Emilio Salgari: il viaggio della fantasia
… ma anche la storia più triste da raccontare
di Michele Giocondi e Mario Mancini
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Il protagonista del 17° episodio degli scrittori italiani bestseller è Emilio Salgari, lo scrittore, veronese di nascita e torinese di adozione, che in 80 romanzi e 100 novelle ha allestito il più straordinario spettacolo fantastico, esotico ed avventuroso della letteratura italiana. Salgari è stato anche un grande sperimentatore della lingua italiana con cui ipnotizzava il lettore teletrasportandolo negli ambienti esotici dei suoi romanzi. Eccone un esempio di teletrasporto tratto dal primo capitolo de Il bramino dell’Assam:
Un enorme carro, formato di travi pesanti collegate con arpioni di ferro e con ruote altissime, tutte piene, stava fermo, un po’ affondato nella terra grassa, in mezzo ad una superba foresta irta di giganteschi tara, di tamarindi, di cocchi e di mangifere. Non somigliava affatto agli tciopaya indiani, grossi carri anche quelli, ma più eleganti, perché hanno la cassa sempre dipinta in azzurro color cielo ed ornata di fiori e di divinità, con belle colonnette. Sembrava più un bastione rotolante, che solamente la forza illimitata degli elefanti, specialmente dei coomareah, potevano smuovere.
Umberto Eco nel suo saggio sul Kitch ha paragonato alcuni passi della sua immaginifica prosa a quella di Marcel Proust e di Tomasi di Lampedusa.
Grande scrittore, grande prosatore, ma pessimo uomo d’affari a Salgari non ha arriso la felicità, che non sempre è gemella del talento. L’epilogo del suo travaglio interiore è la tragica decisione di andarsene ad appena 49 anni in un modo che sembra anch’esso sceneggiato. Si squarciò petto e si aprì gola con un rasoio, nel tentativo di emulare il sacrificio rituale dei samurai di quel lontano Oriente che aveva tante volte descritto. E se ne andò di propria volontà lanciando un’accusa pesantissima.
Chi non conosce Salgari! Chi non ha letto da ragazzo qualche suo romanzo! Chi non si è fatto entusiasmare da Sandokan, dal corsaro nero, dalla perla di Labuan e dagli altri innumerevoli personaggi cui ha dato vita! Salgari è riuscito a far sognare quantità sterminate di lettori, in un numero difficilmente quantificabile, ma dell’ordine di milioni e milioni solo in Italia e di decine, forse centinaia, di milioni nel resto del mondo. Tutto questo grazie a 82 romanzi e a oltre 100 racconti, composti in poco più di 25 anni, a un ritmo forsennato. Ma ha ricavato da questa massa di libri poco più delle briciole di quanto gli sarebbe giustamente spettato. Con ogni probabilità egli è stato lo scrittore che ha gestito peggio di tutti la sua eccezionale creatività letteraria.
L’esordio
Tutto inizia nel 1883, lo stesso anno in cui prende il via lo straordinario cammino verso l’immortalità di Pinocchio, e poco prima che De Amicis metta mano al suo Cuore, che avrebbe composto nei primi mesi del 1886. È in quel 1883 che si plasma l’altro grande personaggio della nostra narrativa per ragazzi: Sandokan.
Ne è autore un giovane ventunenne, nato a Verona nel 1862, in una famiglia di commercianti di stoffe. A 16 anni si iscrive all’istituto nautico, con la speranza di indossare le vesti di capitano di marina, ma non completa gli studi, anche se si fregerà sempre del titolo di capitano, nella realtà mai conseguito. L’unico imbarco che effettua veramente è su e giù per tre mesi lungo le sponde dell’Adriatico, per dovere di servizio. Ma è più che sufficiente ad alimentare una delle fantasie più fervide della narrativa d’avventura, che l’avrebbe portato a descrivere i mari e gli oceani, le foreste e i deserti, le praterie, le montagne, i ghiacciai e tutti i luoghi del pianeta.
Il lungo viaggio nella narrativa
A 20 anni Salgari salpa per un viaggio “vero”, questo sì, lunghissimo e interminabile, attraverso i territori sterminati della “letteratura”, che si sarebbe concluso solo con la sua morte. Nel 1882 compare un primo racconto in quattro puntate pubblicato su un settimanale milanese, intitolato I selvaggi della Papuasia. L’anno dopo, il 1883, su “La Nuova Arena” di Verona, esce, sempre a puntate, Le tigri di Mompracem, poi raccolte in volume. È subito un grande successo: nasce Sandokan, il protagonista della vicenda e una delle figure più appassionanti della letteratura giovanile. E accanto a lui i tanti personaggi che gli fanno da contorno: Yanez, lady Marianna, Tremal-Naik, lord Brooke e tanti altri.
Un successo immediato
Il successo è subito strepitoso, la rivista conosce un incremento notevolissimo di vendite e il nome del giovane autore comincia a circolare non solo fra gli addetti ai lavori, ma fra il grosso pubblico.
Quella che si presenta come una delle firme più promettenti del nostro panorama editoriale ne ricava però pochi spiccioli, sembra addirittura solo una torta di pasticceria, vinta quasi per scommessa, facendo presagire fin dagli inizi quella che sarebbe stata una costante della sua vita, e cioè la scarsa capacità di gestire il rapporto con gli editori. In questo la sua figura si mostra molto più vicina a quella di Collodi, pure lui destinato a un compenso ridicolo per il suo Pinocchio, che a quella di De Amicis, che fu invece un abilissimo negoziatore e poi un oculato gestore dei frutti del proprio ingegno.
L’ attività letteraria di Salgari, comunque, è partita e da questo momento iniziano a prendere corpo gli innumerevoli personaggi e le infinite storie che avrebbero appassionato i lettori di tutto il mondo.
L’autore le compone ad un ritmo proibitivo, si diceva. Non ha altro reddito che quello che gli deriva dai suoi libri, e con quello deve mantenere una famiglia numerosa. Scrive in continuazione, 3-4 romanzi l’anno e altrettanti, se non di più racconti. Si tira su bevendo liquori e fumando 100 sigarette al giorno, in una casa, almeno l’ultima, quella alla periferia di Torino, di due camere, cucina e corte, dove abita con moglie, 4 figli, suocera, 17 gatti, un cane, una gallina, una scimmia, uno scoiattolo, un pappagallo, un’oca, qualche canarino.
Una produzione sterminata
In questo contesto a dir poco “dispersivo”, prende corpo la miriade di storie, di situazioni, di intrecci, di personaggi.
Ricordiamo, fra i tanti, i cicli principali, ognuno a sua volta composto da più romanzi: primo fra tutti il ciclo dei pirati della Malesia, poi il ciclo dei corsari delle Antille, seguito dal ciclo dei corsari delle Bermude, dal ciclo delle avventure del Far West, dal ciclo delle avventure in India. Poi ci sono cicli minori e una moltitudine di altri romanzi e racconti, anche di fantascienza, che forniscono una tipologia di situazioni, ambientazioni e personaggi di straordinaria ricchezza e varietà.
Le storie vengono ambientate in tutto il pianeta. Salgari le inserisce nel Seicento, ma anche nell’Ottocento e perfino nel futuro. I personaggi si caratterizzano per alcune costanti che rimangono fisse: la rapidità dell’azione, la schiettezza delle figure positive, sempre coraggiose, sincere e attrattive; la viltà di quelle negative. Il suo narrare assume un taglio manicheo, e nei suoi eroi l’azione, anche se improntata a ferocia, rimane ispirata a valori eterni, come l’onestà, l’onore, l’amicizia, il coraggio, il senso di giustizia.
È questo il mondo cui Salgari dà vita dal tavolo di lavoro, in mezzo al frastuono quotidiano di una famiglia numerosa, giorno dopo giorno, ora dopo ora, con una metodicità che ha dell’incredibile.
Il matrimonio
Nel 1892 sposa un’attrice di teatro di secondo piano, Ida Peruzzi, dalla quale in otto anni avrà quattro figli, e per lo scrittore inizia un travagliato menage familiare, contrassegnato dai continui assilli finanziari e rattristato oltremodo dalla malattia mentale della moglie, bisognosa di cure continue e dispendiose, che finirà i suoi giorni in manicomio. Tre anni prima, nel 1889, il padre dello scrittore si era suicidato, credendosi afflitto da un male incurabile.
Un successo strepitoso…
Nonostante l’enorme successo che i suoi romanzi ottengono fin dall’inizio, e che fanno dello scrittore veronese un’autentica gallina dalle uova d’oro, il mondo editoriale è micragnoso con lui come con nessun altro. Sembra quasi che non sappia perdonargli la feconda vena creativa, che ritenga le sue opere di scarso valore, dei romanzi di serie B, rispetto a quelli dei grandi nomi della letteratura, e come tali da retribuire miseramente. Proprio come stava accadendo all’altra autentica “gallina della letteratura italiana”, come la definì Antonio Gramsci, Carolina Invernizio, la cui esistenza fu però infinitamente più calma, ordinata e serena.
...retribuito in maniera vergognosa
A entrambi toccarono poco più delle briciole della immensa ricchezza che seppero produrre, sicuramente anche per la loro congenita incapacità di gestirsi in un mondo non facile, come quello editoriale. Eppure i più abili, con D’Annunzio in testa, ottenevano guadagni ben più sostanziosi. Ma la loro era letteratura “alta”, non prodotti di seconda serie, come venivano allora considerati i libri di Salgari e della Invernizio.
Fino al 1900 ogni romanzo viene pagato a Salgari a forfait, prima con la somma di 100 lire, poi sempre di più, fino a 350. Infine, ma solo in pochi casi, 500 lire a titolo, anche se vengono pubblicati da editori del calibro di Treves, Paravia o Bemporad. Successivamente Salgari ottiene di essere pagato a mensile, come un qualunque dipendente, ma mai a percentuale sulle vendite, handicap non indifferente per uno come lui che garantisce tirature elevatissime.
L’incontro con l’editore Donath
Nel 1898, a 36 anni, si lega in esclusiva con l’editore Donath di Genova e le sue condizioni economiche migliorano un po’, ma l’aggravamento della salute della moglie lo costringe a ulteriori spese e a ingenti debiti.
E poi ha quattro figli in tenera età da crescere; l’ultimo, Omar, è nato nel 1900. Nel 1904 rinnova il contratto con l’editore Donath di Genova, per 4.000 lire l’anno, in cambio di tre romanzi l’anno e la direzione di una rivista, “Per terra e per mare”, sulla quale per arrotondare pubblica altre sue novelle.
Non è poco. Un impiegato statale guadagna dalle 1.000 alle 1.500 lire l’anno, e lo stesso un insegnante. Ma sono in media tre pagine al giorno da buttare giù, domenica compresa; se un giorno si ammala o vuole riposare, il giorno dopo le pagine sono sei. Inoltre deve informarsi, almeno sull’atlante e sull’enciclopedia, sui luoghi e le caratteristiche dei posti in cui ambienta i suoi romanzi. E poi dirige una rivista, sulla quale scrive anche dei racconti. Nel frattempo deve badare anche al menage familiare, del quale la moglie sempre più malata non è in grado di occuparsi.
Il passaggio al Bemporad
Nel 1906 rompe con l’editore genovese e passa al Bemporad di Firenze, con il quale concorda il doppio del compenso alle stesse condizioni: 8.000 lire l’anno, somma di tutto rispetto, ma all’inizio l’editore deve trattenerne una metà per pagare la penale per la rottura con il Donath. Solo ai massimi vertici della carriera statale si poteva arrivare a quella cifra. Ma per uno scrittore che sforna libri a getto continuo che vanno letteralmente a ruba, quella somma è quasi un affronto, una miseria, un pezzo di pane. Solo dal 1907 al 1911 pubblicherà con Bemporad ben 19 libri, e 3 usciranno postumi. A causa delle condizioni mentali della moglie che peggiorano di anno in anno è finanziariamente sempre in affanno. I soldi non gli bastano mai. Cerca di tenere la consorte in una clinica privata con grande dispendio, ma alla fine non ce la fa più ed è costretto, con grande sofferenza morale, a rinchiuderla in manicomio per ridurre le spese.
Nel 1963 la rivista “Quattrosoldi” calcola che in quell’anno il padre di Sandokan avrebbe guadagnato 100 milioni netti di diritti d’autore. Ed erano lire del 1963, quando, per fare sempre un raffronto con gli stipendi in corso, un impiegato statale poteva guadagnare un milione e mezzo l’anno, e un appartamento poteva costare poco più di un milione a stanza.
In tutta la sua vita, secondo una stima del figlio Omar, Salgari guadagnò 87.000 lire, suddivisa nei ventotto anni di carriera, una cifra che non poteva certo sollevarlo dalla miseria nella quale visse sempre.
Il suicidio
Nel 1909 tenta un primo suicidio, ma la primogenita Fatima lo trova in tempo e riescono a salvarlo. Due anni dopo, nel 1911, in seguito al ricovero della moglie in manicomio, ad appena 49 anni di età, si uccide, come già aveva fatto il padre, e come più avanti avrebbero fatto due dei suoi figli. Lo ritrovano in un bosco con il ventre e la gola squarciati: aveva fatto harakiri, come avrebbe fatto uno dei suoi eroi.
Nella lettera d’addio ai figli scrive di ritenersi un “vinto”, uno sconfitto dalla vita. Lascia in eredità 150 lire, più altre 600 di credito. Poco prima di togliersi la vita aveva chiesto al suo editore un anticipo di 800 lire, ma questi tardava a farglielo pervenire.
La tragedia colpì anche moglie e figli, quasi ci fosse una maledizione che si accaniva sulla sua famiglia. La moglie morì in manicomio nel 1922, la primogenita Fatima morì 3 anni dopo il padre di tisi, aveva appena 22 anni. Romero, l’unico dei quattro figli che gli avrebbe dato un nipote, morì suicida nel 1931. Il secondogenito Nadir perse la vita nel 1936 per un tragico incidente di moto. Era un tenente di complemento ed aveva 42 anni. L’ultimo figlio, Omar, il più piccolo, morì anche lui suicida nel 1963.
L’atto di accusa verso gli editori
Prima di suicidarsi Salgari aveva lasciato anche una lettera sprezzante ai suoi editori: “A voi che vi siete arricchiti con la mia pelle, mantenendo me e la mia famiglia in una continua semi-miseria od anche di più, chiedo solo che per compenso dei guadagni che vi ho dati pensiate ai miei funerali. Vi saluto spezzando la penna.”
In seguito a un’inchiesta condotta tanti anni dopo per far luce sulla tragedia di Salgari, Arnaldo Mussolini, fratello del duce, ritirò la tessera del partito nazionale fascista all’editore Bemporad, con l’accusa di aver sfruttato ignobilmente lo scrittore. E dire che lui era stato l’editore più generoso di tutti con il suo autore.
Anche la morte di Salgari fu tuttavia un affare per l’editore, che al momento della firma del contratto con l’autore aveva stipulato un’assicurazione sulla vita del suo prezioso romanziere, e quando morì incassò 20.000 lire, ma secondo il figlio Omar furono in realtà 50.000.
Una triste storia
Alla sua morte si scatenò un vero putiferio sui suoi scritti. Ne comparvero tantissimi, più di un centinaio, quasi tutti falsi, attribuiti a lui e usciti spesso con la complicità o l’accordo dei figli presso editori senza scrupoli, che puntavano sul richiamo imperituro del suo nome, e che dettero adito a vertenze giudiziarie che si trascinarono per anni e anni.
Una storia amara e dolorosa, insomma, sicuramente la più triste fra tutte quelle che abbiamo incontrato sinora.
Michele Giocondi, fiorentino doc, si è laureato in letteratura italiana con Luigi Baldacci. Ha insegnato nei licei e svolto un’intensa attività editoriale nel settore scolastico, sia come autore che come responsabile di collana. Si è sempre occupato di letteratura di successo commerciale in libri come Lettori in camicia nera e Best seller italiani, nonché in numerosi articoli e saggi. giocondi è autore di un apprezzato Dizionario dei sinonimi e contrari, ristampato più volte. In tempi recenti ha scritto anche dei romanzi gialli.