di mercato, ma alla fine decise di farlo. E invece aveva ragione.

Trovare i primi licenziatari fu un’impresa. Apple temeva i produttori di PC affermati e di successo, e, a loro volta, i potenziali partner erano (giustamente) sospettosi dell’impegno di Apple nei confronti della politica delle licenze. Con Windows ’95 all’orizzonte, i dirigenti di Compaq, il maggior costruttore di IBM-compatibili, espressero seri dubbi sul fatto che ci fosse un valore aggiunto nella produzione di cloni Macintosh.

Alla fine furono firmati alcuni accordi con società meno conosciute. Com’era successo a IBM con la piattaforma PC, i produttori più piccoli e più agili iniziarono a mangiare il pasto di Apple. Non gravati dai costi di marketing, dalle quelli di S&D, dalle paghe d’oro dei dirigenti, i clonatori di Apple erano in grado di fare meglio della casa madre. UMAX, un produttore taiwanese, vendeva Mac di fascia bassa a un prezzo inferiore rispetto ad Apple. Il più grande clonatore di Mac, Power Computing, era in grado di acquistare piccole quantità di componenti di fascia alta che sarebbe stato difficile implementare su produzioni di grandi volumi, come succedeva con Apple.

Power divenne la società di computer a maggior tasso di crescita negli anni ’90 e nel 1996 aveva conquistato quasi il 10% del mercato Macintosh, con vendite per 246 milioni di dollari. Per ogni licenza la Apple otteneva 50 dollari. Steve Jobs rilevò, al suo rientro, che ogni vendita ad Apple costava, in realtà, “centinaia” di dollari. Anche se i clonatori conquistavano quote mercato, la quota di mercato complessiva del mercato Mac non cambiava.

Vedendo in ciò una spirale letale, Steve Jobs, di nuovo al timone di comando della Apple, chiuse l’esperienza dei cloni nel 1997. Gli accordi di licenza consentivano ai clonatori l’accesso alla versione 7.5 di MacOS e ai suoi “aggiornamenti”. Quando Apple rilasciò MacOS “System 8” sostenne che non si trattava di un aggiornamento a 7.5 e quindi gli accordi di licenza vennero meno. Forse per evitare azioni legali, Apple acquistò Power computing per 100 milioni di dollari.

L’esperienza dei cloni, probabilmente, non arrecò un grave danno ad Apple; Apple continuò a vendere i suoi Mac più o meno come prima, ma rappresentò una deviazione strategica umiliante che costò, con una stima prudente, oltre 100 milioni di dollari, in un momento in cui Apple non poteva permetterselo.

Il fallimento del programma di cloni fu previsto da molti. Nel 1994 la piattaforma Wintel aveva messo radici profonde e consolidate. Inoltre grande parte dei profitti di Apple derivavano dal controllo del prezzi del Macintosh. Un elemento alquanto bizzarro dell’esperienza dei cloni fu che Apple avviò una competizione in un’area in cui deteneva il monopolio, sperando di poterlo allargare. In genere succede che la maggior parte delle aziende cerca di ottenere e mantenere il monopolio e non certo di aprirlo ai competitor.

Nel fare questo Apple cercò di imitare Microsoft, che stava realizzando degli enormi profitti senza avere neanche un pezzo di hardware. Ma Apple, allo stesso tempo, sembrava riluttante a rinunciare anche a una modesta quota delle vendite di hardware Macintosh.

Non è che mancava un precedente a cui riferirsi per capire quello che sarebbe potuto succedere. Apple disponeva di un precedente storico a cui guardare. Negli anni ’80 Franklin aveva venduto compatibili di qualità dell’Apple II a metà prezzo rispetto ad Apple, provocando non pochi problemi ai bilanci della Mela fino a quando le iniziative legali e tecnologiche di quest’ultima non posero termine all’iniziativa.

L’iniziativa del 1994 sembrò avere poco senso dal punto di vista del business, ma forse non ci fu una motivazione economica dietro programma dei cloni. Steve Jobs definì la logica sottostante a questo programma come “responsabilità istituzionale”. Insolitamente misterioso. In genere Jobs si faceva capire, eccome se si faceva capire.

3. Le ragioni del quasi fallimento

L’esperienza della Apple di quasi, alla fine degli anni ’90, ebbe diverse cause. Alcune erano lo sbocco inevitabile della dinamica stessa dell’industria del computer, mentre altre, invece, erano dovute a errori, evitabili, della strategia aziendale e della sua esecuzione.

Forse il fattore più importante nel quasi declino di Apple è la tendenza del mercato tecnologico a gravitare verso un’unica piattaforma vincente, secondo la logica del pezzo degli Abba “il vincitore prende tutto e il perdente cade”.

All’inizio, Apple ebbe un vantaggio tecnologico con il Macintosh, ma, per qualsiasi motivo, non fu in grado di capitalizzare nel medio-lungo periodo l’effetto rete. Man mano che la popolazione del PC e i suoi utenti crescevano, rimanevano poche possibilità per le piattaforme concorrenti, anche migliori, di minacciare il dominio di Wintel o addirittura di mettere piede sul mercato. Il network effect aveva reso l’Apple II un successo iniziale, ma alla fine lo stesso fenomeno aveva messo KO sia l’Apple II che il Mac (quasi).

Un secondo problema difficile da evitare per Apple venne dalla sua stessa base installata che utilizzava software che le impediva di procedere speditamente verso un sistema operativo di nuova generazione che avrebbe reso, di fatto, obsoleti quei programmi. Apple sapeva che il sistema operativo Macintosh doveva essere sostituito, ma una sostituzione totale equivaleva a creare una piattaforma completamente nuova senza software, senza utenti e senza possibilità di sviluppare un qualche effetto rete. Essere la piattaforma n 2 era uno schifo, ma era meglio che ripartire da zero.

Apple non aveva scelta diversa da quella di tenere Mac OS con il nastro adesivo e i cerotti, mentre il tentativo del nuovo sistema operativo impattava, innanzitutto, con la questione della compatibilità. Questa situazione piuttosto imbarazzante fu, stranamente, anche la causa del successo del Mac; il software non evolutivo è stato il percorso più breve per raggiungere gli ambiziosi obiettivi di costo e pianificazione del Mac originale.

Sebbene Apple si trovasse in una situazione oggettivamente difficile, per via del sistema operativo, la sua incapacità nello sviluppare un aggiornamento significativo al MacOs Classic, in oltre un decennio, provocò un notevole problema tecnico e gestionale.

Che alcune startup siano state in grado di fare ciò che Apple non riuscì a fare è qualcosa di indicativo. La caduta di Apple non è stata semplicemente il risultato di un cambiamento nelle strutture del mercato e nell’atteggiamento dei consumatori. Apple ebbe molti altri problemi oltre al sistema operativo; la società sembrava operare nella modalità di un istituto ricerca non-profit, non era più guidato da logiche industriali. Sembrava essere diventata uno Xerox Parc negli anni ’70. In confronto, Microsoft seguì un approccio molto meno splendido, rilasciando regolarmente gli aggiornamenti necessari per i suoi “noiosissimi” prodotti.

L’incapacità di Apple a portare sul mercatoun sistema operativo innovativo può essere attribuita a una certo caos organizzativo; è difficile identificare un singolo individuo responsabile del fallimento di un progetto complesso e lungo di anni. Ma il rifiuto di concedere in licenza Mac OS, nei primi anni ’80, quando avrebbe potuto diventare dominante come aveva suggerito Bill Gates, dipese esclusivamente dalla cattiva gestione esecutiva di Apple. Così come dipese dallo stesso fattore, dieci anni dopo, la triste vicenda di Copland.

Anche nel 1997, anche se le cose stavano andando a schifio, Apple ebbe l’energia di riprendersi in modo stupefacente nei primi anni 2000. Steve Jobs tornò e con determinazione cassò numerosi progetti “palla di neve”, sostituì il Mac Os Classic con il Mac OSX, derivato da NeXTstep, appariscente ma solido come una roccia. Apple iniziò, inoltre, a sviluppare software multimediale di qualità per i suoi computer e iniziò a vendere Mac basati sugli stessi processori Intel montati sui PC.

Apple avviò anche un processo di diversificazione con l’iPod, un lettore musicale portatile di fascia alta abbinato a un negozio di musica online di facile utilizzo. A dicembre 2006, il valore delle azioni di Apple superò gli 80 dollari per azione — un guadagno di oltre il 2000% rispetto al minimo del 1998.

Un’analisi completa del rinascimento di Apple va oltre lo scopo di questo post, ma c’è una cosa che non si può fare a meno di dire. È quella del ritorno del fondatore di Apple, Steve Jobs, come capo dell’azienda. Accreditare Jobs del rinascimento di Apple non è semplice agiografia, ma è storia. Jobs è stato, in gran parte, responsabile dei migliori prodotti Apple: Apple II, Macintosh, Desktop Publishing, la serie Powerbook. Era assente, perché impegnato nel progetto NeXT, durante la lunga corsa verso l’abisso di Apple. Il suo ritorno inaugurò la rinascita tecnologica e finanziaria di Apple e la ripresa dell’innovazione. Non è irragionevole dargli una parte significativa del merito del salvataggio di Apple.

4. Considerazioni generali

Un modo di spiegare il quasi fallimento di Apple è quello di imputarlo alle logiche del libero mercato che hanno fatto il loro lavoro, cioè quello di offrire ai consumatori la massima utilità al minor prezzo possibile. Apple ha fatto una serie di cose stupide e, per un certo periodo di tempo, ha fatto pagare un prezzo più alto per prodotti che fornivano un valore significativamente inferiore rispetto a quello dei concorrenti.

Ma la domanda che occorre porsi è questa: il monopolio di una piattaforma tecnologica che scaturisce dall’effetto rete è davvero vantaggiosa per la società? Spesso le imprese cercano e beneficano di questo singolare fenomeno. Il network effect aumenta il valore dei prodotti che il consumatore acquista. Per esempio se si può prendere in prestito un CD dal vicino di casa il lettore CD ha molto più valore di quanto lo avrebbe se non lo si potesse fare. Ma i monopoli di solito hanno pochi incentivi. Tendono a presidiare lo status di incumbent, piuttosto che a innovare. Non vi è alcuna ragione ovvia per non presumere che i monopoli creati dal network effect si possano comportare in modo diverso dalle altre tipologie storiche di monopolio. È un problema con il quale si stanno confrontanto tutte le autorità antitrust del mondo.

Se la Apple fosse affondata, la quota di mercato di Microsoft Windows, nel mercato dei sistemi operativi per personal computer, allora al 90% circa, sarebbe rapidamente cresciuta oltre il 95%. Vi sono molte prove che Microsoft innova solo quando viene sfidata da un concorrente con una quota di mercato a due cifre.

Per esempio Internet Explorer incorporò la “navigazione a schede” solo dopo che il browser Firefox, gratuito, aveva raggiunto una quota a doppia cifra del mercato dei browser. Senza sfidanti, Microsoft avrebbe continuato a migliorare i prodotti secondo le sue strategie commerciali o si sarebbe seduto sulla spiaggi a sorseggiare Mojito, mentre navi container avrebbero sbarcato pancali di dollari sul bagno asciuga

Un’altra considerazione è che le esternalità di rete amplificano il potere dei vincitori (ne sentiamo parlare regolarmente), ma amplificano anche i problemi dei perdenti. Senza effetto rete, Apple avrebbe dovuto affrontare problemi simili, ma la sua caduta sarebbe stata probabilmente molto più lunga e più lenta. Avrebbe anche potuto preservare parte del valore degli investimenti in attrezzature, software e formazione. Apple non avrebbe dovuto preoccuparsi delle conseguenze di questa esternalità o dello scompenso tra il valore prodotto dal network effect e quello delle perdite causate dal passaggio degli utenti al PC.

Le soluzioni a questi problemi non sono banali. Anche la leva finanziaria può alla fine contribuire al fallimento di una società che sviluppa una piattaforma perdente. Ma, mantenere in vita Apple fu una buona idea soprattutto per le persone che erano affezionate al Mac. E alla fine ne valse la pena visto quello che è accaduto dopo.

Anche i rimedi post-facto sono complessi. Spezzare una piattaforma monopolista è una proposta difficile da attuare. Il software è difficile da parcellizzare e i rimedi rischiano di danneggiare i consumatori che non beneficiano più dei vantaggi del network effect che il monopolista gli arreca. La scomposizione di Microsoft avrebbe potuto stimolare l’innovazione, ma senza dubbio avrebbe irritato i consumatori. E il faro dei regolatori antitrust, fino a oggi, è stato il tornaconto dei consumatori. Forse la faccenda cambierà, ma deve ancora succedere.

La fonte di questo post è il contributo di Archie Russell, dell’Università di Washington, allo studio Failures of Large Computer Companies, 2006, University of Washington.

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Mario Mancini
Mario Mancini

Written by Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.

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