Complottismo e bias cognitivi

Siamo veramente tutti immuni?

Mario Mancini
7 min readDec 16, 2020

Estratto da: Manuela Cuadrado, Oltre Covid. La società aperta e il futuro della rete, goWare

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Un particolare di uno dei poster del film di Stanley Kubrick “Il dottor Stranamore”, 1964.

L’eldorado del complottismo

Nel diffondersi della Pandemia il complottismo ha trovato il suo eldorado. È avvenuto spontaneamente e talvolta incoraggiato, in modo grezzo e brutale, anche ai massimi livelli istituzionali. Alla fine si è visto che il complottismo può essere un’arma politica micidiale nelle democrazie dove la libertà di stampa e di espressione è uno dei pilastri del sistema.

Anche questa faccenda non è una novità. Basterebbe pensare quanto il mito della vittoria mutilata in Italia e della pugnalata alle spalle in Germania abbiano contribuito all’affermazione del fascismo e del nazismo nel periodo tra le due guerre.

Ma come possono attecchire le teorie complottiste, a volte palesemente assurde e prive di ogni fondamento fattuale o semplicemente logico?

Un approccio interessante

È interessante l’approccio dei bias cognitivi che Manuela Cuadraro propone nel suo secondo libro, da poco in libreria, Oltre il Covid. Oltre Covid. La società aperta e il futuro della rete (edito da goWare). Si tratta di un saggio con inserti narrativi nella quale l’autrice, che ha personalmente attraversato il calvario del Covid, traccia le molteplici accelerazioni che la pandemia ha impresso al passaggio dall’economia e dallo stile di vita tradizionali alla nuova, inquietante e acerba meta realtà del ciberspazio. Com’è possibile mantenere in questa nuova dimensione la società aperta e i valori progressivi che hanno caratterizzato lo sviluppo delle società democratiche moderne. Questo è l’interrogativo di fondo a cui cerca di rispondere il libro.

Di seguito vi proponiamo un estratto su un tema di bruciante attualità.

L’eco assordante di una bufala

Il complottismo non è nato con Facebook. Ogni mezzo di comunicazione, da sempre, ha dentro di sé dei “nani” che in cambio di un vassoio di biscotti ripetono ad alta voce un copione già scritto.

Chi ascolta quelle parole, a sua volte le ripete, creando una cassa di risonanza grande quanto il mondo.

Sulle dinamiche alla base della diffusione delle fake news ultimamente si sono versati fiumi d’inchiostro. Sappiamo bene che concorrono fattori sociologici e soprattutto bias cognitivi, ovvero giudizi o pregiudizi basati sull’interpretazione delle informazioni immediatamente disponibili, che spesso non vengono adeguatamente approfondite né logicamente correlate.

Una “scorciatoia mentale” (euristica) che dovrebbe aiutarci a prendere velocemente decisioni, e che invece troppo spesso ci fa commettere passi falsi. Non importa il nostro livello di istruzione o il ruolo che rivestiamo in società: nessuno è immune da questo rischio.

I bias cognitivi

Quello dei bias cognitivi è un argomento davvero ampio che merita di essere approfondito.[1] Qui vorrei richiamarne alla vostra attenzione alcuni, particolarmente utili per i nostri ragionamenti successivi:

1) Bias della banda musicale: tendiamo a correre tutti dietro allo stesso “carro”, ovvero, se una notizia o un’opinione mostra di avere già un gran numero di seguaci, siamo portati a crederla più affidabile. Chi ha un’opinione contraria alla massa, tende quindi a non parlarne per paura di essere ostracizzato dai più (Spirale del Silenzio[2]);

2) Bias di conferma: diamo maggiore credibilità a notizie che confermano opinioni preconcette, anziché a quelle che potrebbero metterle in crisi. Strettamente legato all’illusione della frequenza, che ci porta a notare nella realtà intorno a noi ciò che cattura i nostri pensieri (come è accaduto a me nei giorni in cui valutavo se acquistare o meno una 500 Fiat e mi sembrava di vederle spuntare a ogni incrocio). Altro bias collegato è l’effetto struzzo, che ci porta a nascondere la testa sotto la sabbia ogni qualvolta veniamo messi di fronte a fatti che provano l’inattendibilità delle nostre teorie.

3) Bias di ancoraggio: prendiamo per buone le prime informazioni che ci vengono fornite, relegando in secondo piano quelle che arrivano in seguito (motivo per cui le smentite di eventuali bufale vengono praticamente ignorate);

4) Illusione dello schema (o potremmo dire “del complotto”): vediamo correlazioni tra fatti assolutamente scollegati fra loro;

5) Bias della negatività: ci porta a dare maggiore rilevanza alle notizie negative rispetto a quelle positive;

6) Bias della magnitudo (o dell’ordine di grandezza) che ci rende difficile valutare i numeri nella loro entità oggettiva (i migranti sbarcati a Lampedusa sono tanti o pochi? I numeri del contagio da Coronavirus sono preoccupanti o no?)

7) Effetto Dunning-Kruger: ci fa sopravvalutare le nostre conoscenze in un campo definito, dandoci l’illusione di essere diventati esperti. Come i no-vax che attaccano i virologi. Una presunzione spesso collegata alla mancanza di fiducia nelle conoscenze consolidate e le figure ad esse collegate (medici, professori, eccetera).

L’autorevolezza informativa

Mi piacerebbe aggiungere anche un aspetto che spesso viene lasciato in secondo piano: l’autorevolezza informativa che nasce dalla presunta neutralità del mezzo tecnologico.

Mi spiego.

Quante volte abbiamo utilizzato l’espressione “l’ho sentito alla radio” o “l’ho letto su Internet” o ancora “l’ho visto in tv?”

Tante. Eppure sono basicamente scorrette: di qualunque cosa si parli, non l’abbiamo sentito “alla radio” ma durante programma radiofonico X trasmesso dall’emittente Z e condotto dal simpatico Y; non l’abbiamo letto “su internet” ma sul magazine online ABC; non l’abbiamo visto in televisione ma nel programma televisivo della domenica pomeriggio.

Eppure, tutti questi dettagli nella nostra memoria svaniscono, oscurati dal mezzo in sé. Questo perché “la radio”, “la tv” o “internet”, portano con sé una parvenza di oggettività che sembra dare spessore al nostro discorso, qualunque piega decidiamo di dargli.

Dire: “l’ho sentito alla trasmissione di Barbara d’Urso” o “l’ho visto su Report” crea due contesti ben distinti, che il nostro interlocutore terrà in considerazione per farsi un’opinione su quanto gli stiamo dicendo. Se evochiamo il mezzo, però, il contesto scompare. Resta solo il contenuto che gli stiamo riportando noi. E più il funzionamento tecnico del mezzo è poco chiaro (vedi la storia dei famosi “nani”) più siamo portati a renderlo rilevante come contenitore semantico, perché la sua autorità non può essere smentita.

Difficilmente nella piccola locanda siciliana sarebbe capitato qualcuno che conosceva il funzionamento delle onde radio e come era organizzata una vera redazione radiofonica.

Parimenti, oggi è molto difficile trovare qualcuno che pur utilizzando quotidianamente internet e i social media sia in grado di comprenderne il funzionamento a livello tecnico, e quindi comprendere secondo quali logiche una notizia gli appare nello streaming di Facebook e un’altra no.

Vittime dei “nani di Internet”

Una notizia come questa, ad esempio:

È capitata anche a voi nello streaming? Non c’è da stupirsi: a giugno 2020 ha letteralmente fatto il giro del web, rilanciata da migliaia di complottisti più o meno consapevoli di essere tali.

Se le fake news d’epoca sulla Spagnola vi hanno strappato un sorriso, scommetto che adesso la voglia di ridere vi è passata[3].

Sapreste dire come ha fatto questa notizia ad arrivare sotto i vostri occhi?

Sapreste indicarne la fonte originale?

Sapreste verificare se quanto riportato è, almeno in parte, vero o no?

Se non è così, allora siete anche voi vittime dei “nani di internet”. Che a differenza dei loro antenati della radio, non si limitano a parlare, ma hanno anche imparato ad ascoltare i discorsi delle persone sedute nella locanda globale. Ed è proprio da lì che traggono ispirazione. Che in questo modo diventano ancora più credibili. E, con un’adeguata pianificazione, virali.

Le conseguenze del negazionismo

Prendiamo quanto è accaduto nella primavera 2020 negli Stati Uniti: molti “negazionisti” hanno iniziato a diffondere contenuti in cui definivano il coronavirus una bufala, adducendo motivazioni non troppo diverse da quelle della Febbre Spagnola.

I nani digitali hanno soffiato sul fuoco e la cattiva politica non si è lasciata sfuggire una facile occasione di consenso. Una miopia che ha portato a una catena di azioni talmente scellerate da sembrare la sceneggiatura di un brutto film horror anni Ottanta: assalti ai negozi d’armi; Covid party per diffondere il contagio “leggero”; rimedi pseudocasalinghi per non “dare da mangiare” alle odiate case farmaceutiche, tipo iniettarsi disinfettanti in vena, fino alla pubblicazione di video deliranti in cui le misure di contenimento del contagio, come l’obbligo delle mascherine, venivano presentate come “l’ordine di una dittatura comunista” e un’offesa ai valori cristiani della nazione[4].

Insomma, gli “scettici” hanno sfornato un contenuto complottista dopo l’altro e sfidato COV Sars 2 a una gara di viralità.

Indovinate chi ha vinto?

In realtà non serve neanche indovinare, lo abbiamo letto sulle pagine dei giornali. Gli Stati Uniti hanno avuto una diffusione del contagio spaventosa, a giugno 2020 contavano oltre 4 milioni di ammalati e 144 mila morti e i numeri non accennavano a diminuire. Ma anche di fronte a questa spaventosa evidenza, i negazionisti persistevano sulle loro posizioni, nonostante le testimonianze di qualche ex accolito del complottismo che, salvato in extremis dai medici dal coronavirus o da qualche rimedio fai da te, ammetteva pubblicamente di essersi sbagliato.

I “nani” di Internet avevano usato sapientemente i bias per creare una macchina da infodemia in grado di autoalimentarsi.

Come ci sono riusciti? Semplice: applicando un vecchio trucco da contrabbandieri.

Note

[1] Molto interessante a questo proposito l’articolo di AgendaDigitale.eu di Daria Grimaldi, docente di psicologia sociale delle comunicazioni di massa all’Università di Napoli Federico II: https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/perche-ci-credo-la-credulita-online-come-strumento-di-influenza-sociale/ — Chi vuole approfondire ulteriormente, amerà “Judgment under Uncertainty: Heuristics and Biases” scritto da Daniel Kanheman con la collaborazione di Amos Tversky e Paul Slovic, in cui, tra l’altro, si evidenziano gli effetti di queste dinamiche psicologiche sull’economia reale.

[2] La spirale del silenzio — Per una teoria dell’opinione pubblica (2002) — di Elisabeth Noelle Neumann

[3] Se vi interessa il debunking, Giornalettismo ha mirabilmente “distrutto” questa fake qui: https://www.giornalettismo.com/influenza-spagnola-bufala-vaccino/

[4] In questo video trasmesso dal Telegraph potete trovare alcune di queste idee espresse dalla viva voce di alcuni cittadini dello Stato della Florida durante un incontro con i rappresentanti locali: https://www.youtube.com/watch?v=DaFSH0K4BdQ

Manuela Cuadrado (Milano, 1980) è laureata in Lingue. Ha lavorato come giornalista e collaborato per anni con diverse agenzie di comunicazione e web agency. Oggi è account manager in Breva Digital Communication, che ha contribuito a fondare nel 2014. Fa parte del braintrust Naìma per l’innovazione d’impresa. Collabora con diverse realtà formative, tra cui Fondazione IDI e La Palestra delle Professioni Digitali. Per goWare nel 2019 ha pubblicato anche Il Marketing Digitale per l’impresa BtoB.

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Mario Mancini
Mario Mancini

Written by Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.

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