Il decostruttivismo fotografico di Joana Choumali

Il tessuto dell’immagine

Mario Mancini
8 min readJan 28, 2023

di Susanne John

Estratto dal libro Susanne John, Giovanna Sparapani, Messe a fuoco. Storie e battaglie di 40 donne fotografe, goWare, 2022 (tutti i formati)

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In alto da sinistra: tre tele dal progetto Ça va aller (Andrà tutto bene) di Joana Choumali, vincitore nel 2019 del Prix Pictet. In basso da sinistra: tre magnifici ritratti dalla serie “Resilientes” (2015).

Introduzione

Dall’Africa, come il sapiens

Siamo nel 2023 e non possiamo fare a meno di pensare al contemporaneo, al qui e adesso. E contemporaneo è il senso che sale alla coscienza guardando i lavori della fotografa ivoriana Joana Choumali che le due autrici del succitato libro ci hanno suggerito di inserire nella nostra serie a seguire le tre artiste italiane scomparse nel 2022, Letizia Battaglia, Chiara Samugheo e Letizia Carmi.

Con le italiane la Choumali ha in comune un approccio ai contenuti della propria arte che si potrebbe dire “glocale,” avvalendoci di una simbiosi e di un neologismo un po’ logori.

L’artista ivoriana muove dalle profonde radici del suo vissuto e della sua terra, che recano sempre una traccia nei suoi lavori, per impattare temi universali rilevantissimi. Si tratta di temi propri della condizione di qualsiasi essere vivente sul nostro pianeta come l’ambiente, le minoranze, la diversità, la violenza, le migrazioni e centinaia di altri. E spicca questo tuffo verso l’universale dall’immensa piattaforma dell’Africa.

Stravolgimenti fotografici

La tecnica e l’elaborazione fotografica della Choumali è “giovanissima” come la sua Africa. Al pari di tanta arte visuale di oggi, la fotografa insiste molto sui materiali che lei va a installare sull’impresso fotografico, alterandolo. Lo stesso scatto può essere, a sua volta, impresso su svariate materie (carta, tela, tessuto, pixel). Per questa ragione, a proposito dello stile della Choumali, si può parlare di decostruttivismo senza paura di incorrere nel biasimo di Derrida.

Un premiato progetto dell’artista ivoriana, dal titolo “Ça va aller!” (“Andrà tutto bene!”, ricorda qualcosa?), sviluppato a seguito dell’attacco terroristico del 2016 sulla spiaggia ivoriana di Gran-Bassam, è emblematico dello stile autografo e giovane della Choumali.

Indubbiamente questo stile rappresenta un allontanamento deciso dal “vecchio” approccio documentaristico e figurativo di molta fotografia anche contemporanea. Succede che l’istantanea va a formare un elaborato di arte visuale del quale è una componente senz’altro rinvenibile, ma non esclusiva. Anche Warhol partiva da una polaroid e la matrice fotografica era evidente a tal punto che l’autrice di uno scatto della Monroe ha portato in tribunale la fondazione Warhol per violazione del diritto d’autore.

Un mash-up per cogliere il vero

La Choumali ha realizzato il servizio su Gran-Bassam con il suo iPhone e quindi ha trasferito ciascuno dei 40 scatti su una tela (27×24 cm) dove ha punteggiato contorni e figure con ricami in filo di cotone, lurex e lana.

La fotografa ha detto di aver scelto di scattare con il suo iPhone per dare il senso della verità del momento, che la presenza di una vistosa macchina fotografica avrebbe teso ad alterare nei passanti. Ha poi ricamato le figure e parti della tela con ago e filo per trasmettere il significato di indugio alla meditazione che quel tragico evento le ispirava.

Adesso però vi lascio alla lettura del profilo umano e artistico di Joana Choumali preparato da Susanne John per il bel libro Messe a fuoco. Storie e battaglie di 40 donne fotografe. Susanne vi parlerà assai meglio di me della poetica di quest’artista originalissima.

Buona lettura!

Joana Choumali in due pose che la ritraggono solare e sorridente. Uno sguardo sul futuro dell’umanità

La mia arte è una testimonianza del mio tempo, di quello che mi circonda, della moltitudine di culture, subculture e altri fenomeni che osservo nel mio continente e altrove.
Mi piace evidenziare ciò che avvicina le persone e non quello che le divide.
Joana Choumali

Ricamare la vita per ricomporre la realtà

di Susanne John

Memoria e identità africane

Joana Choumali, che si definisce fotografa e artista visuale, è nata nel 1974 ad Abidjan, la capitale economica della Costa d’Avorio, dove ha frequentato una scuola internazionale e vive ancora oggi. Il suo lavoro si divide fra la fotografia diretta e l’uso personalissimo della tecnica dei mixed media.

Joana ha iniziato a fotografare nel 1999 mentre studiava graphic design a Casablanca, in Marocco, per lavorare, dopo gli studi, come direttore artistico per un’agenzia pubblicitaria, sapendo bene che sarebbe stato difficile per lei, in quanto donna, immaginarsi un futuro da fotografa professionista nel proprio paese, dove ancora oggi questo campo è dominio del mondo maschile.

La voglia di indagare le sue origini africane e le diverse realtà sociali della sua terra, nacque quando morì sua nonna, alla quale Joana era molto legata: la ragazza, abituata a vivere le emozioni e gli impulsi di una metropoli, era affascinata dal contrasto dalla realtà contadina e commerciante della piccola cittadina del sud-est del paese, in cui la nonna trascorse tutta la sua vita.

E fu proprio la mancata condivisione dei valori sociali e culturali che impedì spesso alle due donne una vera comunicazione e intesa. Dopo la sua scomparsa, Joana si rese conto che questa perdita aveva portato via con sé anche tanti ricordi: iniziò così a indagare e approfondire i temi dell’identità e della memoria, per lo più attraverso reportage fotografici creativi e una serie di ritratti, sorprendenti testimonianze senza tempo e piene di speranza.

Empatia africana

Tutti i suoi lavori concettuali la distinguono per una coraggiosa e vitale creatività dalle soluzioni visive brillanti che emanano una profonda empatia, grazie anche alla pratica artistica del ricamo percepito dall’artista come un atto di contemplazione che le permette di sommare le sue emozioni alle fotografie.

Esemplare, per la sua capacità di trovare soluzioni dal vibrante impatto emotivo, è la serie del suo progetto Translation, che racconta ciò che l’artista prova pensando a chi è costretto a emigrare per cercare una vita migliore.

L’idea stessa è semplice, eppure sorprendente e visivamente perfetta: Joana mette a confronto due immagini a colori, ognuna delle quali definisce un paesaggio culturale diverso dall’altro. Lo sguardo dell’osservatore viene attratto da una macchia bianca sull’immagine posta a sinistra, che si scopre essere una piccola sagoma che definisce una mancanza, mancanza di un essere umano che si ricompone come tale nell’immagine a destra dove riappare in un mondo a lui estraneo e spesso ostile, che lo costringono ad adattarsi ad ambienti culturali del mondo occidentale a lui sconosciuti.

Il senso dei ricami

Ma c’è di più: le fotografie sono ricamate con dei lunghi fili di colori accesi che escono dall’immagine per adagiarsi su uno sfondo bianco.

Spiega la stessa Choumali sul suo sito web:

Un giorno Joana decise di alzarsi prestissimo per fare una lunga passeggiata all’alba per scattare qualche fotografia: una passeggiata mattutina che si sarebbe trasformata in un’abitudine, per rivivere nel suo racconto onirico Alba’hian (alba), l’energia vitale della rinascita di ogni giorno. Le infinite sensazioni e pensieri della fotografa, si trasformarono in immagini che catturano un’esplosione di frammenti visivi di una realtà in movimento da cui traspaiono attesa, contemplazione e azione.

Tradizione e modernità

Nella sua serie fotografica Haabre, the last generation, racconta l’ultimo respiro della “scarificazione”, una tradizione ivoriana che vede incidere la pelle in superficie, pratica che per secoli fu un mezzo per esprimere identità e appartenenza e che oggi sta scomparendo rapidamente.

Attraverso questi testimoni di un’Africa d’altri tempi, che Joana riesce a incontrare ad Abidjan e a convincere a posare per lei, l’artista ci parla dell’importanza di testimoniare le tradizioni che la vita moderna sta cancellando e della difficoltà di costruire un’identità africana contemporanea autentica.

Il lavoro carismatico della Choumali cominciò a essere esposto e premiato: nel 2014 Haabre, the last generation ha ricevuto il Lens Culture Emerging Talents Award e il PoPCaP ’14 Prize Africa per essere poi raccolto in un libro nel 2016. Nel 2015 il suo progetto Résilientes — Sacro e profano è stato in mostra a Lucca durante il Photolux Festival.

I riconoscimenti internazionali

Nel 2016 Joana viene premiata con il Magnum Foundation Emergency Fund per la serie fotografica Sissi Barra che racconta la vita e il disumano lavoro di centinaia di donne e bambini nei campi di carbone di San Pedro, nel sud-ovest della Costa d’Avorio.

Un’altra serie parla della tragedia del 13 marzo 2016 avvenuta a Grand-Bassam, cittadina turistica del Paese, dove un commando di uomini armati di kalashnikov sbarcò sulla spiaggia e iniziò a sparare lasciando a terra diciannove vittime e decine di feriti.

L’artista rimase sconvolta, quelle spiagge appartenevano alla sua infanzia, a tante domeniche trascorse in famiglia. Al momento del tragico evento Joana si trovava ancora in Marocco dove stava per concludere un soggiorno di intenso lavoro artistico.

Appena rientrata dall’estero si recò sul posto per partecipare direttamente a questo dramma collettivo: scattando foto e parlando con gli abitanti per capire i loro traumi, rimase colpita dalla loro risposta più ricorrente: Ça va aller (andrà tutto bene). […]

Nel 2019, quale prima artista africana, ricevette per il suo progetto Ça va aller il prestigioso Prix Pictet.

Il ruolo della donna africana

Sempre nel 2016, Joana chiamò davanti al suo obiettivo giovani donne africane per indagare il tema dell’identità e tradizione sotto un altro aspetto. Identifica nella donna africana moderna una forza trainante per il suo continente, al quale, con vitalità e positività, riesce a garantire una continuità di memorie nel passaggio generazionale: così le invita tutte a essere fotografate, indossando con orgoglio e fierezza le vesti e gli ornamenti delle loro madri e nonne.

Joana parla dell’Africa, ma le sue indagini riguardano anche il mondo occidentale, che deve confrontarsi anch’esso con molte delle problematiche da lei evidenziate.

La serie fotografica Adorn, presentata nel 2017 nel padiglione della Costa d’Avorio durante la Biennale di Venezia, parla della nostra necessità di abbellirci per sentirci più belli. Emotions a nu regala degli splendidi ritratti femminili nudi senza volti, corpi che si trasformano in sculture che sembrano scolpite in legno di ebano.

Attività recenti

Nel 2018 la Choumali venne chiamata a far parte della giuria del World Press Photo Contest 2018, un’esperienza che non la soddisfece del tutto. Affermò infatti:

«mi sarebbe piaciuto vedere più lavori di giornaliste visuali del continente africano e più contributi di fotografe. Nel concorso precedente solo il 2% erano partecipanti africani. Inoltre, solo il 15% delle proposte era di fotografe».

Nel 2020 Joana fu nominata “Robert Gardner Fellow in Photography” dal Peabody Museum of Archaeology & Ethnology presso la Harvard University e ricevette una borsa di studio del valore di 50.000 dollari per la realizzazione di un progetto artistico del quale sarebbe stato pubblicato anche un libro.

Optò per un progetto fotografico e multimediale dal titolo Yougo-Yougo (“Abbigliamento di seconda mano”) allo scopo di «dimostrare che attraverso questo abbigliamento la nostra comunità ivoriana (più precisamente la gioventù dinamica) generalmente si appropria della cultura, incorporandolo nella loro autopresentazione, immaginazione e pratiche sociali».

Da artista contemporanea, Joana ama condividere i suoi lavori sul suo sito web e altri social media, permettendo così la visione virtuale del suo lavoro a un pubblico mondiale.

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Mario Mancini
Mario Mancini

Written by Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.

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