3.1 La generazione di Woodstock

Timothy Leary. Caos e Cibercultura — 3. Controculture

Mario Mancini
10 min readFeb 23, 2020

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Quest’estate si celebra il ventesimo anniversario dei giorni in cui oltre quattrocentomila giovani Americani trascorsero tre giorni e tre notti a divertirsi in modo spettacoloso al festival rock di Woodstock. Fu semplicemente la festa più folle e più influente di tutta la storia! Se non è cosi, vi prego di dimostrare il mio errore in modo che possiamo imparare e migliorare. Per un fine settimana questo campo di una fattoria divenne la terza città dello Stato di New York. Quasi mezzo milione di giovani Americani viziati, ricchi, istruiti, schiacciati, compressi, compattati in un pascolo di vacche. Un minimo assoluto di servizi sanitari. E di cibo (che naturalmente venne condiviso con amore). Fango al posto della moquette. Un lato negativo, questo. Lati positivi? Il più grande, più pagano evento musicale del rock ’n’ roll di tutta la storia, con abbondanza di gioiosa nudità e di sacramenti psichedelici. E fate clic qui: neanche un solo caso noto di violenza!

II festival di Woodstock fu un revival altamente spettacoloso del rito religioso più antico e più fondamentale: una celebrazione pagana della vita e della natura primitiva, una classica «cerimonia di possessione» di gruppo in cui la congregazione «va fuori di testa» per confrontarsi spericolatamente con le caotiche Sorgenti Superiori, ma protetta dal sostegno del gruppo.

Controllate nei testi di antropologia. Leggete Campbell e Frazer; vedrete come questi riti risalgano a tanto tempo prima delle religioni monoteiste, aggressive puritane (Un solo Dio Maschio). I riti pagani celebrano sempre gli stessi valori naturali, instintivi, semplici, eterni, utopici. Pace. Pura sessualità estatica.

Uguaglianza agli occhi dei Poteri Superiori. Gioia, Divertimento, Tolleranza, affermazione della vita, dello spirito umano. L’onesto corpo nudo umano. E allegre risate.

I festival di questo tipo risvegliano le più antiche e più alte aspirazioni del cervello umano.

Ma vi avverto… se vi alzate in piedi come individui e lodate queste aspirazioni, sarete inevitabilmente derisi dalla banda dei Rambo-Liddy-Ollie North e compagnia bella allevati con gli steroidi e dalle autorità adulte in genere: «Il mondo è un posto duro e insidioso» vi diranno gli esperti della saggezza convenzionale.

Ma quando si radunarono quattrocentomila giovani energici e istruiti, nell’agosto del 1969, per proclamare in azione questi venerabili valori pagani, l’effetto fu contagioso. In questi giovani adulti divampò una spericolata fiducia. Avete visto i film degli anni Sessanta. Sorrisi soleggiati, impertinenti, contagiosi, un senso innegabile dello stare insieme. Niente segreti, nessuna vergogna per le esperienze dei momenti pagani. Scambi aperti e orgogliosi di erbe psichedeliche. Potete immaginare qualcuno a Woodstock che si appartasse per farsi una pera dietro un cespuglio? O che spacciasse coca di nascosto? O che si facesse di steroidi mentre ascoltava Jimi Hendrix e i Grateful Dead?

Questa «Woodstock experience» divenne il modello per la controcultura dell’epoca. I ragazzi dell’Estate dell’Amore proseguirono, per cambiare in modo permanente la cultura americana con quei principi che nel 1989 i Sovietici chiamarono glasnost e perestroika.

Gli hippy diedero il via al movimento ecologico. Combatterono il razzismo. Liberarono gli stereotipi sessuali, incoraggiarono il cambiamento, l’orgoglio individuale e la fiducia in sé. Misero in discussione il materialismo da robot. In quattro anni riuscirono a porre fine alla guerra del Vietnam. Fecero depenalizzare la marijuana in quattordici Stati durante la presidenza di Carter. Eccetera.

Ci fu un altro sottoprodotto della generazione degli anni Sessanta che è tanto ovvio da essere soltanto raramente preso in considerazione. Quando oltre 400.000 giovani maschi e femmine, nel pieno dello sviluppo sessuale, si sono trovati insieme in quell’atmosfera di affermazione della vita, fu inevitabile che avesse luogo un sacco di «zicchi pacchi zicchi pù». È del tutto possibile che siano stati concepiti diecimila bambini in quel magico fine settimana del 1969.

Dove sono, oggi, quei figli dei figli degli anni Sessanta? E chi sono?

I bimbi della stagione di Woodstock hanno, oggi nel 1989, venti anni e durante i prossimi dodici anni i membri più giovani di queste coorti brulicheranno nei campus universitari.

Saranno, questi universitari degli anni Novanta, i nipoti del dottor Spock, diversi dai ragazzi conservatori dei campus degli anni Ottanta?

Se tua Mamma correva in giro a Woodstock con il culo all’aria… se Papà aiutava Abbie Hoffman a far paura al Pentagono… se i vostri genitori fumavano «la droga» durante i loro anni formativi mentre ascoltavano Dylan, i Rolling Stones, e i Beatles… se hanno pianto per le morti in attentati fascisti dei Kennedy, di Martin Luther King, Jr., e di John Lennon… se i tuoi hanno fatto tunon, tune in, drop out… pensi davvero di laurearti in Gestione aziendale e di precipitarti verso Wall Street per vendere junk bond?

I poveri studenti degli anni reaganiani, conservatori, timorosi, conformisti degli anni di Reagan avevano sulla groppa Mamme e Papà cresciuti nei blandi anni 1950 di Eisenhower. Gli spettri di quel decennio — il senator (Temi-i-Rossi) McCarthy e il generai Douglas («abbasso gli occhi a mandorla») MacArthur e John Wayne e Father Knows Best tornarono a frequentare come fantasmi i college degli anni Ottanta.

La generazione Reagan

La Rivoluzione di Woodstock ebbe inizio nel 1966, giunse al culmine del 1976 e si sbattè contro il muro con un tonfo secco nel 1980 nel momento dell’elezione di Nancy Reagan.

Durante gli anni Ottanta la dolce tolleranza di Woodstock cedette il passo alla linea dura da Corpo dei Marines. Il pacifismo del «Dai spazio alla pace» diede luogo a un borioso militarismo. La conquista di Grenada. Il glorioso bombardamento della tenda di Ghedaffi. La guerra nascosta contro il Nicaragua. Star Trek cedette il passo a Guerre Stellari.

La Guerra contro la droga portò la dolce marijuana a prezzi proibitivi. La DEA riuscì a rendere inaccessibili i pacifici elisir visionari come funghi, mescalina, LSD, MDMA. Così, addio tune on, tune in, drop out… ed ecco il motto degli anni Ottanta? Tieni duro, non rischiare, fai quello che puoi.

E cosa ha prodotto la Guerra contro la Droga? Un’epidemia di beoni. È di nuovo in sella l’alcool, droga d’elezione della NRA [National Rifle Association, potente lobby a favore del libero possesso di armi — NAT.] la American Legion [potente associazione patriottica di destra — N.d.T.].

Turn down! Dine out!
Throw up!

E la cocaina. Un’epidemia di neve, di crack che ha fatto dei quartieri bassi delle città una bomba a orologeria. La cocaina, carburante delle gerarchie nazifasciste, improvvisamente trasforma le città dell’America di Reagan-Bush in campi di battaglia!

Pistole, fucili, armi automatiche comodamente messi a vostra disposizione dall’NRA e dall’armaiolo con tanto di licenza governativa; basta entrare e chiedere l’arma che volete. Ed eccovi serviti, senza domande.

Turn out! Shoot up!
Drop dead!

Ed ecco un extra farmaceutico per l’America del dopo-Woodstock: quale nuova Rambo-droga ha offerto alla nostra gioventù il regime macho muscoloso di Reagan-Bush per sostituire gli anni da pappamolle di Carter? Gli steroidi!

Turn off! Tune out!
Pump up!

Grazie, Nancy. E che ne è dei ragazzi del college? Ricordatevi, la controcultura degli anni Sessanta aveva il fulcro nei campus. Berkeley, Kent State, Columbia, Madison, Austin, Boulder. Seattle. Ma negli anni Ottanta le università, sorgente del nostro futuro, sono colte da un impetuoso fermento di inerzia. Mentre i coraggiosi studenti della Corea del Sud, della Cina, dell’Unione sovietica, mettevano in vista l’idealismo che avevano doverosamente appreso da Woodstock, qui in America gli studenti sono diventati conservatori, materialisti, orientati alla carriera, come nelle università giapponesi e in quelle russe sotto Brezhnev.

Durate gli ultimi dieci anni il campus si è preoccupato poco delle questioni sociali. Il sistema goliardico alla Dan Quayle è tornato in auge. Clown universitari in assoluto, i cadetti ufficiali del ROTO, uomini e donne cresciuti ma con i capelli tagliati alla Ollie North sono diventati se non popolari almeno accettabili.

Il simbolo sonoro di questo cambiamento da anni Sessanta ad anni Ottanta è la musica. Se volete trovare l’anima di una cultura ascoltate le parole che ispirano la musica e i suoi ritmi.

Negli anni Sessanta Dylan cantava: We ain’t gonna work on Maggie’s farm no more, e Lennon: Give Peace a Chance. Nei sonnambuli anni Ottanta Michael Jackson, Prince, Madonna, George Michael ci hanno tenuti in movimento nelle grandi arene-auditorium sotto gli occhi vigili delle guardie di sicurezza, ma le parole delle canzoni non hanno valore di redenzione sociale, mentre la rabbia dei giovani attivisti musicali si limita alla denigrata scena dei punk.

I politici conservatori e i predicatori fondamentalisti sono stati molto contenti del nuovo conformismo. I professori universitari, orgogliosi veterani della controcultura si aspettarono invano che i nuovi studenti portassero avanti la tradizione della libertà individuale. Gli studenti più pensanti sentirono come per istinto che in qualche modo mancava qualcosa. La triste nostalgia dei blue jeans stinti non bastava a rivitalizzare lo spirito.

Estate d’amore

Come può essersi trasformata, l’estate d’amore, nell’inverno dell’Irangate? Quanto tempo durerà questo conservatorismo? Si rinnoveranno gli anni Sessanta? È facile trovare la risposta nei dati demografici.

Questi rampolli conformisti che avevano vent’anni nel 1980 sono stati allevati da genitori i cui ideali sociali da teenager erano emersi nei castigati anni Cinquanta. La risposta è di una precisione quasi sovrannaturale.

A quei tempi avevamo un amabile vecchio rimbambito presidente chiamato Ike [Eisenhower N.d.T.] che come strategia politica aveva un ghigno rassicurante. C’era una Grande Crociata Contro l’Impero del Male che condusse all’inutile carneficina della Guerra di Corea. E se i tuoi erano in grado di sopportare Tricky Dick Nixon nel ruolo di vicepresidente nel 1959, certo tu sarai più in grado di mandar giù Dan Quayle come comandante in seconda nel 1989!

Negli anni 1950, il cancro domestico, il periglio numero uno che minacciava dall’interno la nostra nazione, era il sovversivo comunismo. Ed ecco a voi un’entusiasmante Guerra civile che sguinzagliò agenti dell’FBI e buffoni polizieschi dalla linea dura a bloccare e a perseguitare rossi, rosa, simpatizzanti comunisti, traditori pacifisti e liberali, sostenitori di complotti poco americani per ottenere l’uguaglianza razziale e sessuale.

Negli anni Ottanta, ecco la sequela del Maccartismo. La Guerra civile contro la Droga ha sguinzagliato agenti dell’FBI e buffoni polizieschi dalla linea dura (credi o non credi, con uno «zar» come condottiero) a perseguitare libertari, edonisti intelligenti e trenta milioni di fan della marijuana che non vogliono che il governo dica loro quel che debbono fare della propria mente.

Negli anni Ottanta la caccia alle streghe non comporta più i test di lealtà condotti dall’FBl, ma quelli delle urine condotti dalla DEA. Ma è all’opera lo stesso fanatismo da Inquisizione.

Negli anni Ottanta come trent’anni prima, il carrierismo e l’accettazione cieca dell’autorità avevano il massimo valore. Negli anni Cinquanta non si udì nemmeno un muggito quando milioni di giovani coscritti furono inviati a seimila miglia di distanza a invadere la Corea. Il più in vista tra i giovani ribelli culturali, Elvis Presley, si presentò rispettosamente con la cartolina precetto, vestito da bravo soldatino, e su suggerimento della sua figura paterna, il Col. Parker, proclamò: «Non vedo l’ora di servire nell’Esercito. Sono sicuro che sarà per me un’esperienza grandiosa.»

Poco tempo dopo il servizio militare in Germania, Elvis entrò barcollando nell’ufficio di J. Edgar Hoover [allora capo deU’FBI — N.d.T.], pieno fino all’inverosimile di droghe prescritte dal medico e si offrì all’FBI come informatore pentito sulla droga, vantandosi che i suoi contatti con altri musicisti avrebbero fatto di lui un ideale doppio agente. Altro che John Lennon, quello lì.

Sorprende che uno studente degli anni Ottanta — per i cui genitori i momenti più alti dell’individualità culturale e di passione sociale erano i raid per rubare mutandine nei dormitori femminili o tentare di conquistare il record del numero massimo di ragazzi capaci di entrare, contemporaneamente, in una cabina telefonica — possa apparire apatico e allegro negli anni Reagan-Bush?

Gli ideali degli anni Sessanta — individualità, libertà personale, espressione libera — vennero messi da parte come delinquenza adolescenziale. I bravi ragazzi americani, grazie a Dio, si sono assunti le sobrie responsabilità della storia: combattere la Guerra fredda, andare in chiesa e votare Repubblicano (o anche Democratico, visto che non cambia niente), vestirsi e comportarsi con decoro, sostenere i militari e la polizia che ci difendono contro i mortali nemici all’estero e contro i nemici nei ghetti e nei quartieri degradati delle grandi città.

Nel 1989, però, questa fantasia della destra cominciava a sciogliersi alla luce delle nuove esplosioni di idealismo giovanile.

Venti anni dopo Woodstock i telegiornali ci mostrano ancora una volta centinaia di migliaia di volti giovani dietro la cortina di ferro, volti illuminati di idealismo patriottico, che dimostrano pacificamente per rovesciare una decadente burocrazia federale. È un déja vu potente vedere i ragazzi tedeschi dai capelli lunghi che fanno il segno universale della pace e mettono a rischio il proprio corpo e la propria carriera in nome della democrazia e dei diritti individuali. Ancora una volta avvengono confronti in cui gli studenti sfidano, ma pacificamente, la Guardia nazionale. Ancora una volta la tattica audace ma giocosa del teatro d’avanguardia di agitazione in Tv che si sostituisce alla violenza. Una risata vi seppellirà. Migliaia di contestatori che vanno in bicicletta (!) verso la rivoluzione. Cosa ne avrebbe pensato, Carlo Marx, di una manovra del genere?

E questi studenti cinesi, dove mai hanno imparato questi furbi metodi di cattura delle videate di notizie per esprimere i propri ideali? Dove hanno imparato le tecniche dei media per opporsi alle forze armate dello Stato? Dai vecchi cinegiornali delle proteste nei campus americani degli anni Sessanta, i cui ideali non sono ancora defunti. Furono anzi ancor più potenti nella piazza Tien An-Men cinese, nonché nell’URSS dove glasnost e perestroika definiscono libertà individuali.

I giovani in Cina, in Cecoslovacchia, nella Corea del Sud sono i figli dei figli degli anni Sessanta. Tenete aperti gli occhi; presto vedrete un revival di questo movimento verso la libertà in un campus universitario dalle vostre parti.

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Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.