7.1 Alternative intelligenti alla morte involontaria

Timothy Leary. Caos e Cibercultura — 7. De-animazione/Ri-animazione

Mario Mancini
25 min readMay 4, 2020

Scritto in collaborazione con Eric Gullichsen

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La maggior parte degli esseri umani affronta la morte con un «atteggiamento» di impotenza, rassegnata oppure paurosa. Né l’uno né l’altro di questi due «angoli d’approccio», sottomessi e poco informati, verso l’evento clou della propria vita è da considerarsi nobilitante.

Oggi esistono molte opzioni pratiche per navigare il processo della morte. La passività — non averle studiate — potrebbe essere l’errore definitivo. La scommessa, senza rischio di perdita, di Pascal sull’esistenza di Dio si traduce nella vita moderna come scommessa imperdibile sul progresso tecnologico.

Da millenni la paura della morte riduce la fiducia in sé dell’individuo e alimenta la dipendenza dall’autorità. Vero è che i membri leali di un pool genetico familiare o razziale possono essere orgogliosi dei successi e della tenacità nel sopravvivere della loro parentela. Per esempio, intorno all’anno 1600, al culmine della fase feudale di ubbidienza, il filosofo cinese Li Zhi scrisse un illuminante saggio che delinea «i cinque inodi di morire»:

1. morte per una buona causa
2. morte in battaglia
3. morte da martire
4. morte come leale ministro accusato ingiustamente
5. morte prematura al termine di qualche buon lavoro.

Cosi vediamo come la meta della «buona» vita fosse quella di sottomettersi all’autorità. Se la vostra vita era dedicata al servizio del pool genetico, allora la vostra morte era il sacrificio finale, culminante, della vostra individualità.

Ma per I’umanista che creda nella santità queste prospettive tradizionali non sono del tutto esaltanti. Bisogna essere onesti. Come potete avere orgoglio dei vostri successi passati, tenere alta la testa nel presente, o progredire con entusiasmo verso il futuro, se vi attende implacabile dietro qualche angolo futuro, la vecchia signora M., la Mietitrice? Che lavoro di PR hanno fatto i parolieri incorporando questo concetto di morte in uno spettacolo degli orrori nelle ore di massimo ascolto!

La Tomba, Mortificazione, Estinzione, Crollo, Catastrofe, Fato, Fine, Fatalité, Malignité, Necrologia, Trapasso.

Notate la nagatività ben calcolata. Morire è crepare, rendere l’anima, perire. Diventare inanimati, senza vita, defunti, estinti, moribondi, cadaverici, necrotici. Salma, cadavere, reliquia, nutrimento di vermi, corpus delecti, carcassa. Che misera conclusione del gioco della vita!

La paura della morte: in passato era una necessità evolutiva

In passato, il dovere genetico dei pezzi grossi (coloro che esercitavano il controllo sociale sui vari pool genetici) è stato quello di fare in modo che gli umani, trovandosi di fronte alla morte, si sentissero deboli, inermi e passivi. Il bene della razza o della nazione veniva assicurato al costo del sacrificio individuale.

L’ubbidienza e la sottomissione venivano premiati con una specie di sistema di pagamento a rate. In cambio della propria devozione l’uomo o la donna riceveva la promessa dell’immortalità nell’amia postuma nota tra l’altro come aldilà, Paradiso o Regno dei cieli. Per poter conservare l’atteggiamento di dedizione i gestori dei pool genetici dovevano controllare i «riflessi della morte», orchestrando gli stimoli-chiave che attivano i «circuiti della morte» del cervello. A questo si arrivava tramite rituali che imprimono atteggiamenti di passività e di docilità quando nel cervello suonano i «campanelli d’allarme» della morte.

Forse possiamo capire meglio questo meccanismo di imprinting se prendiamo in considerazione un’altra serie di «rituali», quelli tramite i quali le arnie umane gestiscono i riflessi del concepimento e della riproduzione, i riti cioè della fecondazione. È infatti meno probabile che un esame di questi susciti sentimenti negativi nel lettore.

I meccanismi di controllo imposti dal funzionamento dei macchinari sociali sono simili nei due casi. Faccio brevemente «un passo al di fuori del sistema» per vedere con chiarezza ciò che solitamente rimane invisibile perché è così radicato nelle nostre aspettative.

In adolescenza, ogni clan o parentela fornisce regole, tabù, prescrizioni etiche per guidare l’importantissimo rapporto tra spermatozoo e ovulo.

La gestione, da parte dell’individuo, dell’arrapato meccanismo del DNA, presenta sempre il pericolo di un eccesso di accoppiamenti tra parenti stretti. Nelle società tribali e feudali si creano e si impongono con fanatismo usanze convenzionali riguardanti l’abbigliamento, gli incontri, il corteggiamento, la anticoncezione, l’aborto. L’innovazione personale viene severamente condannata e sottoposta a ostracismo. Nelle democrazie industriali varia l’entità della libertà sessuale concessa all’individuo, ma negli stati totalitari come per esempio la Cina e l’Iran un rigido moralismo bigotto governa i riflessi di accoppiamento e i rapporti tra ragazzo e ragazza.

Sotto il dittatore cinese Mao, il «romanticismo» era vietato perché indeboliva la dedizione verso lo stato; cioè al pool genetico locale. Se i teenager pilotano e selezionano i propri accoppiamenti è più probabile che vadano a fecondare al di fuori della propria arnia, che insistano a dirigere la propria vita e — peggio di tutto — è meno probabile che allevino la prole con una cieca fedeltà nei confronti del pool genetico.

I «riflessi della morte» sono custoditi da riti ancora più rigidi di imprinting sociale.

In tutte le culture pre-cibernetiche è preso per scontato il controllo da parte dell’arnia delle reazioni nei confronti della morte.

In passato, questo atteggiamento conservatore di degradazione dell’individualità è stato una virtù evolutiva. Durante lunghe ere di stabilità della specie, nel corso dell’apprendimento e della messa a punto delle tecnologie tribali, feudali e industriali, la saggezza veniva concentrata nel pool genetico, la si immagazzinava nella coscienza collettiva linguistica che costituisce la base di dati razziale dell’arnia.

Dal momento che la vita individuale era breve, brutale e priva di scopo, ciò che una singola persona imparava era quasi privo di importanza. Il mondo cambiava così lentamente che il sapere si poteva incorporare soltanto nella cultura della razza.

L’individuo, non avendo a disposizione tecnologie per impadronirsi personalmente della trasmissione e dell’immagazzinamento delle informazioni, era semplicemente troppo piccolo e troppo lento per avere qualche importanza. La virtù essenziale era la lealtà nei confronti del collettivo razziale. La creatività era contro-evolutiva, un’aberrazione; soltanto l’idiota del villaggio avrebbe commesso peccato di pensiero indipendente, caotico, non autorizzato.

Nelle epoche feudale e industriale il management usava la paura della morte per motivare e per controllare l’individuo. Oggi i politici usano i militari, la polizia e la pena capitale per proteggere l’ordine sociale.

La religione organizzata mantiene il proprio potere e la propria ricchezza, orchestrando ed esagerando la paura della morte.

Tra i numerosi concetti condivisi dal Papa, dall’Ayatollah e dai Protestanti fondamentalisti vi è quello secondo il quale l’ultima cosa da lasciare all’individuo è una fiduciosa e auto-diretta comprensione del procedimento del morire. Lo stesso concetto di intelligenza cibernetica postbiologica è tabù, peccaminoso, per motivi di protezione del pool genetico che in passato erano validi.

Le religioni hanno abilmente monopolizzato i riti della morte per aumentare il controllo esercitato sui superstiziosi. In tutta la storia i preti, i mullah, gli esperti medici, formano uno sciame intorno all’umano moribondo come tanti neri avvoltoi. La morte apparteneva a loro.

Da giovani, nel XX Secolo, venivamo sistematicamente programmati per quanto riguardava il modo di morire. Gli ospedali sono pieni di preti/ministri del culto/rabbini pronti a recitare gli «ultimi riti». In ogni unità dell’Esercito c’è il cappellano cattolico pronto a somministrare il Sacramento dell’Estrema Unzione (ma davvero, dico io, che frase!) al soldato che esala l’ultimo respiro. L’ayatollah, capo-mullah del culto islamico della morte, manda i suoi soldati adolescenti con medagliette al collo le quali garantiscono l’immediato trasferimento nel luogo di villeggiatura gestito da Allah, il Paradiso coranico. Un terribile incidente automobilistico? Chiamate i medici, chiamate il prete, chiamate il reverendo!

Nella società industriale tutto viene a far parte del Grande Business, Morire è un’attività che coinvolge USL, mutue private e pubbliche, cliniche, corsie per pazienti inguaribili. Imprese di pompe funebri. Riti e funerali. I monopoli della religione e le linee di montaggio del Top Management controllano i moribondi e i morti con un’efficacia ancor maggiore di quella che raggiungono nei confronti dei vivi.

Ricordiamo che il sapere, e le scelte selettive riguardanti questioni da pool genetico quali la concezione, la fecondazione in vitro, la gravidanza, l’aborto, e così via, appaiono già abbastanza pericolosi agli occhi dei padri della chiesa.

Ma il suicidio, i concetti relativi al diritto alla morte, l’eutanasia, l’estensione della vita, le esperienze extracorporee, la sperimentazione dell’occulto, i viaggi astrali, i rapporti di morte e rinascita, la speculazione sugli extraterrestri, la criogenica, le banche dello sperma e degli ovuli, le banche del DNA, le tecnologie di intelligenza artificiale — qualunque cosa incoraggi l’individuo a occuparsi di speculazioni e di sperimentazioni personali in relazione all’immortalità — è anatema per gli ortodossi pastori del seme nelle ere feudale e industriale.

Per quale motivo? Perché se il gregge non teme la morte, si allenta la presa del management politico e religioso, viene minacciato il potere del pool genetico. E quando si aumenta il controllo nel pool genetico, tendono a emergere pericolose innovazioni genetiche e non meno pericolose visioni mutazionali.

Era della responsabilità individuale e dell’autocontrollo

L’era cibernetica nella quale entriamo potrebbe segnare l’inizio di un periodo di individualismo illuminato e intelligente, un momento storico unico, in cui la tecnologia sarà accessibile agli individui per sostenere una vasta diversità di stili di vita personalizzati e di culture; un mondo di piccoli gruppi sociali diversificati, ognuno dei quali abbia un solo socio fondatore.

La rapida espansione delle comunicazioni alla velocità della luce e multimediali prepara un delizioso banchetto di sapere e di scelte personali messe agevolmente a portata di mano. In tali condizioni la saggezza operativa e il controllo si allontanano naturalmente dall’antichissimo controllo da parte dei pool genetici e si insedia nei cervelli automodificantisi di individui capaci di affrontare continui cambiamenti.

Con l’aiuto di dispositivi linguistici quantistici personalizzati e personalmente programmati, gli individui potranno scegliere il proprio futuro sociale e genetico, e forse scegliere di non «morire».

Teoria ondulatoria dell’evoluzione

Le attuali teorie genetiche suggeriscono che l’evoluzione, come ogni altra cosa nell’universo, avvenga a ondate.

Nei momenti di «evoluzione puntualizzata», di metamorfosi collettive, quando molte cose mutano contemporaneamente, i dieci comandamenti degli «anziani» diventano dieci suggerimenti. Nei tempi di rapida innovazione e di mutazione collettiva, i dogmi conservatori dell’arnia possono essere pericolosi, suicidi. In mano all’individuo, la sperimentazione, l’esplorazione, lo sfidare con intelligenza e con metodo i tabù diventano la chiave alla sopravvivenza della scuola genetica.

Nell’entrare nell’era cibernetica, raggiungiamo una nuova saggezza che allarga la nostra definizione dell’immortalità personale e della sopravvivenza del pool genetico: le opzioni postbiologiche di homo informaticus. Un’affascinante serie di scelte da gourmet appare nel menu a tendina del Ristorante Evolutivo.

Si comincia ad avere l’impressione che, nella società informatica, i singoli esseri umani possano programmare, sceneggiare ed essere registi della propria ibernazione e della successiva rianimazione.

Morire diventa un «gioco di squadra».

Rischiamo il panico da shock informativo. Come era già necessario per capire le mutazioni precedenti, il primo passo è quello di sviluppare un linguaggio nuovo. È importante non imporre i valori o le parole del passato sulla nuova cultura cibernetica.

Vorreste che le parole d’ordine di un culto paleolitico controllassero a vostra vita? Siete disposti a permettere he le superstizioni di un culto di villaggio tribale (oggi rappresentato da Papa e da Ayalollah) vi estromettano dalla scena? Siete disposti a permettere che le manovre di una società meccanica dell’obsolescenza programmata assumano la gestione della vostra esistenza?

Morte creativa

Basta con i discorsi pii e sottomessi sulla morte. È arrivato il momento di parlare allegramente e di scherzare sulla responsabilità personale della gestione del processo di morire. Tanto per cominciare, demistifichiamo il fatto di morire e sviluppiamo metodi alternativi per indicare la coscienza che lascia il corpo. Possiamo speculare tranquillamente sulle opzioni postbiologiche. Apriamo un ampio spettro di possibilità da Club Mediteranée; esploriamo l’opzione della morte ricreativa.

Per iniziare, sostituiamo la parola morte con il termine più neutro, preciso e scientifico di coma metabolico. Proseguiamo con la proposta di sostituire a questo stato di coma temporaneo un cambiamento autodeterminato della forma corporea, tale che l’individuo scelga di cambiare il veicolo della propria esistenza senza perdere coscienza.

Ora facciamo una distinzione tra coma metabolico volontario e involontario, tra morte reversibile e irreversibile.

Esploriamo gli affascinanti confini tra la morte del corpo e quella neurologica o ancora la morte del DNA, nei termini dell’elaborazione dei dati.

Raccogliamo dei dati relativi a quell’ancora più affascinante confine che è la vita artificiale, sulla quale si cominciano a effettuare studi interdisciplinari. Quali capacità di elaborazione del sapere si possono conservare sia dopo la morte corporea che dopo la cessazione cerebrale? Quali sistemi naturali e artificiali, dalla crescita di strutture minerari all’autoriproduzione di automi matematici formali, rappresentano i candidali biologici più promettenti per il sostentamento della vita?

E a questo punto eseguiamo l’atto definitivo dell’intelligenza umana. Avventuriamoci con tolleranza, con mente aperta, con rigore scientifico, in quella perennemente misteriosa terra incognita per porre la domanda finale: quali possibilità di elaborazione di informazioni/sapere possono sopravvivere alla cessazione della vita biologica, somatica e genetica?

In quale modo è possibile sostenere la coscienza umana in strati digitali, di onde luminose, di zero-uno al di fuori dell’umido involucro di graziosa, attraente, piacevole carne nel quale attualmente dimoriamo? Come può il bruco organico fatto di composti di carbonio diventare la farfalla di silicio?

Consapevolezza postbiologica ricreativa

Riconosciamo che il procedimento del morire, che da millenni è oscurato da tabù e da superstizioni primitive, è improvvisamente diventato accessibile all’intelligenza umana.

A questo punto, improvvisamente, intuiamo che non è necessario «andarci piano» ed entrare passivamente nella buia notte o nel Paradiso disneyano al neon della Gesù & C. Ci rendiamo conto che il concetto di coma metabolico involontario e irreversibile noto come «morte» altro non è che una letale superstizione feudale, un crudele stratagemma di marketing della società industriale. Comprendiamo a questo punto che è possibile scoprire dozzine di alternative attive e creative all’andarcene a pancia all’aria stringendo fra le mani la tessera della Mutua, pubblica o privata che sia.

Il riconoscimento è sempre l’inizio della possibilità del cambiamento. Una volta che comprendiamo come la «morte» possa essere definita come problema di elaborazione di sapere-informazioni-memoria, è possibile che emergano soluzioni per questo antichissimo problema.

Ci rendiamo conto che la cosa intelligente da fare consiste nel cercare di mantenere il più a lungo possibile le proprie capacità di elaborazione del sapere. In forma corporea. In forma neurale. Sotto forma di DNA. Sotto forma di circuiti di silicio o nei media magnetici dei computer di oggi. In forma molecolare grazie alla compressione degli atomi nella nanotecnologia dei computer di domani. In forma criogenica. Sotto forma di leggenda, mito, dati conservati. Sotto forma di prole ciberneticamente addestrata a utilizzare l’intelligenza postbiologica. Sotto forma di pool genetici postbiologici, info-pool, forme virali avanzate residenti in reti mondiali di computer e in matrici ciberspaziali del tipo descritto nei romanzi di William Gibson.

Il secondo passo per raggiungere la consapevolezza postbiologica, ricreativa, consiste nello spostarci dalla modalità passiva a » quella attiva. Gli umani dell’era industriale erano addestrati ad attendere docilmente l’inizio della terminazione, e poi a consegnare il proprio corpo, per l’eliminazione, ai preti e ai tecnici della fabbrica-ospedale.

La nostra specie sta ora cominciando a disporre delle capacità informatico-cibernetiche e della fiducia da parte degli attivisti nei piani per il futuro, in modo che potremo far prevalere la nostra volontà.

L’atteggiamento intelligente consiste nel vedere la morte come cambiamento nell’implementazione dell’elaborazione dei dati, e quindi nell’orchestrarla, nel gestirla anticipando ed esercitando le numerose opzioni disponibili.

Qui prendiamo in considerazione ventitre metodi, diversi tra loro, per evitare un morire sottomesso e timoroso.

Intelligenza programmatica postbiologica e ri-creativa

Negli scritti precedenti gli autori hanno definito otto fasi dell’intelligenza: biologica, emotiva, simbolico-mentale, sociale, estetica, neuro-cibernetica, genetica, atomica, nanotecnologica.

In ciascuna di queste fasi si osserva un riconoscimento di input seguito da una fase di programmazione-riprogrammazione e quindi da una di comunicazione output. Per riprogrammarci dobbiamo attivare quei circuiti del cervello che mediano quella determinata dimensione dell’intelligenza. Una volta che questo circuito sia acceso», possiamo rifare l’imprinting o programmare.

La neurologia cognitiva suggerisce che il sistema più diretto per riprogrammare le risposte emotive consiste nell’attivare la fase emotiva e quindi nel riprogrammare, sostituendo alla paura le risate. Per riprogrammare le risposte sessuali è logico riattivare e rivivere gli imprint originali dell’adolescenza, effettuando poi il reimprinting con stimoli erotici nuovi e con risposte sessuali nuove.

I circuiti del cervello che gestiscono il processo della «morte» sono di routine nelle crisi di «quasi-morte». Da secoli la gente racconta: «Tutta la mia vita mi è passata davanti agli occhi mentre affondavo nell’acqua». Questa esperienza di «quasi-morte» extracorporea può attivarsi mediante l’uso di alcune droghe anestetiche, come la chetammina. In alternativa è possibile imparare abbastanza sugli effetti delle droghe nell’esperienza extracorporea da riuscire ad attivare i circuiti necessari senza usare stimoli chimici esterni.

Percepiamo immediatamente che i riti sviluppati intuitivamente dai gruppi religiosi sono studiati per indurre stati di trance ipnotica imparentati con la «morte». Il bambino che cresce in una cultura cattolica subisce un imprinting profondo a opera dei riti funerari. L’arrivo del solenne prete a somministrare l’estrema unzione costituisce un codice di accesso allo stato precedente la morte. In altre culture esistono rituali diversi per attivare e quindi controllare (programmare) i circuiti della morte nel cervello.

Fino a tempi recenti, è stato raro che una cultura ne consentisse il controllo personale o la scelta personalizzata da parte del consumatore. In quasi tutte le specie animali si manifestano «riflessi della morte». Alcuni animali lasciano il branco per andare a morire da soli. Altri restano in piedi, a gambe larghe, rinviando ostinatamente il momento finale. In alcune specie si espelle l’organismo morente dal gruppo sociale. Per ottenere il controllo sui propri processi di morte, si presentano tre fasi possibili:

1. Attivare i riflessi della morte della propria cultura, viverne l’esperienza. Immaginarsi di vestirsi da prete, rabbino, ministro protestante e di imitare i loro rituali solenni e ipnotici. Visualizzare. Recitare le preghiere per i moribondi. Fare queste cose nella realtà virtuale della propria mente. Officiare al proprio funerale platonico.
2. Tracciarne le origini e quindi:
3. Riprogrammare, installare il proprio piano di preparazione alla morte, mirato all’immortalità.

Lo scopo è quello di creare un modello scientifico della catena di procedimenti cibernetici che ha luogo nel momento in cui ci si avvicina a questa fase di metamorfosi — e di sviluppare intenzionalmente opzioni con le quali assumersi una responsabilità attiva per gli eventi in questione.

Raggiungere l’immortalità

Fin dall’alba della storia umana, i filosofi e i teologi hanno speculato sull’immortalità. Anziani re, diventati inquieti, hanno ordinato metodi per estendere la durata della vita.

Un esempio classico è quello dell’antico Egitto, che ha prodotto la mummificazione, le piramidi e libri quali II libro elei morti.

Il Libro tibetano dei morenti [o dei morti] ci offre un potente modello (buddista) delle fasi successive alla morte e delle tecniche per guidare l’alunno verso uno stato di immortalità neurologicamente «reale», e che propone tecniche scientifiche per invertire i processi della morte.

Il nuovo campo dell’ingegneria molecolare sta producendo tecniche nel contesto della scienza occidentale per implementare l’auto-metamorfosi. Lo scopo è quello di sconfiggere la morte, di dare all’individuo la padronanza di questa, la stupidata finale.

Noi non approviamo in particolare una singola tecnica qualsiasi per raggiungere l’immortalità. Il nostro scopo è invece quello di esaminare tutte le opzioni e di incoraggiare il pensiero creativo in relazione alle nuove possibilità.

Elenco preliminare di opzioni ri-creative
(per sostituire il coma metabolico involontario, e irreversibile)

Tecniche di training psico-comportamentali

Queste tecniche non aiutano a raggiungere l’immortalità personale, ma sono utili nell’acquisire l’esperienza della «morte sperimentale» l’esplorazione reversibile e volontaria del territorio tra coma corporeo e morte cerebrale che talvolta prende il nome di «esperienze extracorporee» o di quasi-morte. Altri termini usati sono viaggi astrali o ricordi di reincarnazione.

1. Meditazione, ipnosi.
Le vie classiche dello yoga verso gli stati di coscienza non ordinari, note per il consumo intensivo di tempo e di lavoro. Lo scopo è l’esperienza extracorporea.

2. Droghe psichedeliche.
L’uso di droghe ri-creazionali (psichedeliche) per accedere a programmi informativi e operativi immagazzinati nel cervello. Negli stati di coscienza normali questi stati non sono a disposizione per l’accesso volontario.

3. Anestetici ri-creativi.
Sono progettati con precisione per le esperienze extracorporee volontarie, John Lilly ha scritto molto sulle proprie esperienze con piccole dosi di anestetici come la Chetammina. È possibile che gli effetti extracorporei soggettivi di sostanze di questo tipo rappresentino interpretazioni di disgregazione propriocettiva, ma ciò nonostante è possibile ottenere informazioni seguendo queste strade investigative.

4. Privazioni sensoriali.
Applicate soprattutto in vasche di isolamento, studiate nel modo più comprensivo dallo stesso John Lilly.

5. Esercizi riprogrammatori.
Sospendere e sostituire gli imprinting della «morte» imposti socialmente.

6. Sviluppo di nuovi riti a guidare la transizione postcorporea.
I nostri tabù culturali hanno impedito lo svolgimento di molti lavori articolati in questo campo, ma E. J. Gold e altri hanno effettuato ricerche importanti.

7. Esercizi di pre-incarnazione.
Uso dello stato alterato di preferenza (droga, ipnosi, trance sciamanica, rituale vudù, frenesie di rinascita) per creare canovacci per il proprio futuro.

8. Morire volontariamente.
Gli ufficiali che vogliono controllare il processo mortale definiscono questo procedimento «suicidio», ovverosia «autoassassinio». Fino a tempi recenti la morte auto-indotta si considerava tentativo vile o folle di intervenire nell’ordine naturale. Chiunque volesse gestire e dirigere la propria morte era condannato dalla legge e dalle usanze.

In una cultura tribale pagana o sintonizzata sulla natura, esiste una saggezza da buon senso comune che è implicita in questa accettazione passiva della propria terminazione. Il cervello controlla continuamente le funzioni vitali del corpo, e mentre comincia a venir meno il corpo, subentrano i programmi terminali. Il cervello chiude le funzioni corporee e durante i pochi minuti intercorrenti tra morte corporea e morte neurologica i cento miliardi di neuroni del cervello si godono, con ogni probabilità una «rassegna»di tutto quanto, fuori del tempo.

Nel tardo Secolo XX, però, la scienza medica meccanica cominciò a «interferire» in modo abbastanza drammatico nell’ordine naturale. Ormai usiamo tubi e macchine per mantenere in «vita» i pazienti per molto tempo dopo la cessazione della coscienza. La vittima di un attacco di cuore, che vent’anni fa se ne sarebbe andata nel giro di un’ora può oggi essere riportata in vita, anche soltanto per trascorrere degli anni in un coma mantenuto da macchine.

Molte persone restano scandalizzate e disgustate davanti ai metodi meccanico-medici che privano il paziente in coma terminale della propria dignità e della propria coscienza. L’AMA [Ordine dei medici americani — N.d.T] si è pronunciata a favore del diritto della famiglia di liberare dalle cure mediche i pazienti in coma terminale.

Esiste poi il problema del dolore non curabile sopportato dai pazienti terminali a opera di malattie «artificiali» provocate dall’inquinamento, per esempio il cancro, che provocano dolori atroci. Il cervello che risiede nel corpo di una persona che vive nella cultura raffazzonata del tardo Secolo XX non è programmato per affrontare queste nuove malattie. Il cervello è in grado di produrre in modo naturale endorfine anestetiche. È organizzato in modo meraviglioso perché possa spegnere le luci lentamente e con grazia, come accade peraltro anche negli altri animali.

I nostri fratelli e sorelle, gli altri animali da branco come i lupi, i cani, i gatti (per esempio) riescono a morire in modo dignitoso senza gridare al veterinario di somministrare loro un anestetico o al prete di somministrare l’estrema unzione.

Ma l’ambiente dell’ospedale-fabbrica, gestito con efficienza da manager industriali (medici, infermieri) è un ambiente stranissimo per qualunque cervello da cento miliardi di neuroni. I pazienti in ospedale i cui cervelli sono programmati per comportarsi come unità industriali in caso di malattia terminale e di grandi dolori, implorano con passione che si ponga termine alla loro sofferenza senza speranza.

I gruppi religiosi fondamentalisti e gli ufficiali neo-feudali si oppongono a ogni iniziativa «pro-scelta», che consenta all’individuo di gestire la propria vita. Questi gruppi si oppongono anche alla «eutanasia».

[Già nel 1990 esisteva in California un movimento sempre più esteso a favore della possibilità del paziente terminale di organizzare la propria morte: Americans Against Human Suffering (Freedom of Choice for Physician Aid-in-Dying, Americani contro la sofferenza umana –Libertà di scelta dell’assistenza medica durante l’agonia). Nei Paesi Bassi la «eutanasia a richiesta» è a disposizione dopo un idoneo e prudente periodo di esame. Nel Michigan, fin dal 1992 il dottor Jack Kevorkian ha sfidato ripetutamente la legge aiutando i propri pazienti terminali a esercitare il loro diritto di scegliere il momento e le modalità della morte.]

Sembra probabile che entro l’anno 2000 la celebrazione cerimoniale, dignitosa, della propria transizione possa considerarsi come rito fondamentale degli esseri umani.

9. Ibernazione premortale
Nella sezione precedente abbiamo esaminato la gestione attiva del proprio morire: il coma metabolico volontario e irreversibile. Questa procedura pianificata assume un significato diverso quando la persona non «muore» ma scivola con grazia verso l’ibernazione crionica o la banca dei cervelli. Questa opzione si chiama «sospensione premortale». In una causa portata in tribunale dalla Alcor Foundation, è stata ritenuta legale.

Tecniche somatiche per l’estensione mia vita

Le tecniche per l’inibizione dell’invecchiamento comprendono il classico approccio all’immortalità. Allo stato attuale del sapere scientifico rappresentano un modo di guadagnare tempo.

10. Dieta
A Roe L. Walford, M.D. (The 120-Year Diet; Maximum Life Span) dobbiamo le classiche ricerche su dieta e longevità. Conclusione: la ghiottoneria e la golosità sono le dipendenze che uccidono. I mingherlini vivono molto più a lungo.

11. Droghe che estendono la vita
Antiossidanti eccetera. una fonte comprensiva è Life Extension, di Sandy Shaw e Durk Pearson.

12. Regimi di esercizi fisici

13. Variazione di temperatura. Il calore uccide

14. Trattamenti del sonno (ibernazione)

15. Immunizzazione contro l’invecchiamento

Conservazione somatica-neurale-cenetica

Le tecniche di questa categoria non garantiscono un’operazione ininterrotta della coscienza, ma producono il coma metabolico reversibile. Sono un’alternativa per la conservazione della struttura dei tessuti fino a quando saranno disponibili conoscenze mediche più sofisticate.

16. Crionica
Lasciar marcire il proprio corpo e il proprio cervello non sembra offrire alcuna possibilità per il futuro. Perché permettere che il dedalo dei dendriti del sistema nervoso, che immagazzinano tutti i vostri ricordi, venga consumato dalle muffe?

17. Conservazione crionica di tessuti nervosi o di DNA
Chi non sia particolarmente affezionato al proprio corpo può optare per la conservazione dell’essenziale: il cervello e i codici di istruzioni capaci di guidare la rigenerazione di una cosa geneticamente identica alla propria macchina biologica attuale.

Metodi biogenetici per l’estensione della vita

Esiste la necessità di subire il coma metabolico? Abbiamo accennato a modi di guadagnare il controllo personale dell’esperienza, per tenerla a distanza tramite le tradizionali tecniche della «longevità», per evitare la dissoluzione irreversibile del substrato sistemico. Emergono ora tecniche volte ad assicurare una molto più reale garanzia dell’esistenza personale, una trasformazione metamorfica in una forma diversa di substrato sul quale gira il programma della coscienza.

18. Riparazioni cellulari/DNA
La nanotecnologia è la scienza e l’ingegneria dei sistemi meccanici ed elettronici costruiti su specificazioni al livello atomico. La nanotecnologia ha un potenziale per la produzione di nano macchine auto replicantisi viventi all’interno di singole cellule biologiche. Questi enzimi artificiali influenzano la riparazione cellulare di danni provocati da cause meccaniche, da radiazioni e da altri effetti di invecchiamento. La riparazione del DNA garantisce la stabilità genetica.

19. Clonazione
La replicazione con metodi biologici di copie personali di se stessi, geneticamente identiche fra loro, è una tecnica che comincia a entrare nel regno del possibile. Il sesso è divertente, ma la riproduzione sessuale è inefficiente dal punto di vista biologico, ed è atta soprattutto a indurre la variazione genetica nelle specie che ancora progrediscono grazie al caso fortuito, in combinazioni aleatorie. L’idea è quella di conservare il sesso come forma eh comunicazione, e di riprodurci asessualmente!

20. Archiviate-informatico

Un metodo standard per diventare «immortali» consiste nel lasciar dietro di se una scia di archivi, di biografie, di nastri registrati, di film, di file informatici e di azioni nobili pubblicamente note.
La sempre maggiore presenza di media stabili per la registrazione del sapere, in questa nostra società cibernetica fa di tutto ciò un supporto più rigoroso a un’esistenza persistente.
Il sapere posseduto da un individuo viene catturato in sistemi esperti e di ipertesti su scala mondiale, garantendo in tal modo la longevità e l’accessibilità di meme testuali e grafici.
Vista al di fuori del se, la morte non è un fenomeno binario ma una funzione in continua variazione. Quanto sei vivo a Parigi in questo istante? Nella città in cui vivi? Nella stanza in cui stai leggendo queste parole?

21. Trasmissione della base di dati della personalità

«Head Coach» è un sistema sviluppalo dalla Futique, Inc., in quello che è uno dei primi esempi di una nuova generazione di software psicoattivo. Il programma consente all’utente di digitalizzare e di immagazzinare il pensiero come routine quotidiana. Se una persona lascia, diciamo, venti anni di registrazioni del genere, i suoi nipoti, un secolo più tardi, potranno «conoscere» e fare il replay delle abitudini informazionali e delle capacità mentali dell’avo. Saranno in grado di «condividere e rivivere esperienze» in tutti i particolari. Per fare un esempio banale, se vengono immagazzinate le mosse fatte da una persona nel corso di una partita a scacchi, i posteri sono in grado di rivivere, mossa dopo mossa, una partita giocata dalla Bisnonna nel secolo scorso.
A mano a mano che la lettura passiva verrà sostituita dalla «riscrittura attiva», le generazioni a venire saranno in grado di rivivere le grandi storie dei nostri tempi.
Anche più affascinante è la possibilità di implementare il sapere estratto nel corso del tempo da una persona — le credenze, preferenze e tendenze — come serie di algoritmi che guidino un programma capace di agire in modo funzionalmente identico alla persona stessa. I progressi nel campo della robotica faranno sì che queste «creature di Turing» non saranno più dei semplici «cervelli in scatola», ma ibridi capaci di interagire sensorialmente con il mondo fisico.

22. Nanotecnologia: trasferimento diretto da cervello a computer

Quando un computer diventa obsoleto, non si gettano via i dati in esso contenuti. Lo hardware è semplicemente un veicolo temporaneo per le strutture di informazioni, che vengono trasferite su sistemi nuovi per poterne continuare l’utilizzo. I costi decrescenti della memoria anche con i sistemi di CD-ROM e WORM fanno sì che nessuna informazione generata oggi debba mai andare perduta.

Possiamo prendere in considerazione la possibilità di costruire un substrato informatico artificiale identico, sia strutturalmente che funzionalmente, al cervello (e forse anche al corpo) di una persona. Questo è realizzabile con le possibilità già previste per la nanotecnologia. Le nano- macchine che pervaderanno il corpo umano potranno analizzare la struttura neurale e trasferire le informazioni ottenute verso macchine capaci di costruirne, atomo per atomo, una copia identica.

Nella definizione del American Heritage Dictionary, «anima» è «il principio fondamentale e vitale nell’uomo, cui si attribuiscono le facoltà di pensiero, di azione e di emozione, concepito come entità non materiale distinguibile dal corpo ma temporaneamente coesistente con questo». Dal punto di vista della teoria delle informazioni, «non materiale» può interpretarsi come «invisibile all’occhio nudo, cioè atomico-molecolare elettronico», e «anima» come informazioni elaborate e conservate in pacchetti atomici, microscopico-cellulari, molecolari. «Anima» diventa ogni informazione «vivente», capace cioè di essere ricuperata e trasmessa.

Tutti i test per rivelare la «morte» a ogni livello (nucleare, neurale, corporeo, galattico) comportano l’assenza di segnali. Da questo punto di vista le opzioni dell’immortalità diventano metodi cibernetici per conservare la propria capacità segnaletica. Esistono tante anime quanti modi di conservare e di comunicare i dati. Il folklore tribale definisce l’anima della razza. Il DNA è un’anima molecolare, il cervello un’anima neurologica. L’immagazzinamento elettronico crea l’anima in silicio; la nanotecnologia rende possibile l’anima atomica.

23. Esistenza virale informatica nella matrice ciberspaziale

L’opzione precedente consentiva la sopravvivenza personale tramite la mappatura isomorfica della struttura neurale su silicio (o su un altro substrato a scelta). Suggerisce anche la possibilità della sopravvivenza come entità in un’equivalente dell’inconscio collettivo di Jung: la rete informatica globale.

Nel Secolo XXI immaginato da William Gibson, i cibernauti più abili non solo immagazzineranno sé stessi elettronicamente, ma lo faranno sotto forma di «virus informatico» capace di attraversare le reti e di replicarsi come salvaguardia contro la cancellazione, accidentale o intenzionale da parte di altre persone o di altri programmi.

Data la facilità con la quale si copiano le informazioni su computer, una persona potrebbe esistere sotto molte forme simultanee. Che significato abbia la parola «io» in una situazione del genere sarà materia di studio per i filosofi. Noi riteniamo che la coscienza persisterebbe in ciascuna delle forme, indipendentemente (e inconsapevole dell’auto-manifestazione delle altre forme se non in comunicazione con esse).

[Nota: Le opzioni per il coma metabolico reversibile e per l’auto-metamorfosi elencate in precedenza non si escludono a vicenda. La persona intelligente ha poco bisogno di incoraggiamento per esplorare tutte queste possibilità, e per disegnare molte altre alternative nuove all’arrendersi passivamente alle direttive trasmesse dall’alto.]

Kon-tiki della carne

Nel prossimo futuro il deperibile essere umano, che viene ora preso per scontato sarà solo una curiosità storica, un punto in mezzo a una quantità inimmaginabile di forme diverse. Gli individui, o i gruppi di avventurieri saranno liberi di scegliere di riprendere la forma in carne e ossa, costruita ad hoc dalla scienza appropriata.

Metodi cibernetici per l’immortalità

(Vita artificiale «in suicidio»), di Eric Gullichsen

Alcuni visionari del silicio ritengono che l’evoluzione naturale della specie umana (o almeno del loro ramo di questa) si stia avvicinando al completamento. A loro non interessa più la semplice procreazione ma piuttosto la progettazione dei propri successori. Scrive Hans Moravec, scienziato della robotica alla Carnegie-Mellon University:

La società umana è ora a una svolta nel processo evolutivo, tale che è sotto il nostro stesso controllo determinare il prossimo passo evolutivo della specie.

O, più precisamente, i prossimi passi; avranno luogo in parallelo e produrranno un’esplosiva diversificazione della specie umana. Per sopravvivere, non dipendiamo ormai più dalla salute fisica. I nostri dispositivi quantistici e quelli meccanici, più tradizionali, offrono in ogni circostanza i mezzi necessari. In un futuro prossimo le convergenti tecnologie biologiche e informatiche faranno della forma umana una questione di scelta personale.

Come specie fatta di carne e di ossa siamo fermi. Oltre la nostra posizione attuale è un orizzonte oltre il quale c’è l’ignoto, l’inimmaginato. Progetteremo i nostri figli e entreremo intenzionalmente in co-evoluzione con gli artefatti culturali che costituiscono la nostra progenie.

Gli umani si presentano già in una varietà di razze e di dimensioni, ma rispetto al significato che il termine «umano» assumerà nel giro del prossimo secolo, siamo tutti simili l’uno all’altro come lo sono le molecole di idrogeno. Il nostro antropocentrismo si ridurrà.

Considerate due fra le principali categorizzazioni della forma umana del futuro, una delle quali è di tipo più biologico — un ibrido biomacchina — di una qualsiasi forma prescelta, e una per niente biologica — una vita «elettronica» su reti di computer. L’umano come macchina, e l’umano in macchina. L’umano come macchina, forse, è più facile da concepire. Abbiamo già dei primitivi impianti di protesi: membra, valvole e organi artificiati. I continui miglioramenti nella vecchia e lenta tecnologia meccanica portano lentamente a una sempre più completa integrazione tra umani e macchine.

La forma di vita elettronica dell’umano in macchina è ancora più aliena al nostro concetto attuale di umanità. Tramite l’immagazzinamento dei propri sistemi di credenze su strutture-dati online, guidate da strutture di controllo selezionate (l’analogo elettronico della volontà?), il nostro apparato neurale opererà in silicio proprio come in precedenza aveva operato sulle strutture biologiche del cervello, anche se in maniera più veloce, più accurata, più auto-mutabile e — se lo si desidererà — anche in modo immortale.

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Mario Mancini
Mario Mancini

Written by Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.

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