Il lavoro entra in una terza dimensione

Il terzo spazio dei co-working

Mario Mancini
5 min readFeb 27, 2022

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L’hub 1 dell’Impact Hub di Firenze, il co-working ricavato dagli ex depositi delle dogane di Firenze nel quartiere di Rifredi.

Sappiamo che il lavoro sta cambiando e lo sta facendo in modo rapido. Non solo il contenuto del lavoro, ma anche il modo nel quale si lavora. La pandemia ha accelerato le tendenze, peraltro già presenti, in direzione di un lavoro ibrido supportato dalle nuove tecnologie.

Ma dove sta andando il lavoro? È certo che si sta frammentando in più direzioni, in più spazi.

Però che barba!

Dopo due anni trascorsi nella mia camera da letto, ho deciso di cambiare le cose e sono andata a lavorare in un caffè nel mio quartiere, nella parte est di Londra. Dopo essermi sistemata, mi sono resa conto che il WiFi era così lento da non poter nemmeno inviare e-mail. Appena finito di bere un caffè ho deciso di tornare a casa.

Mi piace il mio appartamento, ma in questa modalità ibrida i miei giorni di lavoro a casa e quelli del mio compagno non coincidono e la tranquillità non mi soddisfa (francamente, la odio).

Molti altri si trovano in una situazione analoga: lavorare da casa è noioso, poco produttivo o semplicemente impossibile. Ma c’è una soluzione. Un “terzo spazio” che non è l’ufficio e non è la casa, ma è una via di mezzo: uno spazio professionale flessibile e accessibile, uno spazio portata di mano. Il co-working.

L’on demand di We Work

Conosciamo tutti l’esito di iniziative come WeWork con i suoi spazi di lavoro condivisi che promettevano uno stile di vita diverso e cool (birra gratis!, ecc.). Ma poi e è finita come è finita.

Dopo la pandemia, WeWork ha iniziato a offrire nelle sue 250 sedi un servizio più flessibile, “on demand”, permettendo ai singoli lavoratori di utilizzare gli uffici senza vincoli continuativi nel tempo e nello spazio.

Si è così avuto un boom delle adesioni al suo abbonamento “all access”, che dà accesso pieno a più di 700 uffici. Questo trend è guidato da individui, come pure da aziende, che vogliono dare ai loro dipendenti più flessibilità di orario e di location.

10 minuti da casa

Dan Cable, professore di comportamento organizzativo alla London Business School, vede questo concetto di “terzo spazio” risolvere una serie di problemi.

Nel contesto di ciò che lui chiama “nuove aspettative dei lavoratori” — cioè le persone vogliono più flessibilità non solo sul come, ma anche sul dove lavorare — il fatto che questi spazi terzi siano prossimi alle residenze dei lavoratori è fondamentale. Sottolinea:

“Dieci minuti da casa, questo è ciò che i lavoratori cercano. Vogliono liberarsi di due ore trasferimento ogni giorno, 10 ore di tempo sprecato alla settimana”.

Cable ritiene pertanto che il terzo spazio potrebbero essere una componente importante della rivoluzione a lungo termine che sta avvenendo nel mondo del lavoro. “È una soluzione specifica, pratica e conveniente”, dice.

La scena londinese

Arc Club è una delle tante startup ad offrire spazi di co-working vicino a dove vivono i dipendenti. Hannah Philp e Caro Lundin nel 2020 hanno aperto il primo sito a Homerton, a nord-est di Londra e ne hanno appena avviato un secondo a Camberwell Green nel sud. Ne hanno altri 10 in cantiere.

I servizi includono scrivanie individuali, cabine per chiamate e sale riunioni. C’è un cafè, si può fare networking con professionisti locali e un WiFi che funziona. Costa 25 sterline (circa 18 euro) al giorno o 150 sterline (180 euro circa al mese) al mese.

Chi usa questi spazi? I candidati più ovvi sono i freelance e gli imprenditori individuali. Però, ci sono anche persone che aspirano avere un paio di giorni di requie dal pendolarismo o cercano a uno spazio professionale per sfuggire ai figli, ai coinquilini o al frigorifero.

Il co-working come benefit

I terzi spazi sembrano adattarsi perfettamente al modo in cui il lavoro ibrido si sta evolvendo e sta modellando il panorama degli uffici nelle grandi città. Quando parlo con gli operatori del settore immobiliare, ricevo l’impressione che le aziende tendano a centralizzare.

Per attirare i lavoratori, stanno selezionando spazi per allestire uffici di alto livello, situati in posizione centrale con, o vicino a, palestre, caffè e ristoranti.

Eppure mentre il ritorno in ufficio è ormai all’ordine del giorno, sembra che molti lavoratori stazioneranno in questi spazi ufficiali solo per una porzione della settimana lavorativa.

Adesso molti lavoratori stanno pagando di tasca propria l’accesso saltuario a un terzo spazio, ma questo costo potrebbe essere incluso nel pacchetti di benefit per i dipendenti nel tentativo di riportare nel 2022 il personale negli uffici. Dice il Prof. Cable

“Che un tale servizio possa essere offerto come un benefit, ha un senso. A me sembra un valore aggiunto, come lo è un benefit”.
Suona così: “Ti stai fidando di me e mi stai aiutando per fare meglio il mio lavoro”.

Rompere la routine

Cable ritiene che offrire uno spazio di lavoro flessibile sia vantaggioso per le aziende. Dice:

“È un investimento piuttosto basso per le aziende in termini di ciò che ricevono in cambio”.

Lavorare in un posto nuovo può aumentare la produttività perché rompe la routine. La ricerca comportamentale dimostra che la parte del nostro cervello che regola la motivazione risponde meglio alla novità.

Anche una sede prestigiosa potrebbe ridurre la produttività se vi si trascorre troppo tempo (per non parlare degli spostamenti).

Un terzo spazio come un co-working offre nuove motivazioni. Se è possibile concentrarsi sul lavoro in una zona tranquilla vicina a casa e qui incontrarsi con persone nuove e diverse— allora il coinvolgimento potrebbe aumentare.

Tra me e l’ufficio ci sono 30 minuti di cammino. Agevole, ma se ci fosse uno spazio di lavoro flessibile accanto alla mia porta di casa sarei veramente tentata — specialmente se il caffè è buono e il mio datore di lavoro paga il conto.

Fonte delle informzioni: Janina Conboye, Hybrid work is entering a third dimension, “The Financial Times”, 21 febbraio 2022

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Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.