9. Brillig nel paese delle cibermeraviglie di Wim Coleman e Pat Perrin e una conversazione con Timothy Leary

Timothy Leary. Caos e Cibercultura — 9. Epilogo

Mario Mancini
21 min readMay 24, 2020

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«Suppongo che questo sia il significato del primo versetto della Genesi,» pensò Brillig. Ella galleggiava attraverso il vuoto. Non sapeva da quanto tempo. Neppure il tempo aveva significato.

Poi sentì una voce: «Ehi, Josie. Mi senti?» Una voce calda, piena di buon umore.
«Suono!» pensò Brillig. «Che concetto originale!»
Udì la propria risposta: «Sì, ti sento.» Si sorprese della leggerezza, della musicalità della propria voce. Ancora non sapeva perché. «Tu senti me?»
«Certo. Forte e chiaro.»
«Bene, allora forse potrai dirmi dove mi trovo. Forse sai dirmi che cosa sono.»
Il vuoto era privo di suoni per un istante. Poi la voce rispose, «Vuoi dire che non lo sai?»

Improvvisamente apparvero nel vuoto due figure umane — due uomini, immagini traballanti che minacciavano di dissolversi o di collassarsi in un vortice di neve televisiva. La frequenza orizzontale della realtà di Brillig era debole. Ma era un’immagine moderatamente convincente per essere un ologramma.

L’uomo sulla destra era appollaiato su uno sgabello e digitava istruzioni su una tastiera appoggiata sulle ginocchia. Portava un cappello da cowboy ed era elegantemente vestito di nero — ma era pelle o una sostanza sintetica? Dalla testa spuntavano fibre ottiche come una criniera disordinata e dalle punte delle fibre danzavano intorno ai lineamenti granitici del viso minuscoli punti luminosi. Brillig non riusciva a capire se avessero una qualche funzione.

Quello a sinistra era un tipo alto e bonario con capelli argentei. Aveva un sorriso enorme e occhi monelli. Sembrava non poco familiare.

«Ci vedi, Josie?» domandò l’uomo a sinistra.
«Sì,» fece Brillig.
«Bene. Non riconosci nessuno di noi due?»
«Credo di no,» rispose Brillig. «Ma non ne sono sicura.»
«Bene, prima di tutto ti presento Upton Orndorf, database cowboy straordinario.»
«Non tanto “straordinario” proprio in questo momento,» borbottò il cowboy alzando gli occhi dalla tastiera. «Qui c’è qualcosa che non funziona bene.»
«Orndorf» pensò Brillig. «Il nome è familiare. Dove avrò…?»
«E io sono Timothy Leary,» disse l’uomo alto dai capelli d’argento. «Non ti ricordi affatto di me?»
Brillig si sforzo di ricordare. «Ricordo titoli, articoli dei giornali,» disse. «Mi ricordo di uno psicologo di Harvard che aveva da fare con gli psichedelici e con la controcultura negli anni Sessanta, che è finito per interessarsi del software per computer e della filosofia…»
Leary emise una risata. «Ehi, non sei affatto aggiornata!»
«Basta con i rebus. Sono molto confusa in queste circostanze. L’ultima cosa che ricordo è di aver inghiottito una piccola capsula.»
«E quando è stato?»
«Come posso saperlo? Possono essere passati dei minuti, delle ore, dei giorni. Non mi ricordo più neanche cosa significano queste parole.»
«L’anno, Josie. Che anno era?»
«Il 1994, credo.»
«Vuoi dire che non ti ricordi di niente dopo il 1994?»
«No. Dovrei?»

Orndorf emise un lamento di frustrazione. Un lamento duro ghiaioso, abrasivo. «Ma merda santissima! Ho sfondato un muro fatto con le catene metaforiche più nere e più perniciose mai viste in qualsiasi inorama, solo per trovarmi di fronte a un costrutto con la memoria bloccata al 1994! Mi spiace, Leary. Mi sa che sto perdendo la mano.» Le luci fiberottiche dardeggiavano intorno alla testa quando la scuoteva.

«Ma chi sono io?» domandò Brillig. «Come mai sono qui?»
«Sei una bio,» disse Orndorf. Poi disse a Leary, «Avresti dovuto leggerlo, c’era una similitudine dopo un’altra, tutte fuse insieme. Il recinto di iati fatici è stato facile, ma poi mi sono imbattuto in una continuità cortàzar.»
«Cosa… cosa… chi…» balbettò Brillig disperata.
«Tu dovresti essere i ricordi registrati di Josephine Xaviera Brillig, una tra i pionieri leggendari del ciberspazio,» disse Orndorf con una sfumatura d’impazienza. «È stato un marienbad grave ma mi sembrava di essere irrotto OK. Forse era più escherato di quanto non pensassi.»
«Ma mi stai dicendo che non sono nemmeno me stessa?» gridò Brillig. «Che sono soltanto una memoria?»
Orndorf si rivolse a Leary. «C’è questo problema con i bio,» disse. «Pensano di essere senzienti.»
«A questo non ci sto,» gridò Brillig. «Se penso di essere senziente, allora debbo esserlo.»
«Ecco un altro problema che danno,» spiegò Orndorf a Leary. «Sono mezzo impantanati nel paradigma cartesiano. Come tutti quei prose-jockey junior educati troppo spec — sai, major e via dicendo. Se non tifletti, non rifletti.»
«Se io sono soltanto la memoria di Brillig,» domandò Brillig. «Allora cos’è accaduto a Brillig?»
«Brillig è stata remainderata,» disse Orndorf. Rabbrividì. Saltellarono piccole luci. «Immagino che sarebbe potuto accadere anche a me. Ho avuto problemi spaventosi per tornare dentro questo borgespath.»
«Cosa vuol dire remainderata?» Brillig continuava, inutilmente, a cercare di toccare il braccio dell’ologramma.
«Remainderata, scartata, lineapiattata per usare un termine più antico,» disse Orndorf. «Capisce il termine morte cerebrale?» domandò quando Brillig non dimostrò comprensione. «Brillig è morta nell’inorama, nel ciberspazio. Nessuno sa perché. Ecco per-ché abbiamo fatto un ri-rilascio su di te, per scoprire cosa sia accaduto. Non avevamo messo in conto che potessi essere difettosa.

Pensavamo che forse ti saresti ricordata.
«E invece non mi ricordo,» urlò Brillig. «Tutto questo mi sembra completamente pazzo. E poi, che cos’è il ciberspazio?»
«Rilassati,» disse Leary. «Ti diremo un po’ di cose. A che punto vuoi cominciare?»
«Beh, forse con un aggiornamento storico.» Brillig si calmò.
«Il racconto a questo punto è di Gibson.» disse Orndorf.
«Cosa… chi…» Brillig balbettava di nuovo.
«Forse posso spiegare io,» rise Leary. «Vedi, oggi siamo nel 2044. La cultura, l’habitat e il modo di vivere dei nostri giorni sono stati descritti già a partire dal 1980, da William Gibson nei suoi libri Neuromante, CountZero, Burning Chrome, e Mona Lisa Overdrive.
«Ne hai mai letto qualcuno?»
«Temo che la fantascienza non sia mai stata la mia passione,» disse Brillig, ricordandosi vagamente di una carriera scolastica imperniata sui classici. Sembrava intontita, docile.

Così fu Leary a proseguire: «Mostrale una mappa, Upton.»

Orndorf digitò qualche comando sulla tastiera e i due uomini scomparvero. Apparve invece un grande globo terrestre olografico, che ruotava davanti agli occhi di Brillig. Erano visibili in lutti i brillanti particolari le familiari masse geografiche, ma al posto dei confini nazionali erano visibile migliaia, forse milioni, di linee bianche, e tutti si irradiavano a partire da diversi punti sparsi per il mondo. Un numero straordinario di queste linee convergevano sulla piccola isola del Giappone, che appariva come un ammasso di abbaglianti stelle.

Brillig voltò di nuovo lo sguardo verso Leary, che spiegava il mappamondo.

«Dal punto di vista politico, gli stati nazionali hanno ormai un potere ridotto, la specie umana, fondamentalmente, è organizzata in corporazioni multinazionali in concorrenza fra loro. Non esistono più guerre su grande scala o rivalità tra nazioni, perché le multinazionali non le consentono. Fanno male agli affari. Tanto tempo fa, quando i Giapponesi hanno cominciato a comprarsi buona parte dell’America, semplicemente non avrebbero mai consentito ai Russi di bombardarci, perché loro erano i nostri proprietari. E naturalmente le società americane hanno formato partnership conglomerate con gli Svizzeri, con i Giapponesi e con i Cinesi.»

«Fantascienza,» borbottò Brillig, che cercava di distogliere gli occhi dall’immagine olografica. «E dove avete trovato il vostro nuovo… vocabolario?» domandò a Orndorf.

«Gibson e alcuni altri hanno definito molti termini ancora in uso, già a partire dagli anni Ottanta,» disse Orndorf. «Ma io grippo meglio il new-niverso. È basato sui foreis che hanno coggato Tino rama.»

A questo punto l’immagine cambiò: sembrava un telegiornale degli anni Ottanta, soltanto che era olografico, pluridimensionale.

Brillig esclamò, «Non ci sono più guerre, hai detto?»

«Ah, c’è ancora qualche confitto qua e là,» disse Leary. «Irak e Iran continuano a battersi tra loro. Ma nessuno si preoccupa del Golfo Persico. Se gli iracheni vogliano azzuffarsi con gli iraniani, tutti sono d’accordo di lasciarli fare. È più o meno la stessa cosa anche altrove.

L’ologramma si estese fino ad avvolgere Brillig interamente. C’erano aerei che sparavano razzi contro navi cisterna, bombe di terroristi. Leary spiegò, «I monoteisti, come i cattolici e i protestanti continuano a battersi in città come Belfast. Ma i conflitti di questo tipo sono totalmente isolati, si considerano soltanto come folklore locale.»

Arrivarono immagini di una sommossa metropolitana. Brillig si vide circondata da punk di strada, che somigliavano molto ai ragazzi delle bande degli anni Ottanta, eccezion fatta per alcune straordinarie innovazioni: jack e plugin incorporati e armi che spuntavano da dentro la carne — lame che scattavano da dentro le dita, avambracci che celavano fucili e lanciarazzi impiantati chirurgicamente.

«E ci sono ancora le gang nelle strade dei centri urbani,» continuò bonariamente Leary. «Ma sono bande ad alta tecnologia, e finché restano circoscritte in determinate località, la gente ha l’opzione di andare a vivere altrove se vuole.»

L’azione intorno a Brillig le faceva venir voglia di scappare. Malgrado le loro armi i cyberpunk combattevano per lo più su monitor e consolli di computer, su reti e via modem. Le loro spine sembravano più potenti dei loro coltelli. Ma fu contenta quando la scena cambiò di nuovo.

Ora era una vista dall’alto e Brillig volava in alto sopra la faccia della terra, a una velocità indicibile. A perdita d’occhio si vedevano l’interminabile vastità di città illuminate che si fondevano l’una con l’altra in distese enormi.

«Le grandi città sono plastiche fantastiche, sia nel senso buono che in quello brutto. Ma esistono ancora dei posti dove ti puoi rifugiare in un ambiente naturale,» continuò Leary. «Invece di combattere per i territori, come le Alture del Golan, ora la concorrenza è per lo più commerciale — tra i grandi gruppi. Ma combattono soprattutto per avere esseri umani intelligenti. Rapiscono umani intelligenti e rubano segreti hightech.

Ma Brillig era perplessa. «Nel 1994,» disse. «Molti fra noi trovavammo che un mondo dominato dalle società multinazionali sarebbe stato piuttosto temibile.»

Sia Leary che Orndorf emisero risate incorporee.

«No, è una meraviglia,» spiegò Leary. «È un passo in avanti! Ricordati: non vogliono guerre perché fanno male agli affari, e vogliono che la gente prosperi, perché possa comprare i prodotti.

Né vogliono interferire nella tua privacy. Non importa loro niente delia tua vita sessuale o se usi droghe e cosa fai quando sei solo; basta che consumi. I gruppi intelligenti oggi al timone capiscono l’importanza della diversità e della pluralità nel consentire l’evoluzione di una nuova creatività.

Ma Brillig era sconvolta da un’ondata di disorientamento.»

«Ma… voi dove siete. Noi, dove siamo?»

«In alta orbita,» fece Leary con una punta d’orgoglio. «Vedi, la migrazione nello spazio che ho previsto fin dal XX Secolo è cominciata proprio ora. Ci sono molti insediamenti permanenti in alta orbita.»

E ora la scena comprendeva diversi oggetti appesi molte miglia sopra la Terra, satelliti nitidamente diagrammati con isometrie computerizzate, stranamente immobili in orbite geosincrone. Il punto di vista fece zoom su un’enorme stazione spaziale a forma di ruota che girava maestosamente sopra la Terra.

«Ma come si arriva lassù?» domandò Brillig

«Con shuttle regolali, come una linea aerea. Diciamo che si “sale nel Well”. Alcuni tra gli insediamenti che vedi sono industriali; altri sono scientifici. Ma per lo più sono ricreativi. Questo in cui ci troviamo noi, per esempio, è un po’ come Las Vegas — un luogo di villeggiatura erotica, una specie di Club Méditerranée ad alta tecnologia.

«Dài,» disse Orndorf. «Unisciti a noi. Dài.» E improvvisamente era anche lei un ologramma, con la erniosa illusione fisica di essere un corpo che si muovesse attraverso lo spazio. Era insieme a Leary e a Orndorf all’intemo dello spettacoloso campo-giochi orbitale in cui migliaia di persone passeggiavano tra centri commerciali e bagni termali. Leary, che recitava ancora la parte della guida turistica chiacchierona, indicò laghi, piccole foreste, fauna selvatica frutto di ingegneria genetica — perfino c’era la simulazione di uno chalet sciistico in montagna.

Fino a che punto era reale, e fino a che punto olografico? Dal centro della stazione si irradiava una convincente sembianza di Sole, nuvole e cielo azzurro. Erano uccelli veri quelli che svolazzavano sopra la sua testa? Non c’era da esserne certa. Per i felici edonisti che passeggiavano nel satellite, non importava di certo.

«La vita nello spazio viene ancora considerata un po’ un’avventura, come nel West di un tempo.»
«Un po’ prima dei miei tempi,» disse Brillig.
«Buona parte della gente vive ancora sulla superficie del pianeta.

Ma molte fra le famiglie ricchissime hanno creato i loro regni privati quassù, ed esistono colonie spaziali formate da gruppi religiosi e da persone che formano nuovi pool genetici, o per persone che amino un determinato stile di vita. Per esempio ce n’è una per lesbiche vegetariane.»

Poi entrarono in un centro di cure in cui avevano luogo sbalorditivi miracoli medici. «La scienza ha dato a ogni individuo il controllo autogestionale su quasi ogni aspetto della vita fisica,» disse Leary. «Ci sono impianti muscolari. Puoi avere qualunque statura vuoi, appartenere una razza qualsiasi a scelta. C’è la chirurgia plastica e ci sono gli organi coltivati in vasca; così tutti possono avere il corpo e l’aspetto che vogliono.»
Brillig cominciò a capire la risposta a una domanda. «I tuoi vestiti…?»
«Il migliore cuoio da vasca,» rise Orndorf. Mente paura per i coccodrilli.»
«L’estensione della vita è possibile con le tecniche di ibernazione,» proseguì Leary. «È c’è anche la clonazione.»
«Così lutti… tutti saranno… perfetti?»
«No, non tutti ne fanno uso, perché le vecchie religioni monoteiste, che vogliono controllare la gente, sono ancora in vita. Non vogliono che cambi il tuo aspetto perché secondo loro Dio vuole che abbia l’aspetto che hai.»

Improvvisamente Brillig si bloccò nelle sue tracce. Alla vista di tutti questi straordinari mutamenti qualcosa le venne in mente, qualcosa di vago e di indefinibile che la turbava da quando era arrivata; qualcosa nel suo nome, nell’insolita leggerezza della sua voce, qualche differenza nei movimenti. Ora capiva.

«Sono una donna!» gridò allarmata.
«Certo che sei una donna,» disse Orndorf. «Cosa ti aspettavi?»
«Non capisci! Nel 1994 ero un uomo. Joseph Xavier Brillig! Era questo il mio nome. Cos’è successo?»
Leary e Orndorf ridevano. «Santo cielo!» disse Orndorf con le luci fiberottiche che ballavano più che mai. «Per quanto ne sapevamo noi eri sempre stata una donna.»
«Niente paura,» fece Leary. «Si vede che hai preso una decisione intelligente. Ormai le donne sono considerate di gran lunga il sesso superiore. Si è rovesciata quella situazione di ascendenza maschile che c’è stata durante gli ultimi cinque-diecimila anni. Oggi è proprio come nelle previsioni di William Gibson; le donne sono creature incredibilmente resistenti, eleganti, attraenti. E noi maschi siamo delle cose sporche e raffazzonate; facciamo quel che possiamo.»
«Le donne sono i veri poeti,» disse Orndorf.
«Con tanto controllo sul corpo,» meditò Brillig, «La gente potrebbe vivere praticamente in eterno.»
«Oh, certo,» disse Leary.
«Se non sono così stupidì di finire remainderati nel ciberspazio,» precisò Orndorf con un certo sarcasmo.
«In generale,» continuò Leary, «le persone nate dopo il 1946 hanno avuto maggiori possibilità per l’estensione della vita. Più tardi nascevi e più alte probabilità avevi di averne la possibilità. L’ibernazione è stata una questione centrale.»

Ed entrarono in una zona adiacente, piena di «bare». Si intravedevano sagome umane attraverso le pareti trasparenti. Un clinico ne stava aprendo uno sotto gli occhi amichevoli di un gruppo di astanti. Mentre la dormiente si svegliava, ancora intontita, i compagni le diedero un caldo benvenuto.

«La transizione verso l’estensione della vita è avvenuta all’interno di gruppi,» spiegò Leary. «Dapprima l’idea di svegliarsi da straniero in terra straniera, circondati da tecnici di laboratorio, incuteva una certa paura. Ma negli anni Novanta le persone intelligenti — persone che amavano vivere insieme e vedersi come amici — cominciarono a formare dei gruppi.

Hanno fatto più o meno la stessa cosa che avevano fatto i Mormoni tanto tempo prima. Formarono compagnie del futuro. Mettendo insieme le proprie risorse, il proprio sostegno, i propri rapporti famigliari, aumentarono notevolmente le loro speranze di risuscitarsi, perché venivano a far parte di una famiglia futura. Morte e rianimazione sono giochi di squadra. È stato come la migrazione dal Vecchio al Nuovo Mondo nei Secoli XVI e XVII. I puritani andarono insieme nel New England, e i cattolici nel Maryland. I diversi gruppi etnici andarono insieme; andavi con chi condivideva la tua stessa fede. Così è avvenuto anche qui: quanto ti risvegli dopo l’ibernazione devi avere la protezione della tua famiglia cronologicamente estesa, ma non necessariamente di quella genetica.»

«Allora c’è senz’altro dell’altra gente della fine del Ventesimo secolo in giro,» disse Brillig, che non vedeva l’ora di trovarsi davanti qualche faccia familiare. Ma la risposta di Leary fu un po’ cauta.

«Beh, le persone che sono state in giro da allora avevano previsto questi cambiamenti e avevano organizzato il loro viaggio fin qui. Tutte le religioni sono contrarie all’immortalità personale di questo tipo. Ma c’è chi ha visto la luce. Ram Dass, per esempio, prima era molto antitech, ma sempre molto intelligente e opportunista nel senso migliore della parola. E quando ha visto come andavano le cose ha deciso di venire anche lui — con una certa riluttanza.»

«Dille la verità,» disse Orndorf ridendo. «Hai dovuto kidnapparlo per farlo venire.»

«OK, è vero,» rideva anche Leary. «È sempre stato così con lui. Ci ho messo molto tempo a convincerlo a provare la psilocibina, e una volta che l’ha provata è stata dura convincerlo a provare l’LSD. Ed è stato così anche con i computer. Ma è ancora in giro perché fa parte della banda, e non lo lasceremmo mai indietro.»

«Ma l’immortalità! È un’idea terrificante,» fece Brillig con un brivido. Diede a Leary uno sguardo penetrante. «Non è insopportabile la noia?» Leary scrollò le spalle. «Beh, ovviamente, se ti annoi ti fai ibernare. Mi sarebbe piaciuto andare in letargo per buona parte del tardo XX Secolo. Ogni volta che hanno eletto i Repubblicani sarei stato felicissimo di andare in letargo per otto anni.»

«Così la morte è diventata un lusso inutile?»

«Esatto. La risposta alla noia non è il coma involontario e irreversibile. Ci si limita a fare un sonnellino.»

«Ma ti sveglieresti come Rip Van Winkie, il vecchio della montagna, e non avresti idea di che cosa fosse successo. Com’è accaduto a me.»

«Non è vero,» rispose Leary. «Abbiamo tecniche di trasferimenti di informazioni cerebrali. Così anche mentre dormi sai cosa accade.»

«Solo nel tuo caso ha fatto tilt,» soggiunse Orndorf. «Difetto di fabbricazione.»

«Una parte sempre maggiore dell’intelligenza umana viene immagazzinata in forma elettronica vivente,» disse Leary. «È possibile conservare in forma elettronica tutto quanto un essere umano possa pensare o esprimere. Quando ti svegli al mattino puoi collegare il tuo pensiero al programma mastro. Inoltre puoi mettere su video qualsiasi parte importante della tua vita. In questo modo io posso mostrarti i punti salienti di tutto ciò che mi è successo durante gli ultimi dieci anni.

«Essenzialmente, immortalare significa digitalizzare. Più parte di te stesso digitalizzi e più sarai immortale. Più azioni e memorie digitalizzi e più immortale sarai. Sono stato io tra i primi a scoprire questo fatto. Se oggi io posso reclamare una certa celebrità è perché esisto in forma digitale più di quasi ogni altra persona proveniente dal XX Secolo.»

«Ma la morte è così fondamentale,» gridò Brillig incredula.

«Anche i nostri modelli dell’evoluzione e del progresso sono basati sugli organismi che muoiono e che fanno posto ad altri, passando le loro caratteristiche alla prole.»

Leary rise di questa idea. «Sono idee primitive, queste, resti fossili del periodo in cui, diciamo, c’era una sola caverna e non era possibile che cento persone abitassero in una sola caverna, o albero, o appezzamento di terra. Dovevi morire per amore dei cinque figli che dovevano ereditare il tuo terreno, vero? Ma vedi, tutto è informazioni ormai. Lo spazio è libero e quindi più siamo e meglio è. Tutta l’etica, la morale, i saggi principi del mondo industrial-feudale della terra e delle macchine… sono totalmente rovesciati nell’infomondo.»

«Tutto sembra così comunitario,» meditò Brillig, «E la privacy?»

«La privacy è il male del monoteismo,» replicò Leary. «Quando è cominciata la scrittura, si trattava di un codice usato dai commercianti fenici perché non volevano che i commercianti greci conoscessero i loro prezzi. E la stessa Bibbia era un codice di cabalisti che avevano in piedi un sopruso: si passavano informazioni che non volevano divulgare a chiunque altro. Cosi, in fondo, la scrittura letterata riguarda sempre segreti.»

Brillig fu sommersa da un’irrazionale ondata di panico. «Ma senz’altro avrete ancora i libri?» Si rivolse a Orndorf. «Tu che trabocchi sempre di riferimenti letterari. Non leggi libri?» Orndorf parve capire a stento la domanda. «Libri? Santo Dio, una volta che avevamo infilato tutta la letteratura nella matrice, a chi servivano i libri?»

Ma prima che Brillig potesse chiedere una spiegazione, Leary era scivolato via nei ricordi. «Mi ricordo verso la fine degli anni Ottanta,» disse. «Parlavo con Spalding Gray. Un tipo meraviglioso. Era un monologhista. Chissà cosa ne è stato, di lui? Mi ha detto allora che intendeva cominciare a scrivere, e io mi ricordo di avergli detto “Ma cosa vuoi scrivere? Perché vuoi congelare i tuoi meravigliosi pensieri in parole letterate?”»

«Disse: “Beh, debbo attraversare quella fase, per poter ricapitolare attraverso la razza umana.”»

«Cercai di spiegarglielo. Dissi: “Se scrivi T-I-M con una macchina per scrivere, produci delle macchie d’inchiostro su polpa di legno, vero? Non puoi modificarle. Ma se scrivi la stessa cosa sulla tastiera di un computer, in pochi secondi la puoi spedire via modem a un satellite e cento milioni di persone possono guardare mentre scrivi.”

«E sai cosa mi ha risposto? Ha detto, “Ma forse non voglio che cento milioni di persone vedano quello che sto scrivendo.”»

Leary rise. «Vedi? Ecco la segretezza di base. Ebbene, la rispetto. Se vuoi mantenere dei segreti, crea il tuo piccolo codice personale. Altre persone hanno fatto proprio così. La parte più bella della natura umana sta nel fatto che è così perversa e così pluralista, e così creativa in vari modi sia negativi che positivi, che ci sarà sempre un sacco di gente che vorrà approfittare di tutte le belle cose che abbiamo, siano ringraziati gli Dèi! Perché a quelli fra noi che faranno così sarà consentito di agire a piacere. Nel XX Secolo c’era molta gente che non voleva prendere droghe, e io dicevo sempre che quelli fra noi che invece ne prendevano, eravamo più liberi proprio per questo.»

Ma Brillig era ancora sbalordita da questioni e perplessità. «Che differenza reale deriva da tutto questo,» domandò. «La gente è forse diversa, o sta meglio — è più in gamba?»

«Molto,» ribattè Leary. «È aumentato enormemente il livello di intelligenza, perché la gente pensa e comunica in termini di videate e non in libri letterati. Buona parte dell’azione vera ha luogo in quello che si chiama ciberspazio. La gente ha imparato a dare il boot, ad attivare e a trasmettere il proprio cervello. Essenzialmente c’è un universo all’interno del tuo cervello. Il numero dei collegamenti che esso è in grado di contenere è senza limiti. E così come la gente ha imparato ad avere un accesso più manageriale e più diretto al proprio cervello, così ha sviluppato anche matrici o reti di persone che comunicano fra loro elettronicamente. Ci sono collegamenti diretti tra cervelli e computer. Basta collegarti e pilotare il tuo cervello nel ciberspazio — nello spazio elettronico.»

I tre si fermarono e si guardarono. Svanì improvvisamente il luogo di villeggiatura orbitale che li circondava. Brillig si trovò nuovamente di fronte a Leary e a Orndorf, C’era un fremito d’attesa nell’aria.

«Quindi,» disse Orndorf dopo un silenzio. «Stai cominciando a ricordarti, o che cosa? Tu sei stata una delle cavallerizze leggendarie dell’inorama. Vuoi provarci di nuovo?»

Omdorf digitò altre istruzioni sulla tastiera e Brillig sentì una sensazione incredibile, come se con una capriola incredibile fosse passata da una realtà a un’altra. E improvvisamente si tuffava attraverso un universo del tutto differente, viaggiando tra grandiose luccicanti torri geometriche di luce. La sensazione di spazio era straordinaria. La mente le si gonfiò di un sapere e di una percezione incredibili; non aveva né voce né corpo ma era in grado ancora di comunicare con Omdorf e Leary. Si era fuso il loro pensiero.

«E questo come si chiamerà?» si domandò.
«Interfaccia mioelettrica,» percepì la risposta di Orndorf.
«Ti piace,» le arrivò la domanda di Leary.
«Se mi piace? È meraviglioso! Ma dove sono? Questo, che cos’è?»
«È il ciberspazio. Una allucinazione consensuale di tutte le informazioni del mondo.»

Brillig sentì un barlume di memoria. Era di nuovo su un terreno familiare anche se ancora non lo aveva del tutto afferrato. Era nel ciberspazio, un mondo di informazioni pure.

«Cosa sono quelle grandi toni di luce?»

«Banche dati. Ormai contengono tutte le informazioni del mondo, e vi si accede nel ciberspazio. Tutti i segnali umani che prima si vendevano come libri sono stati digitalizzati e ora sono a disposizione in queste banche di dati. Più tutte le immagini, i film e i programmi televisivi. Assolutamente tutto.»
«Ma certo!» cominciò a ricordarsi mentre vorticava tra le torri?

«Sono i recipienti simbolici di tutto il sapere del mondo!» Il pensiero l’entusiasmava.

«C’è una concorrenza formidabile e perfino dei combattimenti in relazione alle basi di dati,» continuò Leary. «Per esempio la Banca d’America non può permettere alla Banca di Giappone di accedere ai propri database. E quindi è nel ciberspazio che ha luogo tutta l’azione vera e propria. In un certo senso è come è sempre stato. Anche negli anni Ottanta — ti ricordi ? — si scambiavano ogni giorno migliaia di miliardi di dollari nella rete telematica. Questi scambi di denaro avvenivano tutti tramite computer.

«E ciascuna di queste torri è circondata di ICE — contromisure elettroniche contro le intrusioni — tecniche per difendere i dati. Ma ciò non impedisce che ci sia in bel po’ di infoabigeato in corso.»

Brillig si sentì riempire di una risata cibercosmica. «Info-abigeato! Ora mi ricordo. In quelle torri lavorano ragionieri e commendatori legittimi, mentre i cowboy e e gli infoabigei come me lavoriamo all’esterno irrompendo attraverso gli strati di ICE [ghiaccio — N.d.T.]. Un mondo di scandalose avventure ad alta tecnologia!»

Il suo pensiero si armonizzava sempre più con quello di Leary. «Tutto è fatto di informazioni,» arrivò il pensiero di lui. «Le informazioni sono molto più importanti dei beni materiali. Stiamo parlando della politica informatica — ecco. Così come nel Wild West c’era l’abigeato e c’erano i cowboy, oggi abbiamo abigei e cowboy e contrabbandieri in questo infomondo. Quasi tutte le cose che un tempo facevano gli dèi, oggi le fa la persona media: cambiare il proprio corpo e la propria mente, cambiare il codice DNA, clonare, e allo stesso tempo far parte dal sofisticatissimo centro della saggezza.»

«E far parte di una fantastica mitologia nuova!»

«E di tutta una nuova teologia,» rispose la mente di Leary. «Una volta creato questo infomondo, avevamo creato anche una nuova entità di intelligenza — una superintelligenza — e le persone che operano a questo livello hanno costituito reti di superintelligenza.»

Ora contribuì Orndorf: «Anche quando avevamo risolto i problemi matematici del ricupero della realtà, era più misterioso di quanto Aeravamo aspettati. Continuavano a formarsi nuove linee narrative, al di là della nostra programmazione.»

Brillig si rotolò nel ciberspazio lanciando un grido di piacere. «Chi mai vorrebbe tornare indietro?»

A Leary sembrò far piacere la domanda. «C’è un vero conflitto sociale in atto sul questo tema. La controversia più scottante oggi è tra quelli che vogliono trascorrere tutto il proprio tempo nel ciberspazio, da una parte, e dall’altra chi ritiene che ciò sia molto pericoloso e assuefattivo, e che non vogliono che i loro cari li lascino per trascorrere sempre più tempo nell’infomondo. Una volta entrati nell’infomondo non c’è dubbio che sia molto più entusiasmante che restare sulla terra a trascinare in giro un corpo. Così ci sono oggi — e ci saranno sempre tra i membri di una specie intelligente e geneticamente tanto diversificata — numerosi punti di vista diversi. C’è chi prova orrore per il ciberspazio come anche chi trova lenta e volgare resistenza sotto forma di carne.»

No, Brillig non poteva neppure pensare di tornare indietro. No, non era soltanto questione dei legami imposti dalla carne o dalla forza di gravità. Lo stesso universo fisico sembrava costrittivo e claustrofobico, un regno di spazio-tempo piegato dalla massa in un finito grossolano. Non era paragonabile a un oceano infinito di metafora pura, a un regno neuro-elettrico contenente l’essenza assoluta di tutto.

Passarono oltre i monoliti artefatti sopra l’oceano misterioso del ciberspazio. Brillig sapeva di essere già stata da queste parti. Ma che cosa aveva scoperto qui? Anche Leary voleva conoscere la risposta.

«Secondo le previsioni di Gibson il nostro pianeta deve ormai essere in grado di scambiare messaggio con altre specie che altrove abbiano raggiunto questo stesso livello. Sugli altri pianeti erano da tempo in attesa che noi sviluppassimo una matrice globale o entità ciberspaziale con cui potessero interagire.»

Ma fu Orndorf che venne fuori con la domanda cruciale: «Josie, prima di venire qui quell’ultima volta, ha detto che stavi per interconnetterti con qualcosa, con un’entità extraterrestre ed extradimensionale chiamata Llixgrijb. Nessun altro ce la faceva. Sei partita nell’ino rama per entrare in contatto con Llixgrijb.»

«Te ne ricordi? Ci sei riuscita?»

La domanda vorticò nella mente di Brillig.

E sentì di nuovo quella presenza, una mente diversa da ogni mente che avesse mai immaginato, allo stesso tempo lontanissima e dentro di lei; una mente dalla quale sembravano emanare lei stessa, l’universo fisico e lo stesso ciberspazio; una mente che conteneva ogni altra mente. Questa poteva essere Llixgrijb? Ma una forza discese su di lei come una mano gigante che la respingeva. Si sentiva spostare fuori dal ciberspazio, indietro attraverso spazio e tempo come risucchiata in mia terribile tromba marina.

«È inutile,» gridò ai propri compagni. «Mi sta rispedendo ai tempi dai quali venivo, al 1994. Dovrò rifare la stessa strada lungo la quale sono arrivata.»

Sentì la mente di Leary che si allontanava nel futuro mentre le spediva un ultimo messaggio: «Va tutto bene. Comprendiamo. Ci mancherai. Ma non mancare di dire a chiunque, laggiù negli anni Novanta, voglia sapere come andiamo noi, di leggere William Gibson. È una cianografia nuda e cruda, sporca da strada del nostro modo di vivere e delle opzioni che abbiamo a disposizione.»

«E un’altra volta non lasciarti remainderare,» soggiunse Orndorf. «Stai attenta alla direzione sui borgespath.» Vide ancora per un istante le minuscole luci danzanti mentre si estingueva il messaggio che arrivava dalla mente di Orndorf.

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Mario Mancini
Mario Mancini

Written by Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.

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