Il dramma del dottor Zivago

Il senso profondo dell’opera di Boris Pasternak

Mario Mancini
11 min readNov 26, 2024

di Pietro Zveteremich

Articolo pubblicato sul settimanale “Realtà sovietica” nel 1958.

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Il caso letterario del secolo

Il Dottor Živago di Boris Pasternak, oltre a vincere il Premio Nobel, è stato, in piena guerra fredda, un intrigante caso letterario internazionale che ha visto come protagonista l’editore italiano Giangiacomo Feltrinelli e lo slavista e traduttore italiano specializzato in letteratura russa dell’epoca sovietica, Pietro Zveteremich.

Il romanzo fu scritto da Pasternak tra il 1946 e il 1955, durante un periodo in cui lo scrittore era stato escluso dagli ambienti letterari ufficiali sovietici. La pubblicazione dell’opera fu caratterizzata da vicende editoriali tumultuose.

Nel 1956, il giornalista Sergio D’Angelo era in Unione Sovietica su incarico di Feltrinelli per trovare opere di interesse per il pubblico occidentale. Venuto a conoscenza della conclusione del romanzo di Pasternak, D’Angelo si recò a casa dell’autore e gli propose di pubblicarlo in Italia.

Nel frattempo, le autorità sovietiche avevano negato la pubblicazione del romanzo in patria e l’editore Novyj Mir aveva restituito il manoscritto con una lettera di rifiuto.

Nel giugno 1956, il manoscritto fu consegnato a Pietro Zveteremich, che preparò una recensione entusiastica. A questo punto Giangiacomo Feltrinelli si convinse a procedere con la pubblicazione nonostante si facessero sentire le forti pressioni del governo sovietico.

Il Dottor Živago fu finalmente pubblicato in Italia il 15 novembre 1957, con una tiratura iniziale di 3.000 copie. L’edizione italiana fu presentata ufficialmente il seguente 22 novembre a Milano.

L’anno successivo, Boris Pasternak fu insignito del Premio Nobel per la Letteratura, ma fu costretto a rinunciarvi sotto la minaccia delle autorità sovietiche.

Il romanzo rimase proibito in URSS fino al 1988, quando la politica di liberalizzazione promossa da Mikhail Gorbachev, la la glasnost, ne consentì finalmente l’uscita in Russia, suscitando un clamore internazionale con pochi precedenti

Realtà sovietica

L’intervento di Pietro Zveteremich che vi proponiamo fu pubblicato sul settimanale illustrato in lingua italiana Realtà Sovietica, avviato nel 1953 come sostituto del periodico Italia-URSS, che aveva iniziato le pubblicazioni nel 1948.

La rivista era dedicata all’analisi della vita politica, culturale ed economica dell’Unione Sovietica e del blocco comunista. Offriva uno spazio di approfondimento distintivo, con l’obiettivo di contrastare la visione occidentale predominante sul regime sovietico e di mettere in luce aspetti meno noti della realtà dell’URSS.

Realtà Sovietica si rivolgeva a un pubblico interessato a comprendere la complessità del contesto sovietico, avvalendosi della collaborazione di intellettuali, storici e giornalisti esperti in materia. Tra i suoi collaboratori occasionali figurava anche Pier Paolo Pasolini.

La rivista dedicava ampio spazio alla vita quotidiana in Unione Sovietica, alle attività culturali, artistiche e di spettacolo (letteratura, arti figurative, cinema, teatro), oltre che allo sport e al ruolo della donna nella società comunista.

In un numero del 1958, a pochi mesi dalla pubblicazione del romanzo, Pietro Zveteremich scrisse una lunga recensione de Il dottor Živago di Boris Pasternak, che vi proponiamo integralmente.

Recentemente, una collezione pressoché completa dei numeri di Realtà Sovietica è stata donata dagli eredi di Quirino Covini alla Biblioteca dell’Istituto Storico della Resistenza di Firenze, dove è ora disponibile per la consultazione.

Buona lettura di questo bel documento storico!

Il dramma del Dottor Zivago

di Pietro Zveteremich

“Il dottor Zivago” che medita e scrive è assai più lontano dalla comprensione della rivoluzione di quanto sia mai stato il suo creatore, il poeta Pasternak

Da quasi un mese circola in Italia nella sua prima edizione mondiale quest’ultima fatica di Boris Pasternak, uno dei tre o quattro grandi poeti del mondo contemporaneo. I nostri lettori ormai sanno di che cosa si tratti, perché il libro ha già fatto versare molto inchiostro e spendere molte parole. La celebrità dell’autore e la complicata vicenda attraverso cui “Il dottor Zivago” è apparso prima a Milano che non a Mosca erano sufficienti ad aguzzare quell’interesse di congiuntura, tutto esterno ed approssimativo, che fa rumore e si diffonde come una diceria. Alla suggestione di un tal genere d’interesse difficilmente hanno potuto sottrarsi lettori e critici, perché soprattutto per i libri che ci vengono dall’URSS, è forte la tentazione di vedervi in primo luogo una testimonianza, una risposta agli interrogativi sul travagliato cammino dell’umanità moderna e la propria personale sorte in esso. E, di fronte all’urgenza di questa interrogativi posti dall’epoca e tanto condizionati per ognuno sempre più rari si fanno i lettori disposti a cogliere la voce particolare dell’arte, a sentire in essa, oltre il suo apparente distacco, l’accezione più vera, la rinata immagine del reale. Eppure proprio per un libro come questo appare necessario fare questo tentativo. Per sua natura esso respinge un interesse tutto esterno e documentaristico come quello cui s’è accennato; lo fa al punto di sottrarsi alla facile pubblicità che ciò può conferirgli col rifiuto, con il precluderci l’accesso ai suoi significati. Chi conosce l’opera di Pasternak sa che si tratta d’un poeta, la cui storia artistica, pur radicata nella cultura precedente, si è però praticamente configurata nel quarantennio sovietico e da questo terreno ha tratto le sue linfe. “Debbo ciò che sono a quest’epoca e al mio paese», ha dichiarato proprio in questi giorni Pasternak ai giornalisti che lo interrogavano sul suo romando. Ma egli è un poeta per il quale gli avvenimenti, i fatti della storia politica e sociale non sono mai stati temi né occasioni nella loro grezza immediatezza.

Con questo non si vuol ovviamente dire che “Il dottor Zivago”, come peraltro ogni opera in cui c’è della vita, non si collochi in un rapporto ravvisabile con una determinata realtà storica; si vuole solo avvertire che ciò si dà attraverso una tale evocazione di un mondo fantastico, di poesia, che non i riferimenti a situazioni, luoghi, vicende, tipi, qui valgono, ma preventivamente dal lettore si esige che egli entri nel mondo che l’autore trae dalla sua particolare accezione della Russia, ne avverta la verità poetica. Allora si avrà anche la nozione dei limiti di essa, dove, di fronte a più vaste porzioni della realtà (l’immensa, straripante realtà umana della società sovietica in movimento, impegnata in una straordinaria impresa di rifacimento delle «basi della vita») l’autore non azzarda in questo romanzo un passo, nemmeno il passo che aveva tentato nelle poesie. E cioè, il dottor Zivago che medita e scrive è assai più lontano dalla comprensione della rivoluzione di quanto sia mai stato il poeta Pasternak.

Personaggi «negativi»

È facile abbozzare un’identificazione sociale e morale di questi limiti; dire, e crediamo anche con un fondo di verità se pur parzialmente, che sono gli stessi limiti di quell’intellettualità d’origine borghese, progressiva e illuminata, che aveva parteggiato per la rivoluzione, ma non per essa combattuto, che questo suo atteggiamento nutriva di ragioni umane e di cultura, non di una coerente ed esclusiva ideologia della rivoluzione, che aveva sperato in un rivoluzione che non aveva sperato in una rivoluzione che non spettava a lei fare e non fece e quando questa rivoluzione fu fatta, attraverso anni lunghi e difficili, da chi doveva, essa rimase per lei cosa estranea, avversa, un patrimonio non suo. La rivoluzione divenne per lei la casa che altri si sono costruita e riconosce grandiosa e solida, ma che non risponde ai suoi gusti. È chiaro che i gusti del dottor Zivago sono troppo personali, mentre la casa è stata un gigantesco sforzo di tanta gente, e personali le sue critiche a quello sforzo. Per di più, i gusti di Zivago e le sue critiche partono da una cultura, i cui dati non sono più accettati come verità alla luce di altri dati, di altre verità, che Zivago, misconosce.

Ma il dramma di Zivago, il quale dalla nuova realtà si sente negata ogni ragione di vita, è presente anche in altre opere della letteratura sovietica. La famiglia dei Turbin nel bel dramma di Bulgakov, che ancor oggi si rappresenta con successo, è in una situazione analoga, ed anzi, a differenza di Zivago, essa si schiera decisa contro la rivoluzione; Gregorij Melechov del “Placido Don” non comprende il cammino della rivoluzione e gli si oppone. Si potrebbero citare altri esempi del genere. La storia della società sovietica si articola in innumerevoli aspetti e la letteratura sovietica è ricca di personaggi, diciamo «negativi», che il loro rapporto con la realtà sovietica non risolvono e soccombono. Sicché non può destar meraviglia che Zivago sia un personaggio «negativo», un intellettuale che gli avvenimenti bruciano come hanno distrutto il Samghin di Gorkij, né da questo punto di vista si può far questione della sua legittimità e della sua validità artistica. Crediamo sia più interessante cercare di stabilire sino a qual punto il mondo di Zivago e della sua vicenda, dov’è poeticamente vivo e vero sia un mondo solo privato o possano invece riconoscersi in esso valori comuni alla Russia d’oggi. I limiti, ripetiamo, sono scontati come inerenti al tipo stesso del personaggio e, per quanto a lui aderisce, al suo stesso autore. È una vicenda particolare e particolari sono anche le vicende di altri personaggi del romanzo per i quali pure il rapporto con gli sviluppi della rivoluzione si pone assai diversamente che non per il dottor Juirij: i tipi dell’ambiente operaio del 1905, la figura del capo partigiano Strelnikov, gli stessi amici del protagonista, Gordon e Dudorov. Ma, in questo suo configurarsi in un aspetto così privato e parziale dei tanti aspetti onde è fatta la storia del divenire della società sovietica, il libro di Pasternak ha il merito di far tastare con mano di quanta carne e paesaggi e visi di alberi e lacrime e destini e pensieri sia fatta la storia d’un paese, di aprirci alla nozione della vastità umana su cui s’è operata l’impresa di trasformazione, cose che generalizzazioni facili o addirittura schemi sovente rimpiccioliscono e rendono astratte, prive della loro drammatica dimensione umana.

Da quel che ha già scritto la stampa è noto ai lettori, che la vicenda del Dottor Zivago si svolge dal principio del secolo alla fine della guerra mondiale: trascorre la Russia attraverso le tre rivoluzioni, la guerra civile, le vicissitudini, il travaglio terribile del riassetto del paese sino alla seconda guerra mondiale, all’affacciarsi a un’epoca nuova nelle ultime pagine di ripensamento sui destini dei personaggi. Il protagonista è un intellettuale del ceto borghese illuminato e progressista. Egli è medico e letterato, partecipa alle ansie della Russia alla vigilia del rivolgimento, accoglie l’Ottobre con commosso entusiasmo, poi la rivoluzione lo travolge ed è per lui un’immane forza estranea, che egli neppure tenta di capire tanto essa gli appare come la negazione della vita. Zivago si muove in nome della vita, per amore della vita; la sua tragedia è in questo, che egli non vede come la rivoluzione proceda nello stesso segno e affermi la vita così come soltanto poteva essere affermata e fatta vincere. Ma, al di là dei casi di Zivago e dei suoi intimi, in questo libro colpisce innanzi tutto la presenza della Russia, quale pochi scrittori contemporanei ci avevano dato. Sono pagine e pagine mirabili, dove rinasce il senso delle cose, dove si dà un rapporto autentico fra uomini e cose, dove si sente la Russia nella sua natura, nelle sue foreste e nei suoi inverni, nella sua misura del tempo, dove la si sente come un organismo vivo, con una propria storia. Si pensi alla gelida notte in cui il dottore ha l’annuncio del rivolgimento d’Ottobre, al viaggio verso gli Urali con la famiglia, ai quali dell’accampamento partigiano e alla scena dell’esorcismo, alle giornate immobili della quiete di Varykino, alle stesse scene dell’infanzia dei personaggi. Sono pagine dove vive la miglior tradizione della prosa russa, ricreate con sensibilità moderna e nutrite di cultura.

Si possono dire molte cose su un libro come questo e l’elenco dei difetti può stare alla pari con quello dei meriti, ma, perché si possa compiere l’operazione critica e la stessa lettura, Il dottor Zivago richiede preliminarmente che non gli si impresti il valore d’una testimonianza politica. Anche l’autore, nella sua recente intervista, ha detto come si tratti di una vicenda privata il cui angolo visuale sulla vicenda del paese non può essere considerato come una professione di fede. E sappiamo che storie come queste hanno abitato da tempo la letteratura sovietica. Il quadro che della storia del paese esce da questa storia particolare è certamente parziale e chiuso a molti e determinanti aspetti del reale e prima di tutto delude l’assenza anche solo d’un tentativo di sguardo all’impresa che l’URSS compiva, anche solo lo sforzo d’avvicinarsi almeno un poco a un avvenimento di tale portata e peso, fatto del sudore e del sangue e della passione di milioni di uomini. Questo è certamente ciò che mutila l’opera al suo stesso interno, non come un difetto ideologico, ma come una parte sottratta al suo corpo artistico. Il quale probabilmente è più quello d’un poema in prosa che d’un romanzo; nell’esilità di certe strutture, di certe figure, nelle sproporzioni e nei cedimenti si sente, non meno che nelle pagine più belle, che l’autore è un poeta, non un romanziere. Si sente, cioè, che dove cede la tensione lirica, non c’è il racconto, ma la descrizione; a volte si osserva uno sforzo verbale compiuto a freddo.

Una lunga navigazione

Nonostante ciò, colpisce la sua autenticità poetica, non come un risultato azzeccato, ma come una qualità che investe tutta l’opera, che l’attraversa come una corrente d’aria vivificatrice. E, nonostante la sua sostanziale deficienza di prospettiva, ci sembra il libro sia riscattato dalla commossa rappresentazione della vicenda russa, dall’affermazione del valore di essa e del suo positivo significato, dell’apertura dei suoi sviluppi, a cui esso guarda con tanta sofferta fiducia. Quest’orizzonte balena nella pagina finale agli amici di Zivago affacciati su Mosca notturna, ed è l’orizzonte che appare dopo una lunga navigazione sul mare tempestoso del socialismo, è l’odore portato dal vento che annuncia la nuova terra, quando l’antico continente s’è perduto di vista da anni e non alletta più al ritorno. «Anch’io penso che la Russia sia destinata a diventare il primo regno del socialismo da quando esiste il mondo, — dice Zivago. — Quando ciò si compirà, ne rimarremo a lungo storditi e, riavendoci, non ricupereremo più una parte della memoria. L’ordine che subentrerà, ci circonderà con la stessa normalità d’un bosco all’orizzonte e delle nubi sopra la testa. Ci circonderà da ogni parte. Non ci sarà nient’altro». Perché la Russia pervenisse a intravedere questo orizzonte ci sono state migliaia di storie umane: le storie dei cospiratori, dei rivoluzionari, dei mugichi, degli operai, dei comunisti combattenti e costruttori, ma ci sono state anche le storie dei non comunisti, degli sconcertati dagli avvenimenti, degli increduli, degli individualisti, dei nemici, le storie di Samghin, di Melechov, dei Turbin, di Zivago e di molti altri a fianco delle storie di Ciapaiev, di Korciaghin, di Tjorkin, e mille altre. Sono i plurimi aspetti da cui prende corpo un processo così totale e profondo qual è il passaggio a una diversa formazione sociale. Ma tutti essi appartengono comunque alla vicenda sovietica, al rinnovamento della Russia, e i destini e le persone e i pensieri di chi non capiva e pensava e agiva di conseguenza. Ci sembra che un libro come questo di Pasternak, al di là di tutte le osservazioni che può suscitare, in quanto opera in cui c’è vita e poesia possa in fondo testimoniare la possibilità della società sovietica di riguardarsi anche sotto il prisma di una vicenda pur estranea al suo corso o persino avversa e anche in un aspetto così particolare della propria storia, in una visione così estranea alla coscienza che essa ha di sé, ritrovare la conferma della propria verità.

Renato Zveteremich è stato un raffinato intellettuale, traduttore e studioso italiano che ha svolto un ruolo cruciale nella mediazione culturale tra la Russia e l’Italia nel corso del Novecento. La sua opera di traduzione ha rappresentato un ponte letterario importante, introducendo al pubblico occidentale alcuni dei più grandi capolavori della letteratura russa.

Le sue traduzioni più celebri includono i romanzi monumentali di Lev Tolstoj: Guerra e pace e Anna Karenina. Oltre a Tolstoj, Zveteremich ha tradotto testi di Fëdor Dostoevskij e Anton Čechov.

Un suo contributo particolarmente significativo è stata l’introduzione in Occidente della poesia di Marina Cvetaeva, poetessa straordinaria e poco conosciuta all’epoca. Con Il grande Parvus, Zveteremich ha inoltre offerto un contributo storiografico rilevante, rivelando il ruolo di Izrail’ Gel’fand nella Rivoluzione d’Ottobre e portando alla luce aspetti meno noti di quel momento storico cruciale.

Autore del libro Le notti di Mosca, Zveteremich ha insegnato all’Università di Messina, dove ha donato la sua preziosa biblioteca personale.

La sua figura intellettuale si caratterizzava per un’autonomia di pensiero rara: pur interessato alle dinamiche ideologiche del suo tempo, Zveteremich ha mantenuto sempre un approccio critico e indipendente, rifiutando le semplificazioni e cercando una comprensione profonda e articolata dei fenomeni culturali e storici.

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Mario Mancini
Mario Mancini

Written by Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.

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