Guerra vera e drôle de guerre 1939-1940

di Emmanuel Hecht

Mario Mancini
8 min readJan 23, 2022

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Tra il settembre 1939 e il maggio 1940 nelle postazioni francesi, i soldati costruivano e coloravano modellini di aerei tra una sigaretta e l’altra. Era la drôle de guerre. Questa illustrazione è tratta dalla copertina del libro del recente volume “La drôle de guerre : Images de la France et des Français. Septembre 1939-mai 1940”, dello storico francese Patrick Baradeau. Un saggio che è anche un libro-reportage sulla vita comune dei parigini illustrata con molte foto d’epoca inedite.

Fermi tutti

Il 3 settembre, a Varsavia, migliaia di polacchi manifestano la loro gratitudine davanti alle ambasciate britannica e francese. I loro alleati avevano dichiarato guerra all’invasore, il Terzo Reich. Ma gli anglo-francesi non si sarebbero mossi di un metro. I polacchi, ovviamente, lo ignorano.

Le truppe francesi si accontentano di penetrare nel regione del Saar effettuando “ricognizioni e combattimenti corpo a corpo”. Ma con cautela. Il terreno è minato e i reggimenti non hanno attrezzature di rilevamento.

La quarta armata francese avanza di 8 chilometri in territorio nemico. Diciotto giorni dopo, di fronte all’evidenza della sconfitta della Polonia, il generale Gamelin, comandante in capo delle forze francesi, ferma “tutte le azioni offensive”.

Cronologia dell’anno 1939

1 settembre: la Wehrmacht invade la Polonia.
3 settembre: Gran Bretagna e Francia dichiarano guerra al Terzo Reich.
6 settembre: le truppe francesi entrano nella Saar.
17 settembre: l’Armata Rossa invade la Polonia.
26 settembre: il Partito comunista francese viene sciolto.
29 settembre: resa di Varsavia.
30 settembre: le divisioni francesi si ritirano.
6–12 ottobre: fallimento di una “pace bianca” proposta da Hitler.
3 novembre: il Congresso degli Stati Uniti approva una nuova legge sulla neutralità.
30 novembre: l’URSS attacca la Finlandia.

La spartizione della Polonia

Nel frattempo, la cavalleria polacca si infrange contro le corazze dei Panzer, mentre gli Stukas mitragliano dall’aria tutto ciò che si muove sulla terra e bombardano le città.

Il 17 settembre l’Armata Rossa attacca a sorpresa sul fronte orientale: sta attuando una delle clausole segrete del patto tedesco-sovietico stretto il mese prima. I polacchi sono ulteriormente travolti. Il paese viene stretto in una morsa con un movimento a tenaglia. Per la Polonia è finita.

Varsavia cade il 29 settembre. Due settimane dopo, i vincitori sovietici e tedeschi consumano la quarta divisione della Polonia. La parte orientale, popolata da 5 milioni di polacchi, 4 milioni di ucraini e 1.200.000 bielorussi, passa a Mosca. I sovietici fanno prigionieri 230.000 ufficiali e soldati polacchi. Più di 130.000 di loro moriranno di fame e sfinimento nei campi sovietici di Kozieslsk, Starobielsk e Ostachkow.

Un anno dopo 75.000 ufficiali, liberati dai campi, si uniscono all’esercito polacco del generale Anders, formato in URSS dopo l’attacco tedesco del giugno 1941. Gli altri, più di 15.000, scompaiono, probabilmente giustiziati, come a Katyn, come ricostruito nel film del regista polacco Andrzej Wajda. In totale, un milione di persone, di tutte le classi sociali, dall’operaio al proprietario terriero, dal contadino all’ufficiale, sono deportate nei Gulag.

Un ufficiale polacco nel Gulag
Joseph Czapski, pittore, scrittore e ufficiale dell’esercito polacco, ha dato un resoconto del suo internamento in un campo sovietico nell’ottobre 1939.
“Migliaia di uomini coperti di stracci e mangiati dai pidocchi sono stati rinchiusi nel campo di Starobelsk durante l’inverno nevoso e gelido de 1939. Era impossibile ospitare tutte quelle persone negli edifici del campo. All’inizio, furono montate delle tende, ma in modo molto improvvisato. Non c’erano bagni, non c’era un dispensario, non c’era una camera di disinfestazione e il cibo era insufficiente. C’erano ovunque altoparlanti, che, come in tutti gli altri luoghi della Russia, riversavano senza sosta, con voce rauca, slogan di propaganda, storie anti-polacche, intrecciate con… Chopin. Anche con questo orrendo insieme di cose, questi brandelli di ètudes, notturni, sonate, ci hanno dato un po’ di luce e commosso profondamente”.

L’arianizzazione della Polonia

Il Reich non tratta meglio i polacchi. Ha ricevuto poco meno della metà del territorio della Polonia, dove vivevano i due terzi della popolazione. L’Ovest e il Nord-Ovest (Wartheland) sono annessi al Reich; il Centro e il Sud, con Varsavia e Cracovia, sono posti sotto un governo generale guidato dal Gauleiter Hans Frank.

La Germania è di nuovo integra fino alla Prussia orientale come le era prima del 1919. I territori “slavi” annessi sono destinati all’immediata “arianizzazione”. Le élite polacche sono liquidate dalle forze speciali della polizia tedesca, le Einsatzgruppen, oppure deportate nel territorio del governo generale e nei campi di concentramento.

Il resto della popolazione è usato come manodopera in condizioni di schiavismo. Inizia la persecuzione degli ebrei. Prima del lancio della politica sistematica di sterminio nel 1942, sono uccisi 100.000 ebrei.

In Occidente

In Occidente, l’attesa diventa la nuova regola di vita. La Francia sta vivendo una non-guerra, una falsa guerra (la drôle de guerre/phony war), un interludio di otto mesi, interrotto bruscamente dall’offensiva tedesca contro Olanda, Belgio e Francia del 10 maggio 1941.

Nell’ottobre 1939 Daladier e Chamberlain continuano a riaffermare i loro impegni: la pace non sarà fatta sulla pelle della Polonia. Ma non c’è più la Polonia. Stranamente, i francesi mantengono il loro spirito non arrendevole e hanno persino rialzato la testa. I pacifisti nel 1938, appena un anno dopo, sono pronti a combattere.

Ma l’umore generale è nero.

André Gide scrive:
“Sì, tutto questo potrebbe scomparire, anche questo sforzo di cultura che ci sembrava ammirevole (e non parlo solo dei francesi). Di questo passo, presto non ci saranno più molte persone a sentirne il bisogno, a capirlo; non molte a rendersi conto che non lo capiamo più. Si stanno facendo sforzi per proteggere queste reliquie dalla distruzione; nessun rifugio è sicuro. Una bomba può distruggere un museo. Non c’è acropoli che il diluvio della barbarie non possa raggiungere, non c’è arco che non possa inghiottire. Ci aggrappiamo ai relitti”.

Farla finita con i crucchi

Contrariamente alla credenza comune, sottolinea lo storico François Bédarida, “ciò che prevale tra i francesi è la volontà di farla finita con i tedeschi”. Il “boche (crucco)” ha superato il limite, bisogna dargli una lezione. Il “boche”, non il nazista.

La dimensione ideologica è assente, il Terzo Reich è solo un nuovo avatar dell’espansionismo germanico. Il radicale Edouard Herriot riassume lo stato d’animo del momento: “La Francia si avvicina al pericolo a testa alta e con la coscienza pura.”

Nel 1914, i piou pious (giovani fanti) partono a testa alta. Niente del genere avviene nel 1939. L’entusiasmo di ieri è stato sostituito da un misto di risoluzione e rassegnazione. Non c’è alcun entusiasmo.

Alla vigilia della prima guerra mondiale, la gente non ha idea dell’orrore della guerra moderna. I coscritti del 1939 hanno in mente solo una cosa, 14–18, il “der des ders (la guerra che doveva porre fine a tutte le guerre)”.

La mobilitazione, però, si svolge senza incidenti. I 4milioni e mezzo di coscritti francesi sono divisi in 29 gruppi di età, dal 1909 al 1938. Nove sono composti da veterani. Gli ufficiali e i sottufficiali hanno quasi tutti combattuto nella Grande guerra. Oggi comandano i figli del poilus (i fanti francesi della Prima guerra mondiale).

La calma dell’attesa

Con il passare dei mesi, queste decine di migliaia di soldati divengono inattivi. Scacciano la noia partecipando ai lavori agricoli; aiutano nel raccolto e spingono l’aratro. Daladier (il presidente del consiglio) fa distribuire 10.000 palloni da calcio. Durante l’inverno del 1939-1940, uno dei più duri di quegli anni, non accadde nulla. Almeno in Francia. Ma “la calma non è sempre drôle”, scrive Paul Nizan.

Il soldato dallo spirito semplice pensa: sono stato mobilitato per la guerra. La guerra è battaglia. Ma io non combatto […]. Che sta succedendo?

Jean-Paul Sartre, anche lui mobilitato, racconta le sue esercitazioni da soldato a Castoro, Simone de Beauvoir.

“Questa mattina, una cerimonia gioiosa: la camera a gas. Ci siamo messi le maschere e siamo scesi a gruppi di cinquanta in una cantina. Immaginate la penombra e cinquanta ragazzi in cerchio con il grugno”.

Sul fronte occidentale

Dopo che la sua offerta di una pace fasulla — la “pace bianca” — è rifiutata, Hitler dà l’ordine al suo staff di elaborare un’offensiva a ovest, contro il Belgio, i Paesi Bassi e la Francia. È piano Manstein, dal nome del generale tedesco che la concepisce.

Il piano prevede uno sfondamento attraverso la foresta delle Ardenne, al limite occidentale della linea Maginot, poi un aggiramento — un colpo di falce — verso la Somme. Hitler programma l’inizio delle operazioni per il 12 novembre. Il tempo però non è favorevole. L’invasione è rimandata alla primavera.

Lo stato maggiore francese si prepara per una battaglia nelle pianure belghe. Si aggrappa alla “strategia difensiva” incardinata sulla linea Maginot. Lo spargimento di sangue della pPrima guerra mondiale giustifica questa opzione difensiva. Non attaccare significa risparmiare le vite di soldati.

Tanto più che si è convinti, a torto, che la potenza di fuoco dei tedeschi sia superiore. La vera debolezza della Francia è quella di trascurare il ruolo delle forze corazzate. “Temo che la lezione della Polonia, anche se così chiara, sia stata respinta a priori. Non crediamo che ciò che ha avuto successo lì possa NON averlo qui”, si rammarica il colonnello de Gaulle.

L’esempio della resistenza della Finlandia

Il grande evento della drôle de guerre sono i combattimenti in Finlandia. Il 30 novembre, Stalin attacca il vicino dopo due mesi di pseudo-negoziati sulla revisione della linea di confine.

Il mondo si aspetta un successo paragonabile a quello dei tedeschi in Polonia. Invece l’Armata Rossa, sconfitta a nord, impiega mesi per sfondare l’istmo di Carelia. Alla fine del 1939, la debolezza militare dell’URSS non è più un segreto per nessuno.

In Occidente, l’opinione pubblica si infiamma per il piccolo eroico paese, per le sue truppe sugli sci che scortano processioni di prigionieri russi. Il Valse triste, del compositore finlandese Sibelius, commuove fino alle lacrime i francesi.

La classe politica comincia a sperare di nuovo. “Forse è arrivato il momento di tagliare fuori la Germania dai rifornimenti dei ferro della Svezia e attaccare la cittadella del comunismo?”, si chiedono i francesi.

Ha scritto lo storico François Bédarida “Dalla guerra contro la Germania si passa alla guerra contro l’URSS”. Non meno sorprendentemente sono proprio i sostenitori della politica dell’attesa a diventare da un giorno all’altro i più risoluti sostenitori di una azione offensiva contro il paese dei soviet.

Si elaborano i piani militari più “assurdi”. Fino al 10 maggio 1940, la Francia ha occhi solo per il nord. Il percorso delle Ardenne è libero.

Lo stupore di Ernst Jünger
Lo scrittore tedesco Ernst Jünger viene mobilitato a settembre 1939. Comanda una compagnia della Linea Sigfrido con il grado di capitano. Si trova vicino a Greffern, (sul Reno a 30 km da Strasburgo) e il 15 novembre 1939 annota:
“I francesi ci fronteggiano senza che parta un colpo da nessuna delle parti. Tra i lavori e le trincee, i contadini arano e raccolgono le barbabietole. Sulla strada per Rastatt, che passa vicino alla mia postazione, le macchine passano, forse trasportano dei commessi viaggiatori o delle coppie di giovani amanti.
Questa giustapposizione e questo intreccio di sfere diverse ricorda lo stato del sogno che adesso è quello della nostra condizione, della quale rafforza i tratti inquietanti. I luoghi e la loro atmosfera si mescolano come al cinema. Ieri sera sono stato ospite alla villa del Faisan doré dove Spinelli alloggia con il suo gruppo. Abbiamo mangiato zuppa, carne arrosto, verdure e anche un budino, con birra e vino”.

Da “L’Express”, 19 agosto 2009

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Mario Mancini
Mario Mancini

Written by Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.

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