Chiara Samugheo: Ciak si scatta

Bella come una diva: scrutando dentro il mondo del cinema

Mario Mancini
7 min readJan 28, 2023

di Giovanna Sparapani

Estratto dal libro Susanne John, Giovanna Sparapani, Messe a fuoco. Storie e battaglie di 40 donne fotografe, goWare, 2022 (tutti i formati)

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Dall’alto in senso orario: Pier Paolo Pasolini, Federico Fellini, Claudia Cardinale, Gina Lollobrigida, Sofia Loren, Marcello Mastroianni, Luchino Visconti, Monica Vitti. Tutti ritratti della fotografa Chiara Samugheo.

Introduzione

I ritratti di Chiara Samugheo di primedonne, divi e autori fanno rivivere la stagione d’oro del cinema italiano, quando non era secondo a nessuno e stabiliva la Regola di quell’arte. Chiara Samugheo, ella stessa magnetica e fascinosa come le dive dei suo scatti, ci ha lasciato di recente: è scomparsa a Bari, sua città natale, il 13 gennaio 2022.

Da Bari a Milano

Siamo agli inizi degli ani ’50 e la Samugheo racconta (a “la Repubblica”) di essere “scappata” da Bari per andare a Milano, dove la sua esistenza cambiò completamente. Qui incontrò, oltre a un ambiente stimolante e innovatore, anche il compagno della sua vita, Pasquale Prunas che l’avviò alla fotografia e la sollecitò a cambiare il nome da Paparella in Samugheo.

Paparella suonava male — confida la fotografa a “la Repubblica” — e con Pasquale (che era sardo di origine, di una facoltosa famiglia) ci ritrovammo, giocando con la cartina della Sardegna, a scegliere il nome di un paese, Samugheo appunto.

Suggestivo, ma non è che fosse un nome facile da dire, specialmente per un non madrelingua e, visto che la giovane era destinata a una brillante carriera internazionale, quel suono “ugheo” sarebbe rimasto piuttosto ostico fuori dalla penisola. Bella però l’idea di prendere un nome d’arte di un paese della “selvaggia” Barbagia.

Non è un caso che la Sardegna sia poi entrata spesso nell’obiettivo di Chiara Samugheo che è anche diventata cittadina onoraria del paese barbaricino.

A “Le Ore”

Dopo un apprendistato come fotografa di cronaca, la Samugheo fu spronata da Prunas a collaborare come free-lancer per Le Ore che egli aveva co-fondato nel 1953 e del quale era caporedattore.

Le Ore è stata la prima rivista-rotocalco nazional-popolare di costume ad occuparsi in modo intensivo del mondo del cinema. Era quasi interamente composta da fotografie, accompagnate da sintetiche didascalie. C’erano anche rubriche politico-culturali e quella di poesia era curata da Salvatore Quasimodo.

Sulla rivista le grandi dive dell’epoca occupavano le copertine, in pose pudicamente osé le quali potevano anche suonare come una controllata sfida alla moralità pubblica ancora sotto la cappa di Pio XII.

Ma c’erano già state Clara Calamai in Ossessione (su Prime Video) e Silvana Mangano in Riso Amaro (su RaiPlay) a rompere il ghiaccio.

La rivista era vicina alla sinistra per poi trasformarsi, agli inizi degli anni Sessanta, in un magazine politico di area socialista.

L’importanza de “Le Ore”

Per Le Ore la Samugheo firmò molti servizi e anche alcuni suoi ritratti finirono in copertina. In una intervista televisiva ha dichiarato:

Ho letteralmente lanciato le dive. Sofia non era nessuno. “Chiara ti prego — ricorda la fotografa — ti prego abbiamo bisogno del tuo aiuto” e così le ho fatto le fotografie. Ma prima non era nessuno.

Forse è un po’ esagerato, ma indubbiamente le dive dell’epoca devono una aliquota della loro abbondante notorietà proprio a Le Ore e agli scatti della Samugheo mollettati nelle edicole di tutta italia.

La rivista sospese le pubblicazioni nel 1967 e le riprese nel 1971 prima come rivista erotica e poi come settimanale hardcore legato particolarmente alle figure di Ilona Staller e Moana Pozzi. Nel 2000 ha cessato definitivamente le pubblicazioni.

La vera vocazione

Sempre al quotidiano “la Repubblica” la fotografa barese ha confidato quale era la sua vera aspirazione come fotografa.

Dopo aver fotografato Maria Schell nel 1957 al festival di Venezia per Cinema Nuovo, che ne fece la copertina, diventai, mio malgrado, fotografa delle star. Tanto che ho pubblicato circa un migliaio di copertine per riviste come Stern, Paris Match, Epoca, Life, Vanity Fair, Vogue. Mi hanno dato da vivere, certo, ma il mio sogno era fare la fotoreporter.

Ed è diventata davvero una grande fotoreporter internazionale. Ma questa storia è meglio che la racconti Giovanna Sparapani nel profilo di Chiara Samugheo estratto dal bel libro , Messe a fuoco. Storie e battaglie di 40 donne fotografe, goWare, 2022.

Un’ultima cosa. Leggo su “artemagazine” che la Samugheo ha consegnato al Centro Studi e Archivio della Comunicazione dell’Università di Parma un archivio, composto da 13.124 stampe, 126.928 diapositive, 11.899 negativi, 14 frammenti di pellicola cinematografica, 156 disegni di Pasquale Prunas, 3 album fotografici, 1.287 buste di estratti, 12 volumi rilegati della rivista “Le Ore”. Un giacimento d’oro per gli storici del costume e della mentalità.

Chiara Samugheo con la Nikon. Per lei però il modello o la tecnologia della macchina non ha mai significato molto. “La macchina è niente” ha dichiarato in una intervista.

Quando cominciai a fare la fotografa erano gli anni Cinquanta. Erano tempi duri ma anche, in un certo senso, lieti.
C’era la Guerra fredda, ma circolava la speranza che le cose sarebbero cambiate e che tutti coloro che lo avessero voluto, avrebbero potuto rompere — con le immagini, le parole, i gesti — quel muro che li separava da un mondo migliore. Diciamo che quello era un tempo nel quale ci si poteva illudere.
Chiara Samugheo

Persona piuttosto che star

di Giovanna Sparapani

Grandi cambiamenti

Chiara Paparella, nata a Bari nel 1925, agli inizi degli anni Cinquanta, opponendosi decisamente alle aspettative della famiglia, lasciò la Puglia per recarsi a Milano, dove entrò in contatto con il vivace ambiente intellettuale in cui gravitavano personaggi del calibro di Giorgio Strehler, Enzo Biagi, Alberto Moravia e altri, tra cui Pasquale Prunas, grafico, editore ed esperto in questioni meridionali, che diventò suo compagno di vita.

Seguendo i suoi consigli, Chiara abbandonò il cognome di nascita per assumere quello di Samugheo, paese della Sardegna in provincia di Oristano, nella Barbagia. L’amore per questa regione è testimoniato da alcuni suoi libri fotografici, tra cui il famoso Natura magica della Sardegna, in cui la fotografa propone un viaggio ideale all’interno dei territori sardi, mettendo in primo piano una natura primitiva e fantastica.

Le ricerche dell’antropologo italiano Ernesto de Martino — nel 1959 uscì il suo famoso libro Sud e magia — volte a mettere a fuoco la sopravvivenza di pratiche magiche durante alcune cerimonie diffuse nel meridione d’Italia, furono pietre miliari per la sua formazione.

Verso il fotogiornalismo

L’incontro con Federico Patellani, caposcuola del fotogiornalismo in Italia, noto per i suoi reportage rivolti a un’analisi approfondita della società italiana del dopoguerra, fu di fondamentale importanza per instradare Chiara nel complesso e variegato mondo della fotografia.

I suoi primi lavori indagano gli aspetti magico-rituali che sopravvivevano in alcuni paesi del sud d’Italia, ritraendo con sguardo lucido e attento i cosiddetti “tarantolati” che si abbandonano a danze convulse e catartiche al suono di musiche estremamente concitate, secondo una tradizione tipica della terra salentina. Notevoli sono anche i suoi reportage di natura sociale e di denuncia quando ritrae le baraccopoli napoletane e le zingare in carcere.

Dopo questo primo periodo dedicato a immagini di cronaca, viene attratta prepotentemente dal mondo del cinema e, attraverso i ritratti delle dive più famose, riesce a raccontare uno spaccato della società italiana del secondo dopoguerra.

Il cinema

A partire dalla fine degli anni Cinquanta, i famosi anni della “dolce vita”, sfilano davanti al suo obiettivo le maggiori star nazionali e internazionali dell’epoca, tra cui le grandi Liz Taylor, Monica Vitti, Sofia Loren, Claudia Cardinale, tanto per citarne solo alcune.

Le sue foto furono ospitate nelle pagine delle più importanti riviste illustrate dell’epoca, di cui spesso fu chiamata a realizzare le copertine con i suoi scatti che ci restituiscono le attrici nella loro realtà di donne.

Colta, audace e coraggiosa, “bella al pari delle dive che andava riprendendo”, la Samugheo diventò famosa perché seppe interpretare in modo originale il fenomeno del divismo che esplose con forza in quegli anni.

Un stile personalissimo

Profonda conoscitrice della fotografia straight americana e del cinema neorealista italiano, mise a punto uno stile del tutto personale nel ritrarre le dive del tempo, di cui, al di là degli atteggiamenti di maniera imposte dallo star system, seppe cogliere la loro personalità autentica, attraverso uno sguardo, un sorriso, una piccola ruga di espressione.

I suoi ritratti sono scattati al di fuori dei set ufficiali: per le sue magnifiche donne sceglieva luoghi in mezzo alla natura oppure ambienti urbani o l’interno delle loro abitazioni. Non più inquadrate come regine delle scene, le dive conservano anche alcune caratteristiche dei personaggi da loro interpretati, ma appaiono più reali, più vere, senza troppi vezzi e bamboleggiamenti che contribuivano a creare intorno a loro un’atmosfera finta perché troppo costruita.

Tanti sono i primi piani, pochi i nudi: gli scatti sono tutti a colori, anche se le attrici erano interpreti di film in bianco e nero. Chiara Samugheo non amava trovarsi davanti a donne-oggetto, ammantate di un’aura da regine delle fiabe, anche se all’epoca nelle riviste si cercava l’evasione dalla realtà, mitizzando il superfluo e l’esteriorità delle situazioni.

L’essere donna

La fotografa tentò di ribellarsi alle esigenze pressanti dell’editoria commerciale, cercando un dialogo con le sue celebri modelle: si soffermava a parlare con loro per tirar fuori con i suoi scatti qualcosa di più profondo, che parlasse della loro personalità e del loro essere donne.

Gli abiti che indossavano durante le riprese fotografiche erano stupendi, ma spesso venivano ritratte senza troppi gioielli, con i capelli in pettinature morbide e naturali che non le facessero sembrare ingessate nelle loro pose artificiose.

Per realizzare i suoi lavori, la Samugheo ha usato macchine importanti, come una Hasselblad e una Rollei e per molto tempo è rimasta fedele al formato quadrato 6x6 che le ha permesso notevoli ingrandimenti; quando per praticità ha sentito il bisogno di usare strumenti più piccoli e leggeri, scelse la mitica Leica.

Da: Susanne John, Giovanna Sparapani, Messe a fuoco. Storie e battaglie di 40 donne fotografe, goWare, 2022, pp. 47–55

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Mario Mancini
Mario Mancini

Written by Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.

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