Il nuovo schieramento delle grandi potenze
di Karl Polany
Il nuovo schieramento dei paesi europei: fascismo e democrazia
Il fascismo tedesco si è messo in moto per distruggere il socialismo in Russia. Tutta la sua politica estera è basata su quest’idea. Hitler è convinto che tutti gli stati capitalistici dovrebbero unirsi per adempire il compito di sconfiggere la patria del bolscevismo.
La Germania ritiene di essere il «campione della civiltà europea contro la barbarie subumana asiatica». Essa si proclama il punto di convergenza di tutti i nemici del socialismo.
L’essersi scelta questa missione costituisce un tangibile vantaggio per la sua politica estera. Essa continua a trarne una grande forza; e dunque si guarda bene dall’essere ambigua al riguardo.
L’ostilità irriducibile della Germania verso l’Urss è un elemento essenziale della politica europea.
Questi due paesi funzionano come due poli di tensione sociale nell’attuale situazione internazionale. Gli effetti di questo sviluppo sugli schieramenti delle potenze in Europa sono stati profondi e durevoli.
L’Urss ha abbandonato il fronte revisionistico. Appena si convinse che l’ostilità della Germania nazista contro il «marxismo» era un fattore fondamentale della politica estera di questo paese, essa rovesciò l’atteggiamento coerentemente tenuto fin dal novembre 1917.
Fino al 1933 l’Urss aveva più o meno fatto affidamento su una prossima rivoluzione mondiale, che l’avrebbe salvata dall’accerchiamento degli stati capitalistici.
Essa sospettava che la Società delle Nazioni servisse per coordinare l’intervento capitalistico; incoraggiò il revisionismo per spaccare l’unità degli stati capitalistici e per dare una spinta alla rottura del sistema di Versailles.
Se il revisionismo avesse portato alla guerra, la rivoluzione mondiale sarebbe stata più vicina.
Poi l’Urss troncò i legami con il revisionismo e cambiò completamente rotta. Essa si avvicinò un po’ alla volta al campo antirevisionista, che patrocinava la sicurezza collettiva, e approdò alla Società delle Nazioni. Il suo tradizionale principio — cercar di prevenire l’accerchiamento appoggiando un gruppo contro l’altro — veniva mantenuto; ma questa volta essa si allineò con gli stati antirevisionisti.
C’era comunque una differenza molto importante. Con il riavvicinamento alle potenze dello status quo e alla Società delle Nazioni, la rivoluzione mondiale cessava di essere parte integrante della politica estera della Russia sovietica. La guerra non avrebbe più fatto il suo gioco. Essa divenne un fattore di pace.
L’ingresso dell’Urss nel sistema della Società delle Nazioni ebbe importanti conseguenze sulla politica europea. La Russia aveva nutrito un interesse molto vago per le faccende europee.
Nonostante che, sulla base del successo dei piani quinquennali, la sua forza militare cominciasse a crescere, essa rimase in un certo senso una potenza non europea.
Il suo sostegno al revisionismo era meramente diplomatico; il suo esercito non rientrava nel quadro. Ciò fece aumentare notevolmente l’importanza delle grandi potenze più giovani, Italia e Polonia.
Queste ultime dal 1919 al 1933 ebbero effettivamente il ruolo di grandi potenze in Europa, benché, rispetto alle grandi potenze vere e proprie, i loro interessi fossero limitati, e ancora di più lo fossero le loro risorse.
L’ingresso dell’Urss nella partita tendeva a ridurre il peso dell’Italia e della Polonia nelle assemblee europee. I nuovi sviluppi lasciarono il segno sulla linea politica di questi due paesi, anche se non la fecero cambiare del tutto.
La Polonia rimase antirevisionista, ma si avvicinò alla Germania; l’Italia, pur rimanendo revisionista, fece qualche passo verso la Francia. La politica della Polonia divenne alquanto misteriosa per tutti coloro che non facessero parte dei circoli più ristretti delle sue istituzioni.
Anche la condotta dell’Italia fu tutt’altro che lineare. Sia l’una che l’altra tenevano gli occhi puntati sulla Francia e dovettero quindi adeguare la loro linea alla mutata posizione nella quale le aveva messe l’amicizia della Francia con la Russia.
La Polonia non poteva più contare sull’incondizionato sostegno della Francia, della quale era alleata, poiché la Francia doveva ora tener presente anche la Russia.
La Polonia ritenne quindi saggio arrivare a un accordo con la Germania, che le consentisse di sentirsi sicura almeno per il momento. L’Italia invece era stata in rapporti tutt’altro che amichevoli con la Francia.
Essa aveva seguito la linea di mantenere sotto pressione la Francia, sperando così di convincerla a farle alcune concessioni coloniali in Africa, e anche di indebolire l’appoggio francese alla Jugoslavia, confinante con l’Italia sull’Adriatico.
Le simpatie italiane per il revisionismo scaturivano da una fonte analoga. La Francia doveva venir convinta della necessità di addivenire a un accordo con l’Italia; se continuava a far orecchi da mercante, l’esercito italiano, nel caso di una resa dei conti, si sarebbe schierato a fianco dei paesi revisionisti come la Germania, l’Ungheria e la Bulgaria.
Il nuovo orientamento dell’Urss tagliò l’erba sotto i piedi a questo stratagemma. Vista la grande forza militare sovietica, la Francia sarebbe stata d’ora in poi meno dipendente dall’Italia. Mussolini, che era stato in pessimi rapporti con la Francia, si rappacificò con essa il 7 gennaio 1935.
Laval dichiarò che la Francia non era più interessata al futuro economico dell’Etiopia. Si può dire che quel giorno sia entrato nella storia perché vennero sparsi i semi della guerra in Africa.
L’Italia risentì della vulcanica nascita del Terzo Reich anche in un altro, più diretto modo, il quale costituiva fra l’altro per Mussolini una ragione in più per affrettarsi a concludere un accordo con Laval.
L’improvviso riemergere dell’imperialismo tedesco raffreddò l’ardore revisionistico dell’Italia. La questione austriaca era stata riposta al sicuro per una quindicina d’anni.
Benché sconfitta, l’Austria non era revisionista. Le sue giuste rimostranze per il divieto, contenuto nel trattato di pace, di unirsi alla Germania avevano trovato un’eco molto esitante in Germania e sembravano comunque sempre meno insistenti.
Ma dalla sera alla mattina tutto cambiò. Il Terzo Reich invocò l’unione con l’Austria e l’Italia venne a trovarsi in una posizione molto scomoda. Dopo aver parteggiato per il revisionismo per circa un decennio, essa si trovò di fronte a un successo del revisionismo che minacciava la sua stessa sicurezza e la sua stessa integrità.
Se l’Austria si fosse unita alla Germania, il Terzo Reich. sarebbe arrivato al confine del Brennero, sarebbe diventato il vicino dell’Italia nelle Alpi tirolesi.
Il Reich avrebbe potuto allora mirare bramosamente a un porto sull’Adriatico; bloccare le comunicazioni dell’Italia con l’Ungheria in caso di guerra–un pericolo non preoccupante fino a che proveniva dalla debole Austria; riprendere con vigore la vecchia strategia di espansione nei Balcani, rendendo l’Italia impotente nell’Adriatico.
Il Terzo Reich, infine, avrebbe quasi certamente fomentato l’irrequietezza dei tedeschi del Sud Tirolo, insidiando così la più vulnerabile zona di frontiera italiana.
Mussolini, per sventare il pericolo, promosse in Austria una sua dittatura tramite la Heimwehr, la quale nel febbraio 1934 si scatenò contro i socialisti che difendevano la costituzione democratica.
Al Brennero truppe italiane vegliarono assiduamente sull’indipendenza austriaca dal 1933 al 1936. Si era così creato, ovviamente, un interesse comune con la Francia.
Mentre non fu mai possibile, in questi anni, fugare completamente l’ombra austriaca dalle relazioni dell’Italia con la Germania.
Anche la Gran Bretagna subì per un certo periodo un’influenza negativa per la propria libertà di iniziativa diplomatica a causa dell’inattesa riapparizione della Russia nel sistema europeo.
La relativa debolezza della Gran Bretagna in questi anni critici è stata spesso messa in luce e fondatamente ascritta a svariate ragioni. Una di esse era il fatto che la Gran Bretagna non era capace di allineare la sua politica nel Pacifico con gli impegni che aveva in Europa.
Nel Pacifico doveva tenere costantemente d’occhio il Giappone, perché sentiva che la sua politica marittima e imperiale la impegnava di fatto a fiancheggiare gli Stati Uniti d’America nel caso che fra questi e il Giappone si arrivasse a una resa dei conti.
La marina britannica, in effetti, non era tanto forte da poter proteggere senza correre gravi rischi i Dominions e gli altri possedimenti remoti, in caso di un attacco giapponese.
In questo periodo, d’altra parte, neanche gli Usa avevano la capacità o la volontà di proteggerli. La politica inglese consisteva in pratica nell’allontanare il brutto giorno, se mai doveva arrivare, in cui un conflitto fra Stati Uniti e Giappone l’avrebbe costretta ad affrontare quest’ultimo nelle acque dell’Estremo Oriente.
Ciò che la Gran Bretagna tentava di fare era appunto rendere conveniente per il Giappone il mantenimento della pace; essa non s’impuntava, quindi, a contrastare la tendenza giapponese alla conquista nel continente asiatico, sia che ciò avvenisse a spese dei russi in Manciuria o dei cinesi nel nord della Cina o infine dei cinesi e della stessa Gran Bretagna nelle regioni centrali e meridionali della Cina.
In un momento in cui, nell’Estremo Oriente, l’Urss quasi non contava come potenza militare e sia gli Usa sia la Gran Bretagna erano ancora deboli sull’Oceano, la soluzione ovvia di riunire questi tre paesi per controbattere l’imperialismo giapponese garantiva meno sicurezza di quanto poteva sembrare a prima vista.
Una coalizione fra deboli che cerchi di fermare un paese più forte può indurre quest’ultimo a colpire finché i singoli avversari sono ancora deboli, e d’altra parte può non offrire alcuna garanzia che, come coalizione, sia in grado di prevalere militarmente.
Questo, però, non esclude che la Gran Bretagna potesse e quindi dovesse ostacolare, nel 1931, i piani di aggressione del Giappone nell’Estremo Oriente.
Essa, invece di incoraggiare il Giappone, come in pratica è successo, avrebbe potuto, con l’aiuto degli Usa e della Società delle Nazioni, e senza rischio di guerra, far aumentare enormemente il costo dell’aggressione giapponese, riuscendo così almeno a farla procedere a passo di lumaca.
Gli eventi hanno successivamente dimostrato che sir John Simon–consentendo, senza nemmeno una contropartita, che il Giappone infierisse a man salva in tutto l’Estremo Oriente–commise un grossolano errore, anche psicologico.
La Gran Bretagna finì per trovarsi in una posizione in cui le diveniva difficile anche mettere il veto a iniziative giapponesi che calpestavano gli interessi russi.
La Gran Bretagna insomma, nel conflitto fra Giappone e Unione Sovietica, continuò in pratica a stare dalla parte del Giappone. Ed era quasi costretta a ciò, a meno che l’equilibrio di potere nel Pacifico venisse sovvertito.
L’ammissione dell’Urss nella Società delle Nazioni, benché in un primo momento avesse suscitato ben poche reazioni, mise in imbarazzo la Gran Bretagna.
Come membro della Società e sostenitrice della sicurezza collettiva, l’Urss sarebbe stata a favore del mantenimento della pace e contro le aggressioni non provocate.
Essa sarebbe stata considerata dalla Francia come il proprio naturale alleato in Europa, specialmente per quanto riguardava i rapporti con la Germania.
Anche la Gran Bretagna, d’altra parte, si era impegnata con gli accordi di Locarno a schierarsi a fianco della Francia in caso di attacco tedesco.
Essa, a meno di prendere la decisione di disinteressarsi del destino del Belgio e del Paesi Bassi, oltre che di denunciare l’accordo di Locarno, non avrebbe mai potuto esser sicura di non trovarsi un giorno a combattere dalla stessa parte della Russia.
Ma come fare allora con il Giappone, il quale, se la Russia fosse stata coinvolta in una guerra, l’avrebbe quasi certamente attaccata?
Non era possibile, evidentemente, prescindere dal fatto che l’Urss confina da una parte con l’Oceano Pacifico e dall’altra con l’Europa. Fra i due punti più conflittuali del globo, la regione dell’Amur e quella del Reno, prima isolati, separati da un continente indifferente e neutrale, c’è ora un corto circuito.
La Gran Bretagna potrebbe essere costretta ad affrontare difficili dilemmi: se cambiare la propria politica nel Pacifico oppure in Europa; se assistere con benevola neutralità ai preparativi giapponesi di attacco contro la Mongolia esterna e la Siberia, considerando che sarebbe invece a fianco dell’Urss che dovrebbe combattere, secondo l’accordo di Locarno, nel caso che questo paese e la Francia affrontassero insieme una guerra di difesa contro la Germania.
La Gran Bretagna è stata incapace di decidersi in un verso o nell’altro. Questa è stata forse la più importante fra le ragioni nascoste della sua debolezza in politica estera.
L’irriducibile ostilità contro l’Urss, che la Germania ha continuato a proclamare una questione di principio, diventò in questo modo una questione determinante nel periodo storico attuale.
Quanto più successo otteneva la pressione della Germania per far diventare l’Unione Sovietica un problema politico, tanto più si riduceva la libertà d’azione della Gran Bretagna.
E non dimentichiamo che la Germania indicava la via dell’aggressione fascista da un capo all’altro del mondo.