Encyclopédie: il Prospectus di Denis Diderot

Omaggio ai 20 anni di Wikipedia

Mario Mancini
26 min readFeb 6, 2021

✎ Think|Tank. Il saggio del mese [febbraio 2021]

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Ringrazio gli autori estranei ad ogni cabala e intrigo, i quali non attendono altra ricompensa alle loro cure e ai loro sforzi, oltre la soddisfazione di avere ben meritato della patria.

D’Alembert

I diciassette grandi volumi in-folio dell’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert contengono — secondo la valutazione di uno studioso — oltre sessantamila articoli, riguardanti tutti gli aspetti dell’attività umana: «scienze, arti e mestieri». Ogni selezione del grande repertorio non può dunque non risultare inadeguata e frammentaria. Ma poiché l’Encyclopédie fu anzitutto una grande «macchina bellica», il veicolo del l’illuminismo scientista, laico e borghese, i testi programmatici che espongono tale ideologia sono i più atti a fornire una prospettiva sintetica di tutta l’opera, i più indispensabili al lettore moderno che ne voglia cogliere lo spirito ed il significato storico. Presentiamo di seguito il testo integrale, in traduzione italiana, del Prospectus di Denis Diderot. Il testo è tratto dal volume La Filosofia dell’Enciclopédie di D’Alembert-Diderot, cura di Paolo Casini, Laterza, 1966, pp. 136–160.

Un omaggio ai 20 anni di Wikipedia che ha portato a compimento il sogno illuministico di produrre in un unicum tutte le conoscenze umane.

Il Prospectus, era stato pubblicato a parte, in otto grandi fogli, come programma dell’opera, nel novembre 1750. Fu rifuso l’anno successivo nel primo volume dell’Enciclopedia, con correzioni e aggiunte: si presenta qui la traduzione di questa seconda redazione, che figura di seguito al Discorso preliminare nel primo volume dell’Enciclopedia.

Non si può disconoscere che si debbono in parte ai dizionari i lumi che si sono diffusi nella società dall’età del rinnovamento delle lettere, e quel germe di scienza che predispone insensibilmente gli animi a conoscenze più profonde. Per la loro evidente utilità, queste opere si sono talmente moltiplicate che ci troviamo oggi a doverle giustificare, piuttosto che tesserne l’elogio. Si afferma che, moltiplicando i sussidi e le possibilità d’istruirsi, esse contribuiranno a spegnere il gusto del lavoro e dello studio. Quanto a noi, riteniamo di poter sostenere con fondatezza che la nostra pigrizia e la decadenza del buon gusto vanno attribuite alla mania del bello spirito e all’abuso della filosofia piuttosto che al gran numero di dizionari. Queste raccolte possono tutt’al più giovare a dar qualche lume a coloro i quali, senza tale strumento, non avrebbero avuto il coraggio di procurarselo: ma non potranno mai sostituire i libri per coloro che vorranno istruirsi; per la loro stessa forma, i dizionari sono adatti soltanto ad esser consultati, e si sottraggono ad ogni lettura continuata.

Quando ci si dirà che un uomo di lettere, desiderando studiare a fondo la storia, ha scelto a questo scopo il dizionario di Moréri, riconosceremo la validità del rimprovero che ci vien mosso. Potremmo forse attribuire con più fondamento il preteso abuso che si lamenta alla moltiplicazione dei metodi, degli elementi, dei compendi, delle biblioteche, se non fossimo ben persuasi che non si fa mai abbastanza per rendere accessibili gli strumenti della cultura. Si potrebbero compendiare ancor più tali strumenti, condensando in pochi volumi tutto ciò che gli uomini hanno scoperto fino ad oggi nelle scienze e nelle arti. Un tale progetto, nel quale si dovrebbero includere anche i fatti storici realmente utili, non sarebbe forse ineseguibile; dobbiamo almeno augurarci che lo si tenti, e oggi ci limitiamo ad abbozzarlo; esso infatti ci libererebbe finalmente da tanti libri, i cui autori non hanno fatto che copiarsi gli uni con gli altri. Contro la satira dei dizionari, deve rassicurarci la considerazione che lo stesso rimprovero potrebbe esser mosso, per ragioni altrettanto precarie, ai giornalisti più stimabili. Non attendono essi forse ad esporre in breve i lumi che il nostro secolo aggiunge a quelli dei secoli precedenti; ad insegnare a fare a meno degli originali, e quindi a strappar quelle spine che i nostri avversari vorrebbero conservare? Quante letture inutili potrebbero evitarci dei buoni estratti!

Abbiamo dunque ritenuto necessario un dizionario da consultare su tutti gli aspetti delle arti e delle scienze, che servisse sia a guidare coloro i quali si sentiranno tanto coraggiosi da lavorare all’istruzione altrui, sia ad illuminare quanti attendono ad istruire soltanto se stessi.

Nessuno finora aveva concepito un’opera tanto grandiosa, o almeno nessuno l’aveva realizzata. Leibniz, fra tutti i dotti il più capace di valutarne le difficoltà, si augurava che si potessero superare. Esistevano tuttavia delle enciclopedie, né Leibniz l’ignorava quando ne chiedeva una.

Tali opere apparvero per la maggior parte prima dello scorso secolo, e non furono del tutto disprezzate. Si giudicò che se esse non dimostravano molta genialità, erano almeno frutto di oneste fatiche e cognizioni. Ma che cosa valgono per noi tali enciclopedie? Quali progressi non hanno fatto in seguito le scienze e le arti? Quante verità, scoperte oggi, allora non si sospettavano neanche? La vera filosofia era in culla; la geometria dell’infinito non esisteva ancora; la fisica sperimentale esordiva appena; non c’era dialettica; le leggi della sana critica erano totalmente ignote. Gli autori celebri in ogni campo, di cui s’è parlato in questo Discorso, e i loro illustri discepoli non erano nati o non avevano ancora scritto. Lo spirito di ricerca e di emulazione non animava i dotti; un altro spirito, meno fecondo forse ma più raro, quello di rigore e di metodo, non aveva informato le varie parti della letteratura; e le accademie, che hanno fatto tanto progredire le scienze e le arti con i loro lavori, non erano ancora istituite.

Se le scoperte dei grandi uomini e delle società dotte or ora rammentate offrirono in seguito vigorosi sussidi alla composizione di un dizionario enciclopedico, bisogna riconoscere anche che l’incremento prodigioso delle discipline rese molto più difficile, sotto un altro punto di vista, tale opera. Ma non tocca a noi giudicare se i successori dei primi enciclopedisti siano stati arditi o presuntuosi; e lasceremmo goder loro tutta la loro fama, senza escludere Ephraim Chambers, il più noto di essi, se non avessimo motivi particolari per valutare i suoi meriti.

L’enciclopedia di Chambers, della quale sono state pubblicate a Londra varie edizioni in breve tempo; quest’enciclopedia, recentemente tradotta in italiano, e che a nostro avviso merita gli onori che le vengono tributati in Inghilterra e all’estero, non si sarebbe forse mai fatta se, prima ch’essa apparisse in inglese, non fossero già esistite nella nostra lingua opere dalle quali Chambers ha attinto oltre misura e senza discernimento la maggior parte delle cose che ha messo nel suo dizionario. Che cosa avrebbero dunque pensato i nostri francesi di una traduzione pura e semplice? Essa avrebbe suscitato l’indignazione dei dotti e le proteste del pubblico, al quale, sotto un titolo fastoso e nuovo, si sarebbero presentate ricchezze che già da tempo possedeva.

Non ricusiamo a quest’autore il riconoscimento dovutogli. Egli ha ben compreso i vantaggi dell’ordine enciclopedico, ossia della concatenazione mediante la quale è possibile discendere dai primi princìpi d’una scienza o di un’arte fino alle sue conseguenze più remote; da queste risalire ai primi princìpi; passare impercettibilmente dall’una scienza o arte all’altra, e — se è permesso dir così — fare il giro del mondo let- terario senza smarrirsi. Siamo d’accordo con lui che il piano e il progetto generale del suo dizionario sono eccellenti; e che se la stesura fosse stata condotta ad un certo grado di perfezione, egli avrebbe contribuito da solo al progresso della vera scienza più che la me-tà dei libri noti. Ma nonostante tutto ciò che dobbiamo a quest’autore, ed il considerevole aiuto che abbiamo tratto dal suo lavoro, non abbiamo potuto fare a meno di constatare che restavano molte cose da aggiungervi. In effetti, è mai concepibile che tutto ciò che riguarda le scienze e le arti possa esser contenuto in due volumi in-folio? La sola nomenclatura di una così vasta materia, se fosse completa, fornirebbe un volume. Quante omissioni, quanti articoli incompleti vi saranno dunque nell’opera sua?

Non si tratta di congetture. L’intera traduzione di Chambers ci è passata sotto gli occhi: abbiamo trovato un’enorme quantità di lacune nelle scienze; nelle arti liberali, una parola dove ci volevano intere pagine; tutto era da rifare nelle arti meccaniche. Chambers ha letto libri, ma non ha visto mai artigiani; e tuttavia molte cose si possono imparare soltanto negli opifici. D’altra parte le omissioni acquistano qui ben altro carattere che in qualsiasi altra opera. L’omissione di un articolo rende semplicemente imperfetto un dizionario comune, ma in un’enciclopedia infrange la connessione interna dell’opera, nuoce alla forma e al contenuto; c’è voluta tutta l’arte di Ephraim Chambers per occultare questo difetto.

Ma senza soffermarci più oltre sull’enciclopedia inglese, dichiariamo che l’opera di Chambers non è affatto l’unica base sopra la quale abbiamo costruito la nostra fabbrica; che abbiamo rifatto un gran numero di articoli; che quasi nessuno degli altri è stato usato senza addizioni, correzioni o tagli, e che Chambers è semplicemente uno degli autori che abbiamo tenuto particolarmente presenti. Gli elogi che furono largiti sei anni fa al semplice progetto della traduzione dell’enciclopedia inglese sarebbero stati per noi un motivo sufficiente di ricorrere ad essa, per quel tanto almeno che l’opera nostra non ne avesse a soffrire.

La parte matematica ci è parsa la più degna d’es- ser conservata: ma dai considerevoli mutamenti che vi sono stati apportati si potrà comprendere come questa parte e le altre avessero bisogno d’una precisa revisione.

Il primo punto sul quale ci siamo discostati dall’autore inglese è l’albero genealogico ch’egli ha tracciato delle scienze e delle arti, e che noi abbiamo ritenuto opportuno sostituire con un altro. Questa parte del nostro lavoro è stata sufficientemente illustrata qui sopra. Essa presenta ai nostri lettori il canovaccio d’un’opera che può realizzarsi soltanto in parecchi volumi in-folio, e che dovrà contenere un giorno tutte le conoscenze umane.

Dinanzi ad una così vasta materia non v’è chi non faccia con noi la riflessione che segue. L’esperienza quotidiana c’insegna anche troppo bene quanto sia difficile ad un autore trattare con profondità la scienza o l’arte alla quale si è espressamente dedicato per tutta la vita. Quale uomo può esser dunque tanto ardito o tanto limitato da imprendere a trattare da solo tutte le scienze e tutte le arti?

Da ciò abbiamo dedotto che, per sostenere un peso così grave, era necessario spartirlo; e subito abbiamo posto l’occhio su un numero sufficiente di dotti e d’artigiani: artigiani abili e noti pei loro talenti; dotti competenti nei particolari settori che dovevamo affidare loro. A ciascuno abbiamo assegnato la parte che gli si addiceva; alcuni anzi già disponevano della loro, ancor prima che li invitassimo a collaborare a quest’opera. Il pubblico vedrà qui sotto i loro nomi, e non abbiamo davvero paura che ce ne muova rimprovero. Così ciascuno, occupandosi soltanto di ciò che sapeva, ha potuto giudicar sanamente quanto ne hanno scritto gli antichi e i moderni, e aggiungere ai sussidi tratti da questi le cognizioni attinte alla propria esperienza. Nessuno ha sconfinato sul territorio altrui, né se impicciato di ciò che forse non ha mai appreso; e così abbiamo ottenuto più metodo, certezza, ampiezza e abbondanza di particolari, di quanto non se ne trovi nella maggior parte dei lessicografi. È pur vero che questo piano ha ridotto a poco il lavoro dell’editore, ma ha molto giovato alla perfezione dell’opera; e riterremo sempre di aver acquistata sufficiente gloria se il pubblico sarà soddisfatto. In una parola, ciascuno dei nostri colleghi ha fatto un dizionario della parte di cui si è incaricato, e noi abbiamo riunito insieme tutti questi dizionari.

Crediamo di aver avuto buone ragioni per seguire in quest’opera l’ordine alfabetico. Ci è parso più comodo e facile per i nostri lettori, i quali, volendosi informare circa il significato d’una parola, la troveranno più agevolmente in un dizionario alfabetico che in qualunque altro. Se avessimo trattato separatamente tutte le scienze, di ciascuna facendo un dizionario particolare, non soltanto si sarebbe riprodotto in questo nuovo assetto tutto il preteso disordine della successione alfabetica, ma un tal metodo sarebbe stato soggetto a inconvenienti considerevoli per il gran numero di termini comuni a diverse scienze, che sarebbe stato necessario ripetere più volte, o ripetere a caso. D’altra parte, se avessimo trattato separatamente ciascuna scienza, in una stesura continua e conforme all’ordine delle idee, non all’ordine dei termini, la forma di quest’opera sarebbe stata ancor più scomoda per la maggior parte dei nostri lettori, che non avrebbero trovato alcunché, se non con gran fatica; l’ordine enciclopedico delle scienze e delle arti ne avrebbe tratto scarso vantaggio, e l’ordine enciclopedico delle parole, o piuttosto degli oggetti mediante i quali le scienze sono in comunicazione e contatto reciproco, vi avrebbe enormemente scapitato. Al contrario, nulla appare tanto facile, nel piano che noi abbiamo seguito, quanto seguire entrambi gli ordini: lo si è chiarito qui sopra. D’altra parte, se si fosse dovuto fare un trattato particolare in forma usuale su ogni scienza e su ogni arte, limitandosi a raccogliere tali diversi trattati sotto il titolo “enciclopedia”, sarebbe stato ben più difficile mettere insieme un così gran numero di persone per quest’opera, e la maggior parte dei nostri colleghi avrebbero indubbiamente preferito pubblicare separatamente l’opera propria anziché vederla confusa in un’infinità di altre. Inoltre, se avessimo seguito quest’ultimo piano, saremmo stati costretti a rinunziare quasi completamente all’uso che ci eravamo proposti di fare dell’enciclopedia inglese, indottivi tanto dalla reputazione di quest’opera, quanto dal vecchio Prospectus, già bene accolto dal pubblico, ed al quale desideravamo restare fedeli. L’intera traduzione di quest’enciclopedia ci è stata consegnata dai librai che ne avevano intrapreso la pubblicazione; noi l’abbiamo distribuita ai nostri colleghi, che hanno preferito assumersi l’onere di rivederla, correggerla, accrescerla, piuttosto che prendere impegni senza avere — per così dire — materiali preparatori. È vero che gran parte di questi materiali è risultata inutile, ma sono serviti almeno a far loro iniziare più volentieri il lavoro che ci si attendeva da loro; lavoro che molti avrebbero forse rifiutato di fare, se avessero previsto le fatiche ch’esso sarebbe costato. D’altra parte alcuni di quei dotti, essendo stati incaricati della loro parte molto tempo prima che noi fossimo diventati editori, l’avevano condotta già parecchio innanzi, secondo l’antico ordine alfabetico; ci sarebbe stato quindi impossibile mutare il progetto, anche se fossimo stati meno disposti ad accettarlo. Sapevamo inoltre — o almeno avevamo motivo di ritenere — che al nostro modello, l’autore inglese, non era stata mossa alcuna obiezione a proposito dell’ordine alfabetico che aveva seguito. Tutto contribuiva dunque a far sì che rendessimo quest’opera conforme ad un piano che noi stessi avremmo scelto, se fossimo stati padroni di farlo.

La sola operazione del nostro lavoro che presuppone una certa intelligenza consiste nel colmare i vuoti che separano due scienze o due arti, e nel ristabilire la continuità della catena nei casi in cui i nostri colleghi si sono fidati gli uni degli altri per certi articoli, i quali, sembrando appartenere in egual misura a più d’uno, non sono stati fatti da nessuno. Ma affinché la persona alla quale è stata affidata una parte non sia considerata responsabile degli errori che potrebbero insinuarsi nei passi aggiunti, avremo cura di distinguere questi passi con un asterisco. Manterremo scrupolosamente la parola data; il lavoro altrui sarà sacro per noi, né esiteremo a ricorrere all’autore se, nel corso della pubblicazione, la sua opera ci sembrerà esigere qualche modifica notevole.

Le diverse mani delle quali ci siamo serviti hanno impresso ad ogni articolo il suggello del loro proprio stile e quello dello stile appropriato al contenuto e all’oggetto di una data parte. Un processo chimico non sarà certo descritto con il tono usato per 1 bagni e i teatri antichi; né la tecnica del fabbro sarà esposta come le ricerche di un teologo su una questione dogmatica o disciplinare. Ogni cosa ha il suo colorito, e ridurre i diversi generi ad una certa uniformità significherebbe confonderli. La purezza dello stile, la chiarezza e la precisione sono le sole qualità che possono esser comuni a tutti gli articoli, e speriamo che sia possibile riscontrarvele. Permettersi di più significherebbe esporsi alla monotonia e al disgusto, che sono quasi ineliminabili nelle opere ampie, ma che debbono qui evitarsi.

Abbiamo detto quanto basta per informare il pubblico circa la natura d’un’impresa alla quale esso è sembrato interessarsi; i generali vantaggi che ne risulteranno se sarà realizzata bene; il successo o il fallimento di coloro che l’hanno tentata prima di noi; l’ampiezza del suo oggetto; l’ordine al quale ci siamo attenuti; la distribuzione di ciascuna parte e le nostre funzioni di editori. Passiamo adesso ai più notevoli particolari dell’esecuzione.

Tutta la materia dell’enciclopedia si può ridurre sotto tre titoli: le scienze, le arti liberali e le arti meccaniche. Cominceremo da ciò che riguarda le scienze e le arti liberali, e finiremo con le arti meccaniche.

Si è scritto molto sulle scienze. I trattati sulle arti liberali si sono moltiplicati a dismisura; la repubblica delle lettere ne è sommersa. Ma quanti di essi forniscono i veri princìpi? Quanti li annegano in un diluvio di parole, e li disperdono in finte oscurità? In quanti, di indiscussa autorevolezza, un errore posto accanto a una verità la scredita o acquista esso stesso credito, grazie a tale vicinato? Sarebbe stato indubbiamente preferibile scrivere meglio.

Tra tutti gli scrittori, si è data la preferenza a quelli generalmente riconosciuti come i migliori. Da essi si sono attinti i princìpi. Alla loro esposizione chiara e precisa si sono aggiunti esempi o autorità generalmente ammesse. È abitudine volgare rimandare alle fonti o fare citazioni in maniera vaga, spesso infedele e quasi sempre confusa; di modo che nelle diverse parti delle quali un articolo è composto non si sa esattamente quale autore consultare su questo o quel punto particolare, o se bisogna consultarli tutti; il che rende la verifica lunga e ardua. Noi abbiamo cercato, nei limiti del possibile, di evitare tale inconveniente, citando nel corpo stesso dell’articolo gli autori sulla cui testimonianza ci si è fondati; trascrivendo il loro testo, se necessario; confrontando ovunque le opinioni; soppesando le ragioni; proponendo i dubbi o i modi di uscire dal dubbio; a volte perfino decidendo; distruggendo per quanto era possibile gli errori e i pregiudizi, ma preoccupandoci soprattutto di non moltiplicarli e perpetuarli, col proteggere senz’esame opinioni respinte o proscrivendo senza ragione opinioni ammesse. Non abbiamo temuto di dilungarci là dove l’interesse per la verità e l’importanza dell’argomento lo esigevano, sacrificando il diletto tutte le volte ch’esso non poteva accordarsi con l’istruzione.

Per quanto riguarda le definizioni, facciamo qui un’osservazione importante. Negli articoli generali sulle scienze ci siamo attenuti all’uso corrente nei dizionari e in altre opere, secondo il quale, cominciando a trattare una scienza, se ne dà anzitutto la definizione. Anche noi l’abbiamo fornita, la più semplice e breve possibile. Ma non bisogna credere che la definizione di una scienza, specialmente di una scienza astratta, ne possa dare l’idea ai non iniziati. In verità, che cos’è una scienza, se non un sistema di regole o di fatti relativi ad un certo oggetto; e come si potrà dare l’idea di questo sistema ad una persona che sia completamente all’oscuro di quel che tale sistema comprende? Quando si dice dell’aritmetica che è la scienza delle proprietà dei numeri, la si fa forse conoscere a chi non la sa, meglio di come si farebbe conoscere la pietra filosofale, dicendo ch’è il segreto per fare l’oro? La definizione di una scienza consiste proprio nell’esposizione dettagliata degli oggetti di cui questa scienza si occupa, come la definizione di un corpo è la descrizione dettagliata di questo stesso corpo; in base a tale principio ci sembra che la cosiddetta definizione di ogni scienza figuri meglio al termine piuttosto che all’inizio del libro che ne tratta; nel qual caso sarebbe il risultato estremamente sommario di tutte le nozioni acquisite. Dal resto che cosa contengono la maggior parte di tali definizioni, se non espressioni vaghe ed astratte, la cui comprensione è spesso più difficile di quella della scienza medesima? Tali sono le parole scienza, numero, proprietà, nella definizione già citata dell’aritmetica. I termini generali sono senza dubbio necessari, e in questo Discorso ne abbiamo vista l’utilità; ma si potrebbero definire un abuso forzato dei segni; e la maggior parte delle definizioni, un abuso, talvolta volontario, tal’altra forzato, dei termini generali. Per il resto, ripetiamo, ci siamo uniformati su questo punto all’uso, perché non spetta a noi mutarlo, ed anche la stessa forma di questo dizionario ce l’impedirebbe. Ma, occupandoci dei pregiudizi, non abbiamo dovuto temere di esporre idee che riteniamo sane. Proseguiamo il resoconto dell’opera nostra.

L’impero delle scienze e delle arti è un mondo remoto dal volgo, dove ogni giorno si scopre qualche cosa di nuovo, ma del quale si hanno molte notizie fantastiche. Era importante confermare quelle autentiche, prevenire quelle false, fissare i punti di partenza e facilitare così la ricerca di ciò che resta da scoprire. Si citano fatti, si paragonano esperienze, si trovano metodi soprattutto per spronare l’intelligenza ad aprirsi strade ignote, a compiere nuove scoperte, prendendo come punto di partenza il punto di arrivo cui sono giunti i grandi uomini. Questo è il fine che ci siamo proposti, associando ai princìpi delle scienze e delle arti liberali la storia della loro origine e dei loro successivi progressi. E, se l’abbiamo conseguito, molte persone intelligenti non si preoccuperanno più di indagare che cosa si sapeva prima di loro. Sarà facile distinguere nelle opere che saranno pubblicate d’ora in poi sulle scienze e sulle arti liberali i contributi originali degli inventori da ciò che invece essi hanno ereditato dai loro predecessori: verranno apprezzati i lavori originali e saranno ben presto smascherati quegli uomini che, avidi di fama e privi di genio, pubblicano vecchi sistemi facendoli passare audacemente come idee nuove. Ma per arrivare a simili risultati è stato necessario dare a ciascuna materia un’estensione conveniente, insistere sull’essenziale, trascurare le minuzie, evitare un difetto piuttosto comune, quello cioè di dilungarsi su ciò che non richiede che una parola, dimostrare l’incontestabile e commentare ciò che è chiaro. Non abbiamo risparmiato né prodigato i chiarimenti. Si potrà constatare che erano necessari ovunque li abbiamo messi, e che sarebbero stati superflui dove non si troveranno. Inoltre abbiamo evitato di accumulare prove, laddove abbiamo creduto che un solo solido ragionamento sarebbe stato sufficiente, moltiplicandole soltanto nei casi in cui il loro valore dimostrativo dipendeva dal loro numero o dal loro insieme.

Gli articoli concernenti gli elementi delle scienze sono stati elaborati con la massima cura; sono, in realtà, la base e il fondamento degli altri. Per questa ragione gli elementi di una scienza possono essere ben esposti soltanto da chi l’ha coltivata a fondo; poiché racchiudono il sistema dei princìpi generali che si estendono alle diverse parti della scienza, e per conoscere il modo migliore di presentare tali princìpi bisogna averne fatto una pratica varia e approfondita.

Ecco tutte le precauzioni che dovevamo prendere; ecco le ricchezze sulle quali potevamo contare; ma ne sono sopraggiunte altre che la nostra impresa deve, per così dire, alla sua buona fortuna. Si tratta di manoscritti che ci sono stati consegnati da alcuni amatori o forniti da dotti, fra i quali nomineremo qui il signor Formey, segretario perpetuo dell’Accademia reale delle scienze e belle lettere di Prussia. Questo illustre accademico aveva concepito un dizionario più o meno simile al nostro, e ci ha generosamente sacrificato la considerevole parte già eseguita, atto per il quale non mancheremo di rendergli onore. Si tratta inoltre di ricerche e osservazioni che ogni artista e scienziato, incaricato di una parte del nostro dizionario, teneva chiuse nel suo studio, e che ha accettato volentieri di pubblicare per questa via. Quasi tutti gli articoli di grammatica generale e particolare fanno parte di questo gruppo di manoscritti. Noi riteniamo di poter assicurare che nessuna opera nota, riguardante le regole e i modi di dire della lingua francese, e persino la natura, l’origine e la filosofia delle lingue in generale, sarà tanto ricca e istruttiva quanto la nostra. Noi faremo dunque conoscere al pubblico molti fondi letterari, concernenti le scienze e le arti liberali, di cui forse esso non avrebbe mai avuto notizia.

Ma non contribuiranno meno alla perfezione di queste due branche importanti i cortesi ausilii che abbiamo ricevuto da ogni parte; protezione da parte dei grandi, accoglienza e comprensione da parte di numerosi scienziati; biblioteche pubbliche, studi privati, raccolte, archivi, ecc.; tutto ci è stato aperto da coloro che coltivano le lettere e da coloro che le amano. Qualche abilità e molte spese hanno procurato ciò che la pura benevolenza non aveva potuto ottenere; e le ricompense hanno quasi sempre calmato le reali inquietudini o gli allarmi simulati di coloro che dovevamo consultare.

Siamo anzitutto sensibili alle gentilezze di cui ci è stato prodigo l’abate Sallier, bibliotecario del re . Egli ci ha permesso, con la cortesia che gli è naturale, resa ancora più viva dal piacere di favorire una grande impresa, di attingere dal ricco tesoro di cui è depositario tutto ciò che avrebbe potuto conferire all’enciclopedia lumi o diletto. Si giustifica, potremmo anzi dire che si onora la scelta del principe, quando si sanno interpretare così bene le sue intenzioni. Le scienze e le belle arti non concorreranno mai troppo ad illustrare con le loro produzioni il regno di un sovrano che le favorisce. Per quanto riguarda noi, spettatori dei loro progressi e loro storici, ci preoccuperemo soltanto di trasmetterle alla posterità. Che essa dica, aprendo il nostro dizionario: “tale era allora lo stato delle scienze e delle belle arti”. Che aggiunga le sue scoperte a quelle da noi registrate; che la storia dello spirito umano e delle sue creazioni possa di età in età giungere fino ai secoli più remoti. Che l’Enciclopedia diventi un santuario, ove le conoscenze umane siano al riparo dai tempi e dalle rivoluzioni. Non saremo troppo lusingati di averne posto le fondamenta? Quale fortuna sarebbe stata per noi e per i nostri padri, se le opere dei popoli antichi, degli egizi, dei caldei, dei greci, dei romani, ecc., fossero state tramandate in un’opera enciclopedica, che avesse insieme esposto i veri princìpi delle loro lingue! Facciamo dunque per i secoli futuri quanto ci duole che i secoli passati non hanno fatto per il nostro. Osiamo dire che se gli antichi avessero composto un’enciclopedia, come hanno fatto tante altre grandi cose, e della famosa biblioteca di Alessandria si fosse salvato solo questo manoscritto, esso sarebbe stato capace di consolarci della perdita degli altri.

Ecco quanto dovevamo esporre al pubblico riguardo alle scienze e alle belle arti. La parte delle arti meccaniche non richiedeva meno particolari né meno cure. Forse non v’è mai stato un tal cumulo di difficoltà e così pochi ausilii, nei libri, per superarle. Si è scritto troppo sulle scienze; non si è scritto abbastanza degnamente sulla maggior parte delle arti liberali; non si è scritto quasi nulla sulle arti meccaniche: che cos’è infatti quel poco che si trova negli autori, rispetto alla vastità e fecondità dell’argomento? Tra coloro che ne hanno trattato, l’uno non aveva sufficiente conoscenza di ciò che doveva dire, ed ha dimostrato piuttosto la necessità di un’opera migliore, che non raggiunto il suo scopo; un altro ha appena sfiorato la materia, trattandola da grammatico o da letterato anziché da artigiano; un terzo è magari meglio fornito e più artigiano, ma è nel medesimo tempo talmente conciso, che le operazioni degli artigiani e la descrizione delle macchine, materia che da sola può fornire materiale per opere voluminose, non occupano che una piccolissima parte della sua opera. Chambers non ha aggiunto quasi nulla a quanto ha tradotto dai nostri autori. Tutto c’induceva dunque a ricorrere agli artigiani.

Ci siamo rivolti ai più abili di Parigi e del regno. Ci siamo presi la briga di andare nei loro opifici, interrogarli, scrivere sotto loro dettatura, sviluppare i loro pensieri, trovare termini adatti ai loro mestieri, tracciare le relative tavole e definirle, parlare con coloro dai quali avevamo ottenuto memorie scritte, e (precauzione quasi indispensabile) rettificare in lunghi e ripetuti colloqui con alcuni ciò che altri avevano spiegato insufficientemente, oscuramente, talvolta non fedelmente. Certi artigiani sono anche letterati, e potremmo citarne qui, ma il loro numero sarebbe limitatissimo. La maggior parte di coloro che esercitano le arti meccaniche le hanno abbracciate solo per necessità, e operano per istinto. Tra mille, se ne trova appena una dozzina capaci di esprimersi in modo abbastanza chiaro sugli strumenti che impiegano e sugli oggetti che fabbricano. Abbiamo visto operai che lavoravano da quarant’anni senza conoscere affatto le loro macchine. È stato necessario esercitare con essi la funzione della quale Socrate si gloriava, la funzione ardua e delicata di far partorire gli uomini: obstetrix ani- morum

Ma esistono strumenti così singolari e manovre così complesse che chi non abbia lavorato personalmente, azionato una macchina con le proprie mani e visto formarsi l’opera sotto i propri occhi, ben difficilmente può descriverli in modo preciso. È stato pertanto necessario procurarsi più volte le macchine, costruirle, por mano all’opera, diventare per così dire, apprendisti, eseguire noi stessi pessimi lavori per insegnare agli altri a farne di buoni.

Così ci siamo resi conto della nostra ignoranza riguardo alla maggior parte degli oggetti che ci servono nella vita, e della necessità di uscire da tale ignoranza. Così abbiamo potuto dimostrare che il letterato che sappia meglio di tutti la lingua non conosce neppure la ventesima parte delle parole; che sebbene ogni arte abbia una sua lingua, essa è ancora molto imperfetta; che se gli operai si comprendono tra loro, ciò avviene per l’abitudine che hanno di conversare frequentemente, e molto più per la ripetizione delle medesime situazioni che non per l’uso di termini. In un opificio è il momento, non l’artigiano, che parla.

Ecco qui il metodo che si è seguito per ogni arte. Si è trattato:

Della materia, dei luoghi dove si trova, della maniera in cui va preparata, delle sue buone e cattive proprietà, delle sue varie specie, e delle lavorazioni attraverso le quali la si fa passare, sia prima di usarla, sia quando la si pone in opera.

2) Dei principali oggetti che si possono fabbricare e della maniera di farli.

3) Si è dato il nome, la descrizione e la figura degli strumenti e delle macchine, pezzo per pezzo e nell’insieme, la sezione dei modelli e di altri strumenti dei quali era interessante conoscere l’interno, i profili ecc.

4) Si sono spiegate le manipolazioni e le principali operazioni in una o più incisioni, in cui si vedono sia le sole mani dell’artigiano al lavoro, sia l’artigiano stesso mentre esegue l’operazione più importante dell’arte sua.

5) Si sono raccolti e definiti più esattamente possibile i termini propri dell’arte.

Ma la scarsa abitudine di scrivere e leggere gli scritti sulle arti rende difficile spiegare le cose in maniera intelligibile, donde la necessità delle figure. Si potrebbe dimostrare con mille esempi che un dizionario di pure e semplici definizioni, per quanto sia fatto bene, non può fare a meno delle figure senza cadere in descrizioni vaghe e oscure. Dunque a maggior ragione tale ausilio è per noi indispensabile. Una occhiata all’oggetto o alla figura dice di più che una pagina di testo.

Si sono mandati i disegnatori negli opifici. Si sono fatti schizzi di macchine e strumenti. Non è stato omesso nulla di ciò che poteva servire a visualizzarli con chiarezza. Nel caso che una macchina meriti di essere vista nei particolari per l’importanza della sua funzione e il gran numero delle parti, dal semplice siamo passati al composto. Abbiamo cominciato con il riunire, in una prima figura, quegli elementi che si potevano osservare senza far confusione. In una seconda figura si vedono gli stessi elementi con alcuni altri. E così si è via via formata la macchina più complicata senza nessuna difficoltà per la mente né per gli occhi. Talvolta bisogna risalire dalla conoscenza della macchina a quella dell’oggetto. Nell’articolo Arte si troveranno alcune riflessioni filosofiche sui vantaggi di quei metodi e sulle occasioni in cui conviene preferire l’uno all’altro.

Vi sono nozioni comuni, presenti alla mente di quasi tutti gli uomini con chiarezza maggiore di quella che può dare qualsiasi spiegazione. Vi sono anche oggetti così familiari, che sarebbe ridicolo riportarne l’illustrazione. D’altronde le arti ne offrono altri talmente complessi, che sarebbe inutile rappresentarli in figure; nei primi due casi si è supposto che il lettore non fosse completamente privo di buon senso e di esperienza; nell’ultimo si rimanda direttamente all’oggetto. Vi è in ogni cosa un giusto mezzo, e noi abbiamo cercato di non venirvi meno. Una sola arte, della quale si volesse dir tutto e rappresentare tutto, riempirebbe svariati volumi di testo e di tavole. Non si finirebbe mai se ci si proponesse di rappresentare con figure tutte le fasi attraverso le quali passa un pezzo di ferro prima di esser trasformato in un ago. Com’è possibile che il testo segua l’opera dell’artigiano fino al minimo particolare? Per quanto riguarda le figure, le abbiamo limitate ai movimenti importanti dell’operaio e a quei soli momenti della lavorazione, che sono facilmente rappresentabili ma difficilmente spiegabili. Ci siamo limitati alle situazioni essenziali, a quelle cioè la cui rappresentazione, quando è ben fatta, reca necessariamente seco la conoscenza di quelle che non si vedono. Non abbiamo voluto assomigliare a colui che su una strada piantasse segnali ad ogni passo temendo che i viaggiatori si smarrissero: basta che ve ne siano dove c’è il rischio di perdersi.

Del resto è la pratica che fa l’artigiano, e non è certo nei libri che la si può imparare. L’artigiano troverà nella nostra opera solamente istruzioni che non avrebbe mai avuto e osservazioni che avrebbe fatto soltanto dopo molti anni di lavoro. Offriremo al lettore studioso ciò che egli, per soddisfare la sua curiosità, avrebbe imparato da un artigiano vedendolo all’opera; e all’artigiano ciò ch’esso dovrebbe apprendere dal filosofo per progredire verso la perfezione.

Abbiamo distribuito nelle scienze e nelle arti liberali illustrazioni e tavole con lo stesso spirito e con lo stesso criterio con cui le abbiamo distribuite nelle arti meccaniche; tuttavia non abbiamo potuto ridurre il numero delle une e delle altre a meno di seicento. I due volumi che esse formeranno non saranno certo la parte meno interessante dell’opera, dato che ci siamo preoccupati di mettere, sul verso d’ogni incisione, la spiegazione di quella seguente, con rinvii a quei luoghi del dizionario cui ogni figura si riferisce. Un lettore apre un volume di incisioni; nota una macchina che l’incuriosisce: è, se si vuole, una macina da grano, carta, seta, zucchero, ecc. Si leggerà a fronte: fig. 50, 60, ecc., macina da grano, carta, seta, zucchero, ecc., si troverà poi una rapida spiegazione di queste macine con i rinvii agli articoli Farina, Carta, Zucchero, Seta, ecc.

La stampa corrisponderà alla perfezione dei disegni; e speriamo che le incisioni della nostra enciclopedia superino in bellezza quelle del dizionario inglese, così come le superano di numero. Chambers ha trenta incisioni. Il vecchio progetto ne prometteva centoventi; noi ne daremo almeno seicento. Non c’è da meravigliarsi che la via si sia allungata sotto i nostri passi: è infinita, e non ci illudiamo di averla percorsa tutta.

Nonostante i contributi e i lavori che abbiamo passato or ora in rassegna, noi dichiariamo apertamente, a nome nostro e dei nostri colleghi, che saremo sempre disposti ad ammettere la nostra insufficienza e ad approfittare degli illuminati consigli che ci verranno offerti. Li accetteremo con riconoscenza, perché siamo convinti che l’ultima perfezione di una enciclopedia è opera di secoli. Ci sono voluti secoli per cominciare, altri ce ne vorranno per finire: ma ci basterà aver contribuito a porre le basi di un’opera utile .

Nondimeno, proveremo la soddisfazione interiore di non aver risparmiato nulla per riuscire: una delle prove che addurremo è che nelle scienze e nelle arti certe parti sono state rifatte perfino tre volte. Non possiamo fare a meno di dire, a onore dei librai associati, che essi non hanno mai ricusato di prestarsi a ciò che poteva contribuire a perfezionarle tutte. È da sperare che il concorso di un così gran numero di circostanze, come i lumi di quanti hanno lavorato a quest’opera, il contributo di quanti se ne sono interessati e l’emulazione degli editori e dei librai, produca qualche buon effetto.

Si può intendere da quanto precede che, nell’opera che presentiamo, si sono trattate le scienze e le arti in maniera tale da non supporre nessuna conoscenza preliminare; che vi è esposto tutto ciò ch’è interessante sapere su ogni argomento; che gli articoli si spiegano gli uni con gli altri, e di conseguenza la difficoltà della nomenclatura non dà assolutamente fastidio. Ne concludiamo che quest’opera potrà, almeno in avvenire, far le veci di una biblioteca in ogni argomento che interessi un uomo di mondo; in ogni argomento, eccetto il suo, per un dotto di professione; che svilupperà i veri princìpi delle cose; che ne metterà in rilievo i rapporti; che contribuirà alla saldezza e ai progressi delle conoscenze umane e, moltiplicando il numero dei veri dotti, degli artigiani eminenti e degli amatori illuminati, diffonderà nella società nuovi beni.

[questi ultimi 3 capoversi sono di D’Alembert]

All’inizio di ogni volume si troveranno i nomi dei dotti ai quali in misura pari che a noi il pubblico deve quest’opera, ed il cui numero e zelo aumentano di giorno in giorno. Io ho rivisto tutti gli articoli di matematica e di fisica generale, e fornito qualche articolo mancante nelle altre parti, ma in piccolo numero. Mi sono preoccupato di esporre il carattere generale dei metodi; di indicare le migliori opere ove si possono trovare, su ciascun argomento, i più importanti particolari che non erano di natura tale da poter figurare nell’Enciclopedia; di illuminare ciò che non mi pareva sufficientemente chiaro o che non era stato del tutto chiarito; infine di dare, per quanto possibile, per ciascuna materia princìpi metafisici esatti, cioè semplici.

Ma questo lavoro, per quanto considerevole, lo è assai meno di quello del signor Diderot, mio collega. Egli è l’autore della parte più vasta dell’Enciclopedia, della più importante e più desiderata dal pubblico, e, direi, della più difficile da eseguire: la descrizione delle arti. Diderot l’ha seguita su memorie fornitegli da operai o da amatori, o sulle conoscenze che ha potuto egli stesso attingere dagli operai, o infine su arnesi, ch’egli si è preoccupato di vedere e dei quali ha talvolta fatto costruire modelli per studiarli a proprio agio. A questo lavoro così minuto, immenso, cui Diderot si è applicato con molta cura, ne ha aggiunto un altro, che non lo è meno, fornendo per tutte le parti un numero enorme di articoli mancanti. Si è dedicato a questo lavoro con un coraggio degno dei più bei tempi della filosofia, con un disinteresse che fa onore alle lettere, e con uno zelo degno della riconoscenza di tutti coloro che le amano e le coltivano, in particolare di coloro che hanno contribuito al lavoro dell’Enciclopedia. Dai diversi volumi di quest’opera si vedrà quanto è considerevole il numero degli articoli che essa gli deve. Ve ne sono di assai estesi, e in grande quantità. Il gran successo dell’articolo Arte, ch’egli ha stampato a parte qualche mese prima della pubblicazione del primo volume, l’ha incoraggiato a redigerne altri tutti suoi; ed io credo di poter assicurare che son degni di essere paragonati a quello, sebbene in diversi campi. È inutile rispondere qui alla ingiusta critica di alcuni uomini di mondo, poco avvezzi senza dubbio a ciò che richiede un minimo d’attenzione, che hanno trovato l’articolo Arte troppo ragionato e metafisico, come se fosse possibile farlo altrimenti. Ogni articolo che riguarda un termine astratto e generale non può essere ben trattato senza risalire a princìpi filosofici, sempre difficili per coloro che non sono abituati alla riflessione. Del resto dobbiamo confessare d’aver visto con piacere che un gran numero di uomini di mondo hanno inteso perfettamente quest’articolo. Quanto a coloro che l’hanno criticato, ci auguriamo che sugli articoli di argomento analogo abbiano a muoverci io stesso rimprovero.

Ecco quanto avevamo da dire su questa immensa collezione. Essa si presenta con tutto ciò che può suscitare interesse; l’impazienza con la quale è stata attesa; gli ostacoli che ne hanno ritardata la pubblicazione; le circostanze che ci hanno indotti ad occuparcene; lo zelo con il quale ci siamo dedicati al lavoro, come se l’avessimo scelto di nostra iniziativa; gli elogi che i buoni cittadini hanno largito all’impresa; gli aiuti innumerevoli e d’ogni specie che abbiamo ricevuto; la protezione che il governo ci deve, e sembra volerci concedere; nemici tanto deboli quanto potenti, che hanno cercato invano di uccider l’impresa prima che nascesse; infine, autori estranei ad ogni cabala e intrigo, i quali non attendono altra ricompensa alle loro cure e ai loro sforzi, oltre la soddisfazione di avere ben meritato della patria. Non cercheremo di paragonare questo dizionario agli altri; riconosciamo con piacere che ci sono stati utili tutti; né il nostro lavoro consiste nello screditare l’altrui. Tocca al pubblico che legge giudicarci: e crediamo di doverlo distinguere da quello che parla.

Fonte: D’Alembert-Diderot, La Filosofia dell’Enciclopédie, cura di Paolo Casini, Laterza, 1966, pp. 136–160.

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Mario Mancini
Mario Mancini

Written by Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.

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