Giuseppe Arcimboldi: un surrealista «avant la lettre»?

di Rudolf e Margot Wittkover

Mario Mancini
5 min readOct 10, 2020

Vai all’indice le libro mosaico “Nati sotto Saturno” di Rudolf e Margot Wittkower

Giuseppe Arcimboldi, Immagine multipla: volto composto di animali, Graz, Landemuseum Ioanneum.

Nato a Firenze nel 1527, figlio d’un pittore, l’Arcimboldi si stabilì nel 1562 a Praga, dove rimase fino al 1587 in qualità di artista di corte presso tre successivi imperatori germanici. Morì a Firenze nel 1593, tuttora al servizio della corte imperiale.

Fra i suoi doveri c’era l’acquisto di antichità, objets d’art e curiosità varie, oltre che di animali e di uccelli esotici per le collezioni sovrane.

Doveva essere anche un po’ inventore: un suo «gravicembalo a colori» fu suonato dai musici di corte. Il suo versatile talento ebbe laute ricompense, ed egli godette fama internazionale.

Quasi dimenticato per secoli, lo si è riscoperto adesso grazie soprattutto alle sue singolari «immagini multiple», paesaggi che sono al tempo stesso volti o figure, ritratti composti di frutti e di animali: fantasie d’aspetto misterioso, che a giudizio d’uno storico costituiscono «un trionfo dell’arte astratta nel sedicesimo secolo, un vero modello d’arte surrealista».

Un’interpretazione simile evoca un mondo di oscure emozioni, una personalità modellata dall’esperienza di traumi freudiani. Consentono i quadri dell’Arcimboldi la ricostruzione di una complessa psicologia moderna?

Neppure una parola scritta dal pittore è venuta in luce finora. Oltre i puri dati biografici, dell’uomo non sappiamo nulla: nulla circa «il suo aspetto fisico, le sue passioni, le sue virtù o i suoi vizi».

Abbiamo però un vivace resoconto dell’effetto che i suoi dipinti fecero ai contemporanei. Due anni prima della sua morte apparve a Mantova un trattato in cui si parla ampiamente delle opere di lui; e anche se l’autore, il dotto Gregorio Comanini, si propone soprattutto di esporre i meriti rispettivi di pittura e poesia, e di rivendicare contro il mero diletto la missione morale dell’arte, egli trova modo di esaltare l’«ingegnosissimo» Arcimboldi. Dal Comanini apprendiamo cosa la gente vedesse e cosa le piacesse nell’opera del pittore. Descrivendo un suo ritratto il commentatore spiega:

Fu ridicolissimo quel ritratto, che per comandamento dell’imperadore Massimigliano egli fece d’un certo Dottore, a cui tutto il volto era guasto dal mal francese e pochi peluzzi erano al mento rimasti. D’animali e di vari pesci arrostiti lo finse tutto, e in guisa gli riuscì, che chiunque lo rimirava, subitamente accorgeasi quella essere la vera effigie del buon legista. Del piacere che quella Maestà se ne prese e delle risa che se ne fecero per l’Imperial Corte non occorre che io il vi dica. Potete immaginarlovi da voi stessi.

In un’altra occasione il Comanini spiega il significato delle varie parti componenti d’una testa interamente costituita di animali, per il cui studio l’imperatore aveva concesso all’Arcimboldi speciali agevolazioni. Per la fronte, ad esempio, fu scelta una volpe, perché essendo la volpe il più astuto degli animali ben s’adatta a formare una fronte umana, che è sede della scaltrezza: qui infatti l’uomo «essendo allegro, finge talvolta dolore, et odiando mostra sovente d’amare».

La guancia, «dove è la sedia della vergogna», è foggiata dalla testa di un elefante, «di cui scrive Plinio, nell’ottavo libro della Naturale Istoria, la vergogna essere maravigliosa, poiché, vinto, fugge la voce del vincitore, né mai si congiunge in publico con la femina, ma solo in luoghi dove non sia dagli altri veduto».

Questa straordinaria fisiognomica zoologica era assai in voga a quel tempo. Le sue origini risalivano direttamente ad Aristotele, e a rinverdirla e a metterla di moda aveva provveduto nel 1586 Giambattista Della Porta, con il De humana physiognomia. Il significato allegorico della pittura arcimboldesca è naturalmente affatto impenetrabile a chi non abbia familiarità con questa tradizione, e con la mania contemporanea per simili magiche analogie.

L’arguzia stimolante delle opere dell’Arcimboldi ne costituiva la maggiore attrattiva. Il Comanini s’estasiava talmente per le astruse figurazioni del pittore, che cercò addirittura di tradurre in parole uno dei suoi dipinti, la Flora, ora perduto.

Il suo madrigale, tipico del manierismo letterario come la rappresentazione della dea della Primavera era tipica del manierismo pittorico, esprime non solo l’ammirazione dell’autore per il pittore, ma implicitamente anche la sua fede nell’unità di pittura e poesia:

Son io Flora, o pur fiori?
Se fior, come di Flora
Ho col sembiante il riso? E s’io son Flora,
Come Flora è sol fiori?
Ah non fiori son io, non io son Flora.
Anzi son Flora e fiori.
Fior mille, una sol Flora,
Però che i fior son Flora, e Flora i fiori.
Sai come? I fiori in Flora
Cangiò saggio pittore, e Flora in fiori.

Le pitture dell’Arcimboldi erano considerate come immaginose metamorfosi della natura, imitazioni di «cosa formata dalla natura, come sarebbe uomo, fiera, monte, mare, piano et altre simili».

Il loro simbolismo non scaturisce da immagini oniriche affioranti dal subconscio, ma è un simbolismo scientifico, della scienza astrusa dei tempi dell’autore, intellegibile a chiunque ne condividesse le nozioni.

Queste oggi ci sono estranee, ma quando abbiamo imparato a decifrare gli indovinelli arcimboldeschi, e si è esaurita la prima sorpresa per quelle insolite composizioni, esse si rivelano per ciò che sono: illustrazioni a volte pedantesche o didascaliche, a volte scherzose e satiriche di intricati concetti parascientifici cinquecenteschi.

Tali artifici trovarono la loro collocazione più adatta nei gabinetti delle corti europee, in mezzo alle curiosità e alle stranezze di vario genere.

È evidente che le pitture dell’Arcimboldi ci dicono poco sulla persona dell’artista; ma questo asserto ha bisogno di una precisazione.

Supponiamo di scambiare un Arcimboldi per un’opera del Novecento. In tal caso lo guarderemmo come si guarda una «pittura paranoica» surrealista, intravvedendovi una complessa personalità moderna, quella di un artista cosciente, per intuito o per riflessione, della propria struttura psicologica tipicamente postfreudiana.

Non appena ci rendiamo conto del nostro errore cronologico, tali suggestioni svaniscono: scoprendo che il quadro è stato dipinto da un uomo «prepsicologico», rivediamo automaticamente il nostro giudizio.

La mutata prospettiva dipende dal fatto che la conoscenza delle situazioni storiche ci consente di catalogare genericamente un certo tipo di personalità.

Ad onta di tutte le individuali differenze di carattere e di condotta, i pittori di quadri surrealisti hanno in comune determinate idee, convinzioni e tradizioni, un certo genere di sensibilità e di connotati specifici, che concorrono a formare un tipo di personalità riconoscibile.

E lo stesso vale per i pittori di corte del Cinquecento, per i grandi maestri del Barocco, o per i pittori accademici ottocenteschi. Bisogna però star bene attenti a non prendere questa «personalità generica» come uno schema fisso, fuori del tempo, della personalità dell’artista, e a non confonderla con i caratteri individuali.

Fonte: Rudolf e Margot Wittkover, Nati sotto Saturno. La figura dell’artista dall’antichità alla Rivoluzione francese, Einaudi, 1963

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Mario Mancini
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Written by Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.

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