American Primeval
Il Far West non era violenza e caos
di Guglielmo Piombini
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Una nuova storia
La visione della serie “American Primeval” mi ha deluso, per la sua crudezza ed eccessiva enfasi sulla violenza. Purtroppo, lo stereotipo del Far West caotico e violento è duro a morire.
Questi riflessi automatici nascono dall’immagine romanzata tramandataci dal cinema, che della Conquista del West ha sempre dato eccessivo rilievo agli aspetti sensazionali e patologici trascurando la concreta realtà quotidiana.
Da qualche decennio tuttavia i lavori di una nuova generazione di studiosi, mettendo in discussione tanti pregiudizi sul “Selvaggio West” sedimentati nel tempo, hanno chiarito che la Frontiera americana non era il regno della legge del più forte, ma un posto tutto sommato pacifico e civilizzato.
Storici come William Davis, Russel Pritchard, Eugene Hollon, Frank Prassel hanno rilevato che i conflitti a fuoco coinvolgevano solo una esigua minoranza di pistoleri, mentre per milioni di persone comuni, a dispetto di una certa visione romantica, la vita sulla Frontiera era fatta soprattutto di monotonia e duro lavoro.
Una società di lavoratori
Uno di questi storici, Roger McGrath, dopo aver setacciato una gran quantità di archivi, giornali e testimonianze riguardanti alcune tra le più turbolente cittadine della Frontiera ai tempi della corsa all’oro, è arrivato alla conclusione che “certe nozioni tanto diffuse sulla violenza e la mancanza di leggi e giustizia nel Vecchio West non sono altro che un mito”, dimostrando dati alla mano (nel libro Gunfighters, Highwaymen, and Vigilantes, University of California Press, 1984) che statisticamente nell’Ovest la violenza era meno diffusa non solo in confronto alle grandi città dell’Est, ma anche rispetto all’America attuale!
Nel West venivano compiuti perlopiù crimini di poco peso, dato che la maggioranza degli arresti erano dovuti ad ubriachezza o cattiva condotta; i furti con scasso e le rapine a case e negozi erano estremamente rari; le rapine a treni o diligenze rappresentavano degli episodi isolati; più frequenti erano le sparatorie, che causavano però poco allarme tra la gente perché considerati in genere scontri leali.
L’emigrazione italiana
Di questo filone fa parte anche il bel libro dello storico Andrew F. Rolle, Gli emigrati vittoriosi. Gli italiani che nell’Ottocento fecero fortuna nel West americano, pubblicato dalla Rizzoli. Nel racconto affascinante di tante storie di successo dell’immigrazione italiana nel West, Rolle dimostra che anche una comunità minoritaria come quella italiana, generalmente ritenuta svantaggiata rispetto alla dominante comunità yankee di ceppo anglosassone, riuscì a cogliere tutte le opportunità che la Frontiera offriva.
Nel West questi poveri emigranti italiani divennero artefici del proprio destino, non vittime della discriminazione o della sopraffazione come sostenuto da certa storiografia.
Lungi dall’essere degli “sradicati” (uprooted), a costoro secondo Rolle si addice ben di più la qualifica di upraised, di “immigrati di successo”. Basti pensare che solo dalla prospera comunità mercantile italiana di North Beach a San Francisco venne fuori una mezza dozzina di milionari nati in Italia!
Molti altri italiani si affermarono nella cultura, nella finanza, nel commercio e nell’industria, a conferma che chi si spingeva verso la Frontiera trovava la libertà di mettere a frutto le proprie capacità individuali, e migliorare la propria condizione, molto più di chi rimaneva nell’affollato Est o in Europa.
L’autentico Far West
Se per la maggior parte degli americani questa “emigrazione interna” verso il West fu, nelle parole di Rolle, “straordinariamente fortunata”, come si concilia tutto questo con la popolarissima idea negativa del “Selvaggio West”?
Contrariamente ad ogni distorta raffigurazione, il Far West americano rappresentò nel XIX secolo il luogo in cui maggiori erano le possibilità per gli individui di vivere indisturbati, di seguire le proprie tradizioni, di creare le proprie comunità e di fare fortuna, perché al riparo del governo statale centrale che con le sue spogliazioni, irregimentazioni e guerre gigantesche ha funestato buona parte della storia moderna e contemporanea della civiltà occidentale.
Non si dimentichi che, mentre nei territori statalizzati dell’Est un’infernale guerra tra Stati provocò dal 1861 al 1865 ben seicentoventimila morti, nel West le più gravi situazioni di violenza, durante le cosiddette “Guerre dei pascoli” (nel 1878 e nel 1892), non causarono che poche decine di vittime!
S’impone infine un’ultima considerazione, basata sul buon senso s’impone: se la letteratura che enfatizza il carattere violento del West fosse veramente fondata, non si spiegherebbe come mai una fiumana continua di milioni e milioni di emigranti fossero disposti a sopportare viaggi pericolosi e grossi sacrifici pur di raggiungere quella Terra promessa.
GUGLIELMO PIOMBINI (1968), è libraio, editore, saggista e studioso del pensiero liberale classico e libertario. Tra le sue ultime pubblicazioni Il Medioevo delle libertà, 50 classici del pensiero liberale e libertario. È titolare della Libreria del Ponte di Bologna che ha un settore specializzato nell’editoria liberale, ed è fondatore e gestore del sito Trame d’oro.