3. Il rapporto di Freud verso la madre; fiducia in se stesso e insicurezza

Mario Mancini
9 min readJun 14, 2020

di Erich Fromm

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Il fotogramma di una delle più famose sequenze della storia del cinema. Si tratta de “La madre (Мать)” un film del 1926 di Vsevolod Pudovkin, tratto dall’omonimo romanzo di Maksim Gor’kij.

La comprensione dei fattori (a parte quelli costituzionali) che determinano lo sviluppo del carattere d’un uomo deve partire dal suo rapporto verso la madre. Però, nel caso di Freud, sappiamo relativamente poco intorno a questo rapporto.

Il fatto è tuttavia di per sé significativo, poiché Freud stesso, nei suoi sforzi autobiografici, fu certamente parsimonioso nel fornirci informazioni intorno alla madre. Fra una trentina di sogni propri che egli riporta ne L’interpretazione dei sogni, ce ne sono solo due che riguardano la madre (Freud, che era un sognatore molto prolifico, deve aver avuto molti più sogni relativi alla madre, che egli non riportò); entrambi esprimono un intenso attaccamento nei suoi confronti.

Uno, il «sogno delle tre Parche», si svolge nel modo seguente:

Andai in cucina in cerca di un po’ di dolce. C’erano tre donne; una era l’albergatrice e stava maneggiando qualcosa, come se stesse facendo gli gnocchi. Rispose che dovevo aspettare che finisse. (Queste parole non erano chiare). Ero impaziente e andai via offeso. Mi infilai un soprabito, ma il primo che provai era troppo lungo per me. Me lo levai, piuttosto sorpreso di vederlo bordato di pelliccia. Il secondo che indossai aveva una lunga striscia con sopra un disegno turco. Uno sconosciuto col viso lungo ed il pizzetto mi si avvicinò e cercò di impedirmi di indossarlo, dicendo che era suo. Allora gli feci vedere che era tutto ricamato su un disegno turco. Egli chiese: «Che cosa c’entrano (i disegni, le strisce . . .) con lei?». Ma poi facemmo amicizia[1].

In questo sogno riconosciamo il desiderio di essere nutrito dalla Madre (che la «padrona», o forse tutte e tre le donne, rappresentino la Madre diventa del tutto chiaro dalle associazioni di Freud relative al sogno). L’elemento specifico nel sogno è l’impazienza del sognatore. Quando gli viene detto che deve attendere che lei sia pronta, egli se ne va «offeso».

E cosa fa allora? Indossa un soprabito guarnito di pelliccia che è troppo lungo per lui, poi un altro che appartiene a qualcun altro. Vediamo in questo sogno la tipica reazione d’un ragazzo prediletto dalla madre; egli insiste per essere nutrito da lei («essere nutrito» va inteso simbolicamente come «essere curato, amato, protetto, ammirato», ecc.).

È impaziente e furioso se non è «nutrito» immediatamente perché sente di aver diritto a una immediata e completa attenzione. Nella sua rabbia esce e usurpa il ruolo del grande uomo-padre (simbolizzato dal soprabito che è troppo lungo e appartiene a uno straniero).

L’altro sogno che riguarda la madre risale all’infanzia di Freud, dai sette agli otto anni, ed è ancora ricordato e interpretato trent’anni più tardi.

«Vidi la mia cara madre, con un’espressione sul volto particolarmente tranquilla, addormentata, mentre, veniva portata nella stanza da due (o tre) persone con becchi d’uccello e deposta sul letto»[2].

Freud ricorda di essersi destato dal sogno piangendo e gridando, con un’ansietà comprensibile se si considera che stava sognando della morte della madre. Il fatto che egli ricordasse il sogno così vividamente dopo oltre trent’anni tende a dimostrare la sua importanza.

Ora, considerando insieme entrambi i sogni, vediamo un ragazzo che si aspetta che la madre appaghi tutti i suoi desideri ed è terrorizzato dall’idea che essa possa morire. Tuttavia, il fatto che questi siano gli unici due sogni relativi alla madre che Freud riporta è in se stesso significativo, da un punto di vista psicoanalitico.

Esso tende a provare l’ipotesi di Ernest Jones:

«che nei suoi anni giovanili Freud avesse avuto fortissimi motivi per nascondere, forse anche a se stesso, qualche fase importante del suo sviluppo, che mi azzarderei a indicare nel suo profondo amore per la madre»[3].

Gli altri fatti che conosciamo sulla vita di Freud puntano nella stessa direzione. Il fatto che egli fosse molto geloso del fratello Julius, nato quando egli aveva undici mesi, e che non abbia mai amato la sorella Anna, più giovane di due anni e mezzo, può non essere un dato sufficientemente specifico per suffragare questa ipotesi; ma ci sono altri fatti più specifici e più stringenti.

In primo luogo, la sua posizione di figlio prediletto, messa in evidenza molto energicamente da un evento che si verificò quando la sorella di Freud aveva circa otto anni.

«La mamma, che amava molto la musica, le permise di studiare il pianoforte ma, sebbene questo fosse a una certa distanza dal gabinetto il suono disturbava talmente il giovane studente, che questi insisté perché il piano fosse eliminato. Così avvenne, e perciò nessuno in famiglia ebbe un’educazione musicale, così come non la ebbero più tardi i figli di Freud»[4].

Non è difficile immaginarsi la posizione che il ragazzino di dieci anni aveva acquisito presso la madre, se riuscì a impedire l’educazione musicale della sua famiglia perché non amava il «rumore» della musica[5].

Il profondo attaccamento nei confronti della madre è espresso anche nella vita successiva di Freud. Egli, che a parte i compagni di Tarocchi e i colleghi difficilmente dedicava il proprio tempo libero a qualcuno, compresa sua moglie, faceva visita alla madre ogni domenica mattina, e la riceveva in visita ogni sabato per colazione, fino a quando era vecchio.

Questo attaccamento per la madre e il ruolo di essere il figlio prediletto e ammirato ha importanti implicazioni per lo sviluppo del carattere, che Freud stesso ha scorto e riportato in un senso probabilmente autobiografico.

«Un uomo che è stato l’indiscusso favorito della propria madre porterà per tutta la vita il senso del conquistatore, quella fiducia nel successo che spesso procura il successo reale»[6].

L’amore materno è incondizionato per definizione; la madre non ama il figlio, come il padre, perché egli lo merita, a causa di quello che ha fatto, ma perché esso è suo figlio. Anche l’ammirazione della madre per il figlio è incondizionata; essa lo adora e lo ammira non per quello che egli fa, ma perché è suo figlio.

Questo atteggiamento diventa più radicale se un figlio è il prediletto della madre e se allo stesso tempo la madre ha maggiore vitalità e fantasia che non il padre e quindi domina in famiglia, come sembra essere stato il caso nella famiglia di Freud[7].

L’ammirazione materna dà quel senso di vittoria e di successo di cui parla Freud. Esso non deve essere conquistato, esso non può essere messo in dubbio. Questa fiducia in se stesso si dà per scontata, essa si aspetta rispetto e ammirazione, dà l’impressione di essere superiore, e non eguale all’uomo medio.

Naturalmente questo tipo di suprema fiducia in se stesso condizionato dalla madre si trova in individui estremamente dotati come in individui scarsamente dotati. In quest’ultimo caso troviamo frequentemente una tragicomica discrepanza fra pretese e doti; nel primo caso, un potente sostegno per lo sviluppo dei talenti e delle doti d’un individuo.

Che Freud avesse questo tipo di fiducia in se stesso, e che questa fosse basata sul suo attaccamento per la madre, è un’opinione espressa anche da Jones:

«Questa fiducia in se stesso — egli scrive–, che era una delle caratteristiche più spiccate di Freud, vacillò solo di rado, ed egli aveva indubbiamente ragione nel farla risalire alla sicurezza dell’amore di sua madre»[8].

Questo intenso attaccamento di Freud per la madre, che in gran parte egli nascose agli altri, e probabilmente anche a se stesso, è della massima importanza non solo per comprendere il carattere di Freud, ma anche per la valutazione di una delle sue scoperte fondamentali, quella del complesso di Edipo.

Freud spiegò — del tutto razionalisticamente — l’attaccamento per la madre come basato sull’attrazione sessuale del bambino per la donna con la quale esso ha la maggior intimità. Ma, tenendo conto dell’intensità del suo attaccamento per la propria madre, e del fatto che tendeva a rimuoverlo, è comprensibile che egli interpretasse una delle più forti aspirazioni dell’uomo, l’intenso desiderio della cura, della protezione, dell’amore omniavvolgente e dell’ammirazione della Madre, come il più limitato desiderio del bambino di soddisfare i suoi bisogni istintuali attraverso la Madre.

Egli scoprì una delle più fondamentali aspirazioni dell’uomo, il desiderio di rimanere attaccato alla Madre, e cioè al seno, alla natura, all’esistenza pre-individualistica e preconscia e allo stesso tempo negò la sua stessa scoperta restringendola al piccolo settore dei desideri istintuali.

Il suo stesso attaccamento per la Madre costituì la base della sua scoperta e la sua resistenza a vedere questo attaccamento fu la base della limitazione e della distorsione di questa stessa scoperta[9].

Ma l’attaccamento alla Madre, anche quello più soddisfacente, che implica un’indiscutibile fiducia nel suo amore, non comporta soltanto l’aspetto positivo di dare un’assoluta fiducia in se stesso, ma anche l’aspetto negativo di creare un senso di dipendenza e di depressione ogni qual volta l’esperienza euforizzante di amore incondizionato e di ammirazione non è prossima.

Sembra che questa dipendenza e insicurezza siano gli elementi centrali della struttura del carattere di Freud, e della sua nevrosi.

L’insicurezza di Freud trovava l’espressione così caratteristica dell’individuo orale-ricettivo, la paura della fame, dell’inedia. Poiché la sicurezza della persona ricettiva si basa sulla convinzione di essere nutrito, curato, amato, ammirato dalla madre e le sue paure riguardano esattamente la possibilità che questo amore venga a mancare.

In una lettera a Fliess (21 dicembre 1899) Freud scrive:

«La mia fobia era dunque una fobia per la povertà, o piuttosto per la fame, derivata dalla mia ghiottoneria infantile e ravvivata dalla circostanza che mia moglie non ebbe dote (della qual cosa sono orgoglioso)»[10].

Lo stesso tema è toccato in un’altra lettera a Fliess (7 maggio 1900); qui Freud dice:

«In complesso — eccetto per un punto debole, la mia paura della povertà — ho troppo buon senso per lamentarmi…» [11].

Questa paura di diventare povero trovò espressione in uno dei momenti più drammatici della carriera di Freud, quando persuase i suoi colleghi viennesi, per la maggior parte ebrei, ad accettare la leadership degli analisti zurighesi (per la maggior parte cristiani).

Quando i viennesi non vollero accettare questa proposta, Freud dichiarò (1910):

«I miei nemici desidererebbero vedermi morire di fame; mi strapperebbero di dosso persino i vestiti»[12].

Questa affermazione, anche tenendo presente che era intesa a influenzare gli esitanti viennesi, era certamente del tutto esagerata, ed è un sintomo della stessa paura di morire di fame che Freud menziona nelle sue lettere a Fliess.

L’insicurezza di Freud trovò anche altre espressioni. La più evidente è la sua paura connessa con il viaggiare in treno. Egli doveva andare alla stazione un’ora prima della partenza del treno, per essere sicuro di non perderlo. Come sempre, se si analizza questo sintomo, occorre afferrarne il significato simbolico.

Viaggiare è spesso un simbolo del lasciare la sicurezza della madre e della casa, di essere indipendenti, tagliando le proprie radici. Perciò, per le persone con un forte attaccamento per la madre, viaggiare è spesso avvertito come pericoloso, come un’impresa per la quale bisogna prendere particolari precauzioni.

Per la stessa ragione Freud evitava anche di viaggiare da solo. Nei suoi lunghi viaggi durante le vacanze estive, era sempre accompagnato da una persona sulla quale potesse fare assegnamento, abitualmente uno dei suoi allievi, talvolta la sorella della moglie.

Ed è sempre per lo stesso motivo, e cioè per il suo timore di tagliare le proprie radici, che Freud visse nello stesso appartamento nella Berggasse dai primi tempi del suo matrimonio fino al giorno della sua forzata emigrazione dall’Austria.

Vedremo in seguito come questa dipendenza dalla madre si manifestasse nel suo rapporto con la moglie e anche con uomini, più anziani di lui, coetanei e allievi, sui quali trasferiva lo stesso bisogno di amore incondizionato, di ammirazione e di protezione.

Note

[1] Sigmund Freud, L’interpretazione dei sogni, trad. it., Newton Compton ed., Roma, 1971, p. 196.

[2] Ibid., pp. 479–80.

[3] Jones, op. cit., Vol. I, p. 490

[4] Ibid., Vol. I, p. 44.

[5] È esempio caratteristico dell’approccio idoleggiarne e non-analitico della biografia di Jones il fatto che questi osservi che questo episodio è un esempio « della considerazione in cui la famiglia teneva lui ed i suoi studi». Ovviamente questa interpretazione è convenzionale e basata sul senso comune, non analitica e dinamica.

[6] Citato da Jones, op. cit., Vol. I, p. 29.

[7] Cfr. E. Simon, op. cit., p. 272.

[8] Jones, op. cit., Vol. I, p. 29.

[9] È interessante notare che anche J. J. Bachofen, il grande precursore di Freud nella scoperta della potenza dell’attaccamento alla madre, era profondamente attaccato alla propria madre (si sposò sulla quarantina, dopo la morte di lei). Bachofen tuttavia non cercò di minimizzare la forza di questo attaccamento emotivo ma, al contrario, rivelò la sua importanza nella sua teoria del matriarcato.

[10] Cfr. S. Freud, Le origini della psicoanalisi, lettere a Wilhelm Fliess 1887–1902, trad. it., Boringhieri, Torino, 1968, p. 231.

[11] Ibid., p. 241 (il corsivo è mio. E. F.).

[12] Citato da Jones, op. cit., Vol. II, p. 97.

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Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.