Bauhütte: La loggia dei muratori

Il primato del quotidiano

Mario Mancini
7 min readSep 8, 2019

di Leonardo Lardieri

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La teiera di di Marianne Brandt, 1925/27

Nel 1919…

Il potere sociale dell’arte

Formiamo una nuova comunità di artefici senza la distinzione di classe che alza un’arrogante barriera tra artigiano e artista. Insieme concepiamo e creiamo il nuovo edificio del futuro, che abbraccerà architettura, scultura e pittura in una sola unità e che sarà alzato un giorno verso il cielo dalle mani di milioni di lavoratori, come il simbolo di cristallo di una nuova fede.

Ecco dove ha radice probabilmente quel “renderci felici” di Paul Klee. Anche lui, almeno per qualche tempo, ha creduto al socialismo del Bauhaus (da Bauhütte, loggia dei muratori) e al potere di redenzione sociale dell’arte.

L’opera deve crescere sempre più alta, e quando il suo tempo sarà venuto, tanto meglio. Noi la dobbiamo ancora cercare. Ne abbiamo trovato delle parti, non ancora l’insieme. Noi non abbiamo ancora questa forza finale perché il popolo non è con noi. Ma noi cerchiamo un popolo. Noi abbiamo incominciato laggiù, al Bauhaus, con una comunità alla quale consacriamo tutto ciò che abbiamo.

Cos’è il Bauhaus oggi? Cosa resta di quella esperienza? Se l’evoluzione artistica seguisse un processo ingegneristico, come concepito da parte della comunità scientifica per la selezione naturale, allora tutto si ridurrebbe a una “ricerca e sviluppo”, all’individuazione di un “big data” che generi prodotti ottimali. Saremmo programmati per essere razionali. Ma le evidenze mostrano che non è così. La natura e l’arte non fanno progetti, ma trovano espedienti.

Design e razionalità

Progetto per un Edicola di Herbert Bayer, 1924

Il Bauhaus è l’emblema di un profondo e sofferto compromesso imperfetto tra velocità e correttezza, funzione e armonia secondo natura. Per questo i materiali usati possono essere naturali come il legno, o tecnologici come l’acciaio, il vetro o la plastica, purché rispondano a requisiti di leggerezza, trasparenza, bellezza del design e totale razionalità.

Ne consegue che per comprendere l’evoluzione di una creazione Bauhaus dovremmo trattarla come un artefatto e sottoporlo a “ingegneria inversa”, cioè scomporla come si fa con un congegno e cercare di capire, retrospettivamente, a quale domanda progettuale del passato evolutivo un certo ingranaggio è stata la risposta.

Non quadra: per Bauhaus le funzioni diventano il motore primo della creazione della forma, la tensione dell’arte non è solo legata alla rappresentazione, ma anche e soprattutto all’uso. L’arte gronda di inutilità come la natura. Bauhaus lo insegna ancora oggi, perché i tratti fissati in una popolazione biologica o creativa non sono per forza adattamenti: possono essere conseguenze non adattive di altri cambiamenti o risultato di processi casuali non selettivi.

La forma segue la funzione

Il progetto della “Casa del popolo” di Moisei Ginzburg e Ignaty Milinis a Mosca, 1928–1930.

L’arte si evolve non come un banale problem solving. La forma segue la funzione. L’onestà traccia il sentiero, perché non c’è motivo di nascondere la struttura di un oggetto o di un edificio, come l’acciaio o una trave, semplicemente perché questa è parte integrante del progetto. Vie le curve, dentro i cambiamenti “punteggiati”, la linea, la forma e i colori.

Ecco che l’avanguardistica “casa del popolo” Narkomfin di Mosca, costruita da Ginzburg e Milinis nel 1930, verrà riqualificata e trasformata in raffinati appartamenti, uffici e gallerie d’arte. Un parallelepipedo di 5 piani lungo 91 metri destinato ai dipendenti del Commissariato delle Finanze.

Speciali erano gli incastri delle cellule abitative, il tetto giardino, le finestre a nastro, gli spazi collettivi ubicati in un volume adiacente (asilo, mensa, lavanderia…).

Tutti elementi ispirati a Le Corbusier (esponente Bauhaus), che farà qualcosa di simile a Marsiglia, vent’anni dopo. Ai futuri inquilini saranno date due opzioni: una neutra, con pareti bianche, e un’altra dipinta sulla base dei colori autentici.

Prospetto de l’Unité d’Habitation di Le Corbusier a Marsiglia.

Immerso nel quotidiano

Il quotidiano è il movimento con cui l’uomo si tiene come a sua insaputa nell’anonimato umano. Il quotidiano è umano. La terra, il mare, la foresta, la luce, la notte, non rappresentano la quotidianità: essa è parte integrante della densa presenza dei grandi agglomerati urbani. La quotidianità non sta nel tepore delle nostre case, non negli uffici né nelle chiese, tantomeno nelle biblioteche o nei musei.

Si trova semmai per la strada. Bauhaus con la strada dialoga idealmente ancora oggi: arte, artigianato e industria, non c’è insegnamento di storia nella scuola, perché si suppone che tutto venga disegnato e creato come se fosse la prima volta, piuttosto che pensando ai precedenti.

La strada Bauhaus ha il carattere paradossale di essere più importante dei luoghi che unisce e di possedere più realtà vivente delle cose che riflette. Bauhaus strappa all’oscurità ciò che si nasconde, pubblica ciò che succede altrove, in segreto; lo deforma ma lo inserisce nel contesto sociale.

Nel quotidiano Bauhaus regna l’animazione ancora indeterminata, priva di responsabilità e di autorità, di direzione e di decisione, in quanto rigetta ogni inizio e respinge ogni fine, è una riserva di anarchia. L’uomo di Bauhaus è fondamentalmente “irresponsabile”: ha sempre visto tutto ma non è testimone di nulla; sa tutto ma non può risponderne,

Indipendentemente dai materiali

Haus am Horn, il prototipo abitativo costruito per la mostra di Bauhaus di Weimar del 1923. Progetto di Georg Muche

“Il Bauhaus è l’emblema di un profondo e sofferto compromesso imperfetto tra velocità e correttezza, funzione e armonia secondo natura. Per questo i materiali usati possono essere naturali come il legno, o tecnologici come l’acciaio, il vetro o la plastica” non per viltà ma per leggerezza: non è veramente presente.

All’esposizione del Bauhaus del 1923 viene presentata una costruzione in cemento armato, la Haus am Horn, una specie di scatola imbiancata in cui si cercava di combinare la massima economia con la massima comodità, tramite un’innovativa distribuzione degli spazi e arredamenti semplici e pratici. Da molti sarà considerata uno “scherzo architettonico”, freddo e funzionale.

Il quotidiano Bauhaus sfugge. Perché? Perché è privo di soggetto. Nello stesso tempo il quotidiano Bauhaus non appartiene all’obiettivo: il vivere quale potrebbe essere vissuto in una serie di atti tecnici indipendenti (rappresentati da una lampada, una sedia, una poltrona…), equivale alla sostituzione di una somma di azioni suddivise a questa presenza indefinita, a questo processo continuo (che non è però un tutto) grazie al quale siamo continuamente, anche se nei modi della discontinuità, in rapporto con l’insieme indeterminato delle possibilità umane.

Beninteso, il quotidiano tende costantemente ad appesantirsi di cose. Il quotidiano senza Bauhaus è l’ambiente in cui alienazioni, feticismi, reificazioni producono tutti i loro effetti, il quotidiano pesa soprattutto a chi non ha altra vita che il quotidiano della vita.

Bauhaus non dubita dell’essenza pericolosa del quotidiano, né del disagio che ci assale ogni volta che ce ne allontaniamo con un salto imprevedibile e, collocandoci di fronte ad esso, scopriamo appunto che non fronteggiamo nulla. L’esistenza quotidiana non ha mai avuto bisogno d’esser creata.

Bauhaus è la parte dell’eternità del quotidiano: non nasce e non muore, si trasforma.

Nel 2019 …

La lezione dell’antimonumentalismo

Lampada da tavolo, prototipo di Lucia Moholy, 1923/24

La pittura è in crisi, la videoarte stenta, tanto vale rifarsi gli occhi con un’esperienza artistica post-Bauhaus: il monumentalismo, il neo-monumentalismo. Anselm Kiefer, Anish Kapoor, Christian Boltanski, Marta Minujìn, Tomas Saraceno, Thomas Hirschhorn, Ra Di Martino, Pablo Hare, tutti insieme per non durare e assemblare la precarietà.

Anti-monumentali, alias neo Bauhaus. È qui che ritorna prepotentemente il mito di Umberto Boccioni e il suo stratificare disparati materiali e oggetti di recupero. Bauhaus è sempre stato un debordante paradosso, come d’altronde il moderno monumentalismo: avvolgono il visitatore, abitante della distanza, piegando i piedistalli, debordanti verso lo spazio infinito.

Ecco il destabilizzante paradosso. All’apparenza il Bauhaus è per antonomasia un “monumentale” patrimonio artistico e politico che ha attraversato il tempo, le generazioni, i costumi, le mode, le tendenze, probabilmente più di ogni altro fenomeno culturale del secolo scorso. Dal cucchiaino alla città, un vento trasversale, dalla “cazzuola” al grattacielo, dal privato al pubblico, dall’economia al politico, dal prodotto al Sistema…

La provvisorietà

Ecco perché il Bauhaus oggi è soprattutto un anti-monumento. Non ha l’ambizione di durare, di sfidare la storia: ha un carattere provvisorio, quotidiano, non fa resistenza al flusso della vita, ambisce a collaborare con esso.

Quando penso al Bauhaus, passano per la mente tanti mondi, ma ultimamente mi soffermo stranamente sulla trappola Captcha, quella sequenza alfanumerica che, digitata, dimostra al computer di essere umani. In quel rettangolo, le lettere e i numeri seguono una disposizione casuale, stilizzata, in cui la forma segue la funzione, in cui però si racchiude la paura del secolo, la disfunzione del sistema: Bauhaus oggi è inesorabilmente riempire uno spazio, è offrire un lavoro non pagato, involontario e “fondamentalmente futile”.

Bauhaus sarà pure vivo, ma oggi è svuotato del proprio spirito, riempire un Captcha è lavoro, l’uomo deve farsi robot (leggi: operaio, magari ancora muratore…), per dimostrare di essere umano.

Tratto da “Sentieri Selvaggi”, n. 2, marzo-aprile 2019, pag. 26–29

Leonardo Lardieri è nato a Benevento nel 1972. Laureato in Psicologia e Dottore di ricerca in “Psicologia dell’arte e della letteratura”, collabora dal 2002 con “Sentieri selvaggi”, di cui è caporedattore e responsabile della sezione Festival. Studia Filosofia, conduce un programma nella radio di Benevento e scrive per la rivista cinematografica Filmcritica.
È coautore del volume Laurent Cantet-L’emploi du cinéma ed è organizzatore di eventi cinematografici della provincia di Avellino e Benevento.

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Mario Mancini
Mario Mancini

Written by Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.

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