Editori, scrittori e lettori nell’immaginifico affresco di Italo Calvino

Perle da “Se una notte d’inverno un viaggiatore”

Mario Mancini
10 min readMar 20, 2022

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Marylin Monroe in un fotogramma del film “Come sposare un milionario” (1953). Marylin legge, calvinianamente sottospra, un libro con copertina rigida dall’improbabile titolo “Murder by strangulation” osservata incuriosito dall’attore David Wayne.

Grandissimo Calvino. Racconta con surreale verosimiglianza il grandissimo caos che regna nel mondo dello scrivere e soprattutto del pubblicare. E ci sono anche delle intuizioni prospettiche.

Leggete questi passi tratti da Se una notte d’inverno un viaggiatore. Leggete, perché secondo Calvino leggere è meglio che ascoltar leggere ad alta voce.

Ascoltare o leggere è questione di controllo

Ascoltare qualcuno che legge ad alta voce è molto diverso da leggere in silenzio. Quando leggi, puoi fermarti o sorvolare sulle frasi: il tempo sei tu che lo decidi. Quando è un altro che legge è difficile far coincidere la tua attenzione col tempo della sua lettura: la voce va o troppo svelta o troppo piano.

L’arte del rimpallo

Quando sei entrato nella sede della casa editrice e hai esposto agli uscieri il problema dei volumi male impaginati che vorresti cambiare, t’hanno detto dapprima di rivolgerti all’Ufficio Commerciale; poi, dato che hai aggiunto che non era solo il cambio dei volumi che t’interessava ma una spiegazione dell’accaduto, t’hanno indirizzato all’Ufficio Tecnico; e quando hai precisato che ciò che ti sta a cuore è il seguito dei romanzi che si interrompono, — Allora è meglio che lei parli col dottor Cavedagna, — hanno concluso. — S’accomodi in anticamera; ci sono già altri che aspettano; verrà il suo turno.

Così, facendoti largo tra gli altri visitatori, hai sentito il dottor Cavedagna ricominciare più volte il discorso del manoscritto che non si trova, rivolgendosi ogni volta a persone diverse, te compreso, ogni volta interrotto prima di rendersi conto dell’equivoco, da visitatori o da altri redattori e impiegati.

Meno male che c’è LUI!

Capisci subito che il dottor Cavedagna è quel personaggio indispensabile in ogni organico aziendale sulle cui spalle i colleghi tendono istintivamente a scaricare tutti gli incarichi più complicati e spinosi. Appena stai per parlargli arriva qualcuno che gli porta il piano di lavorazione dei prossimi cinque anni da aggiornare, o un indice dei nomi a cui bisogna cambiare tutti i numeri delle pagine, o un’edizione di Dostojevskij da ricomporre da cima a fondo perché ogni volta che c’è scritto Maria adesso bisogna scrivere Mar’ja e ogni volta che c’è scritto Pjotr va corretto in Pétr.

Lui dà retta a tutti, pur sempre angustiato al pensiero d’aver lasciato a mezzo la conversazione con un altro postulante, e appena può cerca di rabbonire i più impazienti assicurandoli che non li ha dimenticati, che ha presente il loro problema: — Abbiamo vivamente apprezzato l’atmosfera fantastica… (– Come? — sussulta uno storico delle scissioni trotzkiste in Nuova Zelanda).
— Forse lei dovrebbe attenuare le immagini scatologiche… (– Ma che dice! — protesta uno studioso di macroeconomia degli oligopoli).

Improvvisamente il dottor Cavedagna sparisce. I corridoi della casa editrice sono pieni d’insidie: vi si aggirano collettivi teatrali d’ospedali psichiatrici, gruppi dediti alla psicoanalisi di gruppo, commandos di femministe. Il dottor Cavedagna rischia a ogni passo d’essere catturato, assediato, inghiottito.

Ma dove l’abbiamo messo il manoscritto?

Lei è venuto per il manoscritto? E in lettura, no, sbagliavo, è stato letto con interesse, certo che mi ricordo!, notevole impasto linguistico, sofferta denuncia, non l’ha ricevuta la lettera?, ci dispiace pertanto doverle annunciare, nella lettera c’è spiegato tutto, e già un po’ che l’abbiamo mandata, le poste tardano sempre, la riceverà senz’altro, i programmi editoriali troppo carichi, la congiuntura non favorevole, vede che l’ha ricevuta?, e cosa diceva più?, ringraziandola d’avercelo fatto leggere sarà nostra premura restituirle, ah lei veniva per ritirare il manoscritto?, no, non l’abbiamo mica ritrovato, abbia pazienza ancora un po’, salterà fuori, non abbia paura, qua non sì perde mai niente, proprio adesso abbiamo ritrovato dei manoscritti che era da dieci anni che li cercavamo, oh, non tra dieci anni, il suo Io ritroveremo anche prima, almeno speriamo, ne abbiamo tanti di manoscritti, delle cataste alte così, se vuole le facciamo vedere, si capisce che lei vuole il suo, mica un altro, ci mancherebbe, volevo dire che teniamo lì tanti manoscritti che non ce ne importa niente, figuriamoci se buttiamo via il suo che ci teniamo tanto, no, non per pubblicarlo, ci teniamo per darglielo indietro.

Chi parla così è un omino rinsecchito e ingobbito che sembra rinsecchirsi e ingobbirsi sempre di più ogni volta che qualcuno lo chiama, lo tira per una manica, gli sottopone un problema, gli scarica tra le braccia una pila di bozze, «Dottor Cavedagna!»,

«Senta, dottor Cavedagna!», «Chiediamolo al dottor Cavedagna!», e lui ogni volta si concentra sul quesito dell’ultimo interlocutore, gli occhi fissi, il mento che vibra, il collo che si torce sotto lo sforzo di tenere in sospeso e in evidenza tutte le altre questioni non risolte, con la pazienza sconsolata delle persone troppo nervose e il nervosismo ultrasonico delle persone troppo pazienti.

Chi parla così è un omino rinsecchito e ingobbito che sembra rinsecchirsi e ingobbirsi sempre di più ogni volta che qualcuno lo chiama, lo tira per una manica, gli sottopone un problema, gli scarica tra le braccia una pila di bozze, «Dottor Cavedagna!»,

«Senta, dottor Cavedagna!», «Chiediamolo al dottor Cavedagna!», e lui ogni volta si concentra sul quesito dell’ultimo interlocutore, gli occhi fissi, il mento che vibra, il collo che si torce sotto lo sforzo di tenere in sospeso e in evidenza tutte le altre questioni non risolte, con la pazienza sconsolata delle persone troppo nervose e il nervosismo ultrasonico delle persone troppo pazienti.

Ma quanti sono a cercare realizzazione nella carta?

Sei capitato qui in un momento in cui a gravitare intorno alle case editrici non sono più come una volta soprattutto gli aspiranti poeti o romanzieri, le candidate poetesse o scrittrici; questo è il momento (nella storia della cultura occidentale) in cui a cercare la propria realizzazione sulla carta non sono tanto degli individui isolati quanto delle collettività: seminari di studio, gruppi operativi, équipes di ricerca, come se il lavoro intellettuale fosse troppo desolante per essere affrontato in solitudine.

La figura dell’autore è diventata plurima e si sposta sempre in gruppo, perché nessuno può essere delegato a rappresentare nessuno: quattro ex carcerati di cui uno evaso, tre ex ricoverati con l’infermiere e manoscritto dell’infermiere. Oppure sono delle coppie, non necessariamente ma tendenzialmente marito e moglie, come se la vita in coppia non avesse miglior conforto che la produzione di manoscritti.

Ognuno di questi personaggi ha chiesto di parlare col responsabile d’un dato settore o il competente d’una data branca, ma finiscono tutti per essere ricevuti dal dottor Cavedagna. Ondate di discorsi in cui affluiscono i lessici delle discipline e delle scuole di pensiero più specializzate e più esclusive si riversano su questo anziano redattore che a una prima occhiata hai definito «omino rinsecchito e ingobbito» non perché sia più omino, più rinsecchito, più ingobbito di tanti altri, né perché le parole «omino rinsecchito e ingobbito» facciano parte del suo modo d’esprimersi, ma perché sembra venuto da un mondo in cui ancora — no: sembra uscito da un libro in cui ancora s’incontrano — ecco: sembra venuto da un mondo in cui si leggono ancora libri in cui s’incontrano «omini rinsecchiti e ingobbiti». Senza farsi frastornare, lascia che le problematiche scorrano sulla sua calvizie, scuote il capo, e cerca di delimitare la questione nei suoi aspetti più pratici: — Ma non potrebbe mica, scusi sa?, le note a pie di pagina farle entrare tutte nel testo, e il testo concentrarlo un tantino, e magari, veda un po’ lei, metterlo come nota a pie di pagina?

Che importa il nome in copertina!

«Che importa il nome dell’autore in copertina? Trasportiamoci col pensiero di qui a tremila anni. Chissà quali libri della nostra epoca si saranno salvati, e di chissà quali autori si ricorderà ancora il nome. Ci saranno libri che resteranno famosi ma che saranno considerati opere anonime come per noi l’epopea di Ghilgamesh; ci saranno autori di cui sarà sempre famoso il nome ma di cui non resterà nessuna opera, come è successo a Socrate; o forse tutti libri superstiti saranno attribuiti a un unico autore misterioso, come Omero», — Ha sentito che bel ragionamento? — esclama Cavedagna; poi soggiunge: — E potrebbe anche aver ragione, questo è il bello…

Scuote il capo, come preso da un suo pensiero; un po’ ridacchia un po’ sospira. Questo suo pensiero forse tu Lettore puoi leggerglielo in fronte. Da tanti anni Cavedagna sta dietro ai libri mentre si fanno, pezzo a pezzo, vede libri nascere e morire tutti i giorni, eppure i veri libri per lui restano altri, quelli del tempo in cui erano per lui come messaggi d’altri mondi. Così gli autori; lui ha a che fare con loro tutti i giorni, conosce le loro fissazioni, irresolutezze, suscettibilità, i loro egocentrismi, eppure gli autori veri restano quelli che per lui erano solo un nome sulla copertina, una parola che faceva tutt’uno col titolo, autori che avevano la stessa realtà dei loro personaggi e dei luoghi nominati nei libri, che esistevano e non esistevano allo stesso tempo, come quei personaggi e quei paesi. L’autore era un punto invisibile da cui venivano i libri, un vuoto percorso da fantasmi, un tunnel sotterraneo che metteva in comunicazione gli altri mondi coi pollaio della sua infanzia…

Che bello leggere in un pollaio!

– Io sono un lettore, solo un lettore, non un autore, — t’affretti a dichiarare, come chi si lancia al soccorso d’uno che sta per mettere il piede in fallo.
– Ah sì? Bravo, bravo, sono proprio contento! — E l’occhiata che ti rivolge è davvero di simpatia e di gratitudine. — Mi fa piacere. Di lettori davvero, io ne incontro sempre meno…

Una vena confidenziale lo prende; si lascia trasportare; dimentica le altre incombenze; ti chiama in disparte: — Da tanti anni lavoro in casa editrice… mi passano per le mani tanti libri… ma posso dire che leggo? Non è questo che io chiamo leggere… Al mio paese c’erano pochi libri, ma io leggevo, allora sì che leggevo… Penso sempre che quando andrò in pensione tornerò al mio paese e mi rimetterò a leggere come prima. Ogni tanto metto da parte un libro, questo me lo leggerò quando vado in pensione, dico, ma poi penso che non sarà più la stessa cosa… Stanotte ho fatto un sogno, ero al mio paese, nel pollaio di casa mia, cercavo, cercavo qualcosa nel pollaio, nel cesto dove le galline fanno le uova, e cosa ho trovato?, un libro, uno dei libri che ho letto quand’ero ragazzo, un’edizione popolare, le pagine tutte sbrindellate, le incisioni in bianco e nero colorate da me, coi pastelli… Sa? Da ragazzo per leggere mi nascondevo nel pollaio… Fai per spiegargli il motivo della tua visita. Lo capisce al volo, tanto che non ti lascia neppure continuare.

Che casino ha fatto la tipografia

– Anche lei, anche lei, i sedicesimi mescolati, lo sappiamo bene, i libri che cominciano e non continuano, tutta l’ultima produzione della casa è sottosopra, ci capisce qualcosa, lei? noi non capiamo più un accidente di niente, caro signore.

Tiene tra le braccia una pila di bozze; la posa delicatamente come se la minima oscillazione potesse sconvolgere l’ordine dei caratteri tipografici. — Una casa editrice è un organismo fragile, caro signore, — dice, — basta che in un punto qualsiasi qualcosa vada fuori posto e il disordine s’estende, il caos s’apre sotto i nostri piedi. Scusi, sa?, quando ci penso mi vengono le vertigini — . E si tappa gli occhi, come perseguitato dalla visione di miliardi di pagine, di righe, di parole che vorticano in un pulviscolo.

– Su, su, dottor Cavedagna, non la prenda su questo tono! — Ecco che tocca a te consolarlo. — Era una semplice curiosità di lettore, la mia… Ma se lei non può dirmi niente…
– Quello che so, glie lo dico volentieri, — dice il redattore. — Stia a sentire.

Lascialo scrivere al computer

«La sede dell’ORHLW («Organizzazione per la Produzione Elettronica d’Opere Letterarie Omogeneizzate»), come Lei vede dalla carta intestata, è situata nel vecchio quartiere di Wall Street. Da quando il mondo degli affari ha disertato questi solenni edifici, il loro aspetto chiesastico, derivato dalle banche inglesi, è diventato quanto mai sinistro. Suono a un citofono. — Sono Ermes. Vi porto l’inizio del romanzo di Flannery — . M’aspettavano da un pezzo, da quando avevo telegrafato dalla Svizzera che ero riuscito a convincere il vecchio autore di thrillers ad affidarmi l’inizio del romanzo che non riusciva più a portare avanti e che i nostri computers sarebbero stati in grado di completare facilmente, programmati

Se contratto incombe e sei bloccato, allora…

Da alcuni mesi Flannery è entrato in crisi; non scrive più un rigo; i numerosi romanzi che ha cominciato e per i quali ha ricevuto anticipi da editori di tutto il mondo, coinvolgendo finanziamenti bancari internazionali, questi romanzi in cui le marche dei liquori bevuti dai personaggi, le località turistiche frequentate, le forniture di modelli di haute-couture, d’arredamenti, di gadgets sono state già fissate da contratti attraverso agenzie pubblicitarie specializzate, restano incompiuti, in balia d’una crisi spirituale inspiegabile e imprevista. […]

Lo scrittore irlandese è pronto ad accettare contratti dalle ditte interessate a far figurare nel romanzo marche di whisky o di champagne, modelli d’auto, località turistiche.

«Pare che la sua immaginazione sia stimolata da quante più commissioni pubblicitarie riceve». […]

Una squadra di scrittori-ombra, esperti nell’imitare lo stile del maestro in tutte le sfumature e i manierismi, si tiene pronta a intervenire per turare le falle, rifinire e completare i testi semilavorati in modo che nessun lettore possa distinguere le parti scritte da una mano o dall’altra… (Pare che il loro contributo abbia già avuto una parte non indifferente nell’ultima produzione del Nostro). Ma adesso Flannery dice a tutti d’aspettare, rinvia le scadenze, annuncia cambiamenti di programma, promette di rimettersi al lavoro al più presto, rifiuta offerte d’aiuto. Secondo le voci più pessimiste, si sarebbe messo a scrivere un diario, un quaderno di riflessioni, in cui non succede mai niente, solo i suoi stati d’animo e la descrizione del paesaggio che egli contempla per ore dal balcone, attraverso un cannocchiale…».

La scissione del Potere Apocrifo

il Potere Apocrifo, dilaniato da lotte intestine e sfuggito al controllo del suo fondatore Ermes Marana, s’è scisso in due tronconi: una setta d’illuminati seguaci dell’Arcangelo della Luce e una setta di nichilisti seguaci dell’Arconte dell’Ombra. I primi sono persuasi che in mezzo ai libri falsi che dilagano nel mondo vadano rintracciati i pochi libri portatori d’una verità forse extraumana o extraterrestre, i secondi ritengono che solo la contraffazione, la mistificazione, la menzogna intenzionale possono rappresentare in un libro il valore assoluto, una verità non contaminata dalle pseudo-verità imperanti.

La crisi di Flannery aveva messo in agitazione le due fazioni rivali del Potere Apocrifo, che, con opposte speranze, avevano sguinzagliato i loro informatori nelle vallate intorno allo chalet del romanziere. Quelli dell’Ala d’Ombra, sapendo che il gran fabbricante di romanzi in serie non riusciva più a credere nei suoi artifici, s’erano convinti che il suo prossimo romanzo avrebbe segnato il salto dalla malafede dozzinale e relativa alla malafede essenziale e assoluta, il capolavoro della falsità come conoscenza, dunque il libro che essi da tanto tempo cercavano. Quelli dell’Ala dì Luce invece pensavano che dalla crisi d’un tal professionista della menzogna non poteva nascere che un cataclisma dì verità, e tale reputavano fosse il diario dello scrittore di cui tanto si parlava…

Da: Italo Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, Einaudi, 1979

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Mario Mancini
Mario Mancini

Written by Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.

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