Europa 1937. Introduzione
di Karl Polany
Si può scommettere che un cittadino inglese, che abbia studiato la storia e la geografia appena vent’anni fa, provi, di fronte agli avvenimenti riferiti dalla stampa quotidiana, un senso di disorientamento. Comprendere quanto va accadendo nel continente europeo gli riesce difficile. Egli non trova più sulla carta geografica alcuni importanti Stati e deve darsi ragione dell’esistenza dei nuovi; nella maggior parte delle vecchie nazioni, inoltre, il sistema sociale, politico ed economico è cambiato tanto da essere irriconoscibile. E infine: dovrebbe rendersi conto di vivere in un mondo che sta rischiando di autodistruggersi a causa dello scontro ideologico e di problemi tanto irrisolti quanto inauditi.
Eppure questo continente nuovo e in rapido cambiamento è vicino in modo inquietante alle coste inglesi; a meno di essere fermati dalla difesa contraerea, bombardieri nemici impiegherebbero a raggiungerle tanti minuti, all’incirca, quante ore ci sarebbero volute a chi avesse tentato l’invasione vent’anni fa. Il danno arrecato dall’attacco nemico sarebbe forse cento, forse mille volte maggiore. Anche a prescindere dal pericolo di disastrosi attacchi, tuttavia, gli interessi dell’inglese medio possono sempre essere toccati dagli avvenimenti esteri. Fatti che egli avverte come fulmini a ciel sereno possono compromettere i suoi guadagni e i suoi redditi, le condizioni di lavoro, e perfino i diritti civili e le libertà di cui egli gode. Non c’è da stupirsi che la vita politica e industriale in Gran Bretagna sia altamente reattiva ad ogni cambiamento rilevante nell’atmosfera tesa del Continente.
Questo libretto intende essere una guida alla nuova Europa. Quali sono i problemi vivi sui quali gli Europei sono divisi tanto profondamente, che a volte una conflagrazione generale sembra quasi inevitabile? E quali sono i fatti principali da tener presenti al fine di comprendere meglio tali problemi? Tenteremo di rispondere, il più adeguatamente possibile dato lo spazio limitato a disposizione.
Un cenno introduttivo sulle cause nazionali, religiose e sociali della guerra dovrebbe consentire di districare più facilmente i fili della politica postbellica.
In nessun altro aspetto l’Europa odierna differisce da quella dei nostri nonni più che nei conflitti che potrebbero condurre alla guerra. Nei secoli più vicini a noi i conflitti nazionali hanno dominato la scena mondiale. In uno stadio precedente i dissensi religiosi erano comunemente causa di lotte armate. Le Crociate, ad esempio, durarono alcuni secoli e le guerre islamiche continuarono a turbare la pace dell’Europa medioevale per circa otto o novecento anni. In epoca moderna, la guerra dei Trent’anni (1618–1648), che ridusse a un deserto la Germania prima tanto prospera, fu principalmente una lotta tra protestanti e cattolici; mentre gli ardori puritani e papisti alimentarono, nello stesso secolo, la guerra civile inglese.
In tempi di scontri religiosi è abbastanza facile che, quando il conflitto coinvolge diversi stati, parte dei cittadini di un paese prenda parte alle guerre civili di un altro paese a fianco dei propri correligionari. Se ne ebbe un esempio impressionante nella guerra dei Trent’anni. Nel corso della guerra civile che infuriava tra la Germania cattolica e la Germania protestante, la Svezia protestante e l’Austria cattolica intervennero a favore dei propri rispettivi correligionari tedeschi. Altri stati cercarono di trarre vantaggio dalle lotte di religione in Germania a prescindere dalla loro scelta religiosa. E il caso della Francia cattolica, che offrì aiuto ai principi protestanti tedeschi per favorire i propri interessi nazionali.
In Spagna, oggi, sta evidentemente accadendo qualcosa di simile ma la differenza è che nel nostro tempo le guerre civili tendono ad avere un carattere non tanto religioso quanto sociale. La somiglianza tra conflitti religiosi e conflitti sociali è comunque maggiore di quanto sembri a prima vista.
La Guerra civile inglese, ad esempio, non era solo religiosa, ma anche sociale, poiché contrapponeva l’aristocrazia feudale e la nascente classe media.
E la guerra civile americana fu una guerra sociale con una particolare tensione religiosa dovuta al puritanesimo del Nord. Similmente, l’emergere nel nostro tempo di conflitti sociali accanto a quelli nazionali ha una grande rilevanza per la spiegazione di quella che sembra essere la caratteristica più sensazionale della storia contemporanea: la frequenza con la quale, nel quadro degli, eventi internazionali, si intrecciano guerre esterne e guerre civili.
Anche da un altro punto di vista la distinzione tra cause nazionali e sociali di conflitto è della massima utilità per comprendere l’Europa dalla guerra in poi. Possiamo distinguere il primo periodo della storia del dopoguerra, dal 1919 al 1933, in cui il conflitto tra nazioni occupa la scena, e il secondo periodo, dal 1933 in poi, in cui si aggiunge il conflitto sociale. Il tempo degli schieramenti nazionali può esser fatto risalire alla Grande guerra e ai trattati di pace; in esso quasi sempre le questioni cardine sono la revisione dei trattati e la sicurezza collettiva.
Gli schieramenti sociali sono balzati in primo piano a livello internazionale da quando il nazismo ha preso il potere in Germania; essi si fondano, essenzialmente, sul conflitto tra fascismo e democrazia. Il fattore nazionale e quello sociale danno ragione, separatamente o congiuntamente, di quasi tutti gli sviluppi politici recenti in Europa.
Da: Karl Polany, Europa 1937. Guerre esterne e guerre civili, a cura di Michele Cangiani, Donzelli Roma, pp. 3–5