2.6 Salti quantistici. Il tuo Macintosh, e tu

Timothy Leary. Caos e Cibercultura — 2. Cibernetica e ingegneria del caos

Mario Mancini
13 min readFeb 21, 2020

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Un universo di bit e di byte amichevoli verso l’utente

La grande conquista del Secolo XX fu la scoperta, da parte dei fisici nucleari e quantistici intorno al 1900, che la realtà visibile tangibile è scritta in BASIC. Sembra che viviamo in un universo composto da un numero piccolo di elementi-particelle-bit che vorticano in nuvole caotiche, e che occasionalmente si raggruppano in configurazioni provvisorie dotate di logica geometrica.

Il solido universo newtoniano che fece riferimento a concetti immutabili come massa, forza, momento e inerzia, tutti collegati in un dramma manicheo basato su reazioni uguali di bene contro male, di gravità contro levità, e di entropia contro evoluzione produsse pie nozioni di tipo contabile come la conservazione dell’energia. Questo universo alla General Motors, affidabile, noioso e prevedibile fu trasformato nelle mani di Einstein/Planck in videate quantistiche, digitalizzate, eteree, di probabilità elettroniche.

Nel 1989 navighiamo in mezzo a una realtà che Nils Bohr e Werner Heisenberg si sarebbero potuti tutt’al più sognare. Emerge come l’universo descritto nelle loro equazioni psichedeliche sia meglio comprensibile come super-mainframe, una costellazione di information processor con sottoprogrammi e stati temporanei in ROM, con macro-espressioni denominate galassie, mini chiamati pianeti, micro chiamati organismi, meta- micro chiamati molecole, atomi particelle e, infine ma non per questo meno importanti, micro chiamati Macintosh.

Sembra essere una logica conseguenza di ciò, che la grande sfida tecnologica del Secolo XX consistesse nel produrre un dispositivo non costoso che fosse in grado di rendere user friendly, “amichevole verso l’utente” questo universo caotico, e che avrebbe consentito all’individuo umano di digitalizzare, di immagazzinare, di elaborare e di riflettere i sottoprogrammi facenti parte delle proprie realtà personali.

Pronunciate con riverenza la parola «Einstein» mentre ponete la mano sul mouse, dando a questo una carezza di ammirazione. Il vostro modesto, fedele, devoto Macintosh è una celebrità evolutiva!

Potrebbe rappresentare un progresso significativo quanto il pollice opponibile, quanto il fare all’amore faccia-a -faccia, quanto il Modello T della Ford, quanto la pressa di Gutenberg. Esserne proprietari vi definisce come membri di una razza nuova; postindustriale, postbiologica, postumana, perché il vostro umile VM (VolksMac) vi consente di pensare e di agire in termini di grappoli di elettroni. Vi consente di andare in crociera nell’oceano caotico post-newtoniano, di pensare e di comunicare nella lingua franca dell’universo che è il dialetto delle galassie e degli atomi. Della luce.

Un dispositivo filosofico concepito dai fisici quantistici

La catena di eventi che ci ha elevato a questo nuovo status genetico di Homo sapiens electronicus, ha avuto inizio verso il giro del secolo.

Ai fisici è generalmente riservato il compito di fornire un’ordinata descrizione della natura della realtà. Fu così che Einstein, Planck, Heisenberg, Bohr, et al., determinarono che le unità di energia/materia erano particelle subatomiche che si spostano continuamente in nuvole di probabilità on-off, 0–1, yin-yang in costante mutamento.

Einstein e i fisici quantistici hanno digitalizzato il nostro universo, hanno ridotto le nostre solide realtà in grappoli di pixel, nelle scale ricorsive dei paradossi alla Godel-Escher-Bach. All’inizio nessuno capiva di che cosa stessero parlando. Espressero le loro conturbanti teorie sotto forma di complesse scritte con gesso su lavagne.

Questi grandi fisici pensavano e comunicavano con strumenti neolitici: segni di gesso sulla lavagna nera della caverna. Il paradosso fu il seguente: Einstein e i suoi geniali colleghi non erano in grado di avere esperienze, né di operare, né di comunicare al livello di elettronica quantistica. In un certo senso erano degli idioti sapienti, in grado di produrre equazioni sul caos e sulla relatività senza essere in grado di instaurare ciber-rapporti interpersonali con il prossimo.

Immaginate per esempio come sarebbe stato se Max Planck avesse avuto la possibilità di accedere a un videogioco! Avrebbe visto subito come i blip di Centopiedi e gli zap di Space Invaders potessero rappresentare i movimenti delle particelle che egli cercava di descrivere con simboli in polvere di gesso sulla sua lavagna.

Pensate all’aggiustamento da capogiro necessario per questo. L’universo descritto da Einstein e dagli scienziati nucleari è alieno e terrorizzante. Caotico.

La fisica quantistica è, in un senso del tutto letterale, un folle trip in acido!

Ne è postulato un allucinatorio universo da Alice nel paese delle meraviglie in cui tutto è in mutamento.

Come hanno detto Heisenberg e Jimi Hendrix: «Nulla è certo tranne l’incertezza.»

La materia è energia. L’energia è materia con accelerazioni di vario tipo. Le particelle si disciolgono in onde. Non ci sono le direzioni su e giù in un film quadridimensionale. Tutto dipende dal vostro atteggiamento, cioè dall’angolo dal quale vi avvicinate ai mondi reali della caotica.

Nel 1910 il dispositivo che noi chiamiamo universo non era amichevole nei confronti dell’utente e non c’era manuale d’uso che ci guidasse passo-passo. Nulla di strano quindi che la gente si sentisse inerme e superstiziosa. Chi abitava nel solido e meccanico mondo del 1910 non poteva comprendere, né avere l’esperienza di un universo einsteiniano più di quanto la regina Vittoria avesse la facoltà della levitazione o un pesce quella di leggere e scrivere in inglese.

In retrospettiva vediamo come i primi settantacinque anni del XX Secolo furono dedicati alla preparazione, all’addestramento e all’iniziazione degli esseri umani alla comunicazione in lingua quantese, cioè al pensiero e all’azione a un livello del tutto diverso, in termini di grappoli digitali.

Tradizionalmente, il compito di preparare alle nuove realtà la cultura umana è stato demandato ai comunicatori tribali chiamati artisti, gente di spettacolo. Quando i filosofi greci hanno tirato fuori i concetti di umanesimo, di individualità, di libertà, furono i pittori e gli scultori di Atene a produrne i logotipi commerciali, le nude statue della formosa Venere, dello snello Mercurio e degli altri arrapati dèi dell’Olimpo.

Quando sono subentrati i monoteismi feudali e antiumani (cristiano, islamico) erano i monaci e i pittori a produrre la grafica commerciale del Medio Evo, Dio come un re barbuto vestito di tutto punto, Madonne e Santi insanguinati e Gesù crocifisso, martiri angosciati tagliati su misura. Questi logotipi pubblicitari erano naturalmente indispensabili a convincere i servi della gleba a sottomettersi al Signore Onnipotente. Certo, non si può mandare avanti un regno o un impero se è pieno di vescovi, papi, cardinali, abati, Ministri del tesoro che corrono gioiosamente in giro con il culo all’aria come i panteisti ateniesi.

Il Rinascimento fu un revival umanistico che preparava gli Europei all’era industriale. Quando Gutenberg inventò quell’economico home computer che fu la macchina per stampare, fu necessario indurre gli individui a imparare a leggere e a scrivere e a «fare da sé». E via di nuovo i vestiti!

Michelangelo eresse una statua di Davide nudo come mamma l’aveva fatto, nella piazza principale di Firenze. E perché Davide? Era quel giovane punk che si era ribellato a Golia, il Rambo prezzolato dell’impero dei Filistei.

In questa prospettiva storica possiamo vedere come il Ventesimo secolo (1900–1994) abbia prodotto una valanga di movimenti artistici, letterari, musicali e di spettacolo, i quali avevano tutti lo stesso scopo comune: di sciogliere la cieca fede nella struttura statica, di ridurre le rigidezze della cultura industriale, di prepararci ad affrontare il paradosso, gli stati alterati di percezione, le definizioni pluridimensionali della natura; di rendere accogliente, domestica, vivibile la realtà quantistica; di farvi sentire a vostro agio mentre fate saltellare di qua e di là gli elettroni sullo schermo del vostro computer. Radio. Telegrafo. Televisione. Computer.

Arte digitale! FOT (fai da te!)

Nell’arte moderna abbiamo visto emergere scuole che scioglievano la rappresentazione della realtà in una gamma diversificata di atteggiamenti soggettivi e relativistici. Gli impressionisti utilizzavano macchie di colori e pennellate posti a caso, convertendo la materia in onde luminose riflesse. Seurat e i divisionisti dipingevano addirittura in pixel.

L’espressionismo offrì una realtà quantistica quasi del tutto spontanea. Fai da te! Il cubismo cercava di ritrarre oggetti comuni in termini di piani e di volumi che riflettessero la fondamentale struttura geometrica della materia, e in questo modo illustrava direttamente la nuova fisica.

I movimenti Dada e del collage spezzettavano la realtà materiale in bit e in byte diversificati.

Il surrealismo produsse un convincente simulacro in liscia plastica della realtà, perfezionata poi dalla Sony. A Tokyo ho sentito antropologi elettronici che arguivano che la persistenza della memoria di Dalì (in cui appaiono orologi che si fondono) avesse creato la moderna cultura giapponese, e nessuna negherà che questa sia eminentemente surreale.

Questi esperimenti estetici di FDT d’avanguardia vennero presto incorporati nella pop art, nella pubblicità e nel design industriale. La società imparava a convivere con le prospettive mutevoli dello schermo e con le rappresentazioni pixellate dell’universo che erano state previste nelle equazioni dei fisici quantistici. Quando la Coca Cola Co. utilizza la faccia digitalizzata di Max Headroom come logotipo aziendale, l’America vive già comodamente in un universo quantistico.

Tagliuzzare la linea delie parole

Queste stesse tendenze estetiche apparirono anche nella letteratura inglese. La prossima volta che darete il boot al vostro Macintosh, ricordale con gratitudine Emerson, Stein, Yeats, Pound, Huxley, Beckell, Orwell, Burroughs, Gysin-tutti i quali hanno avuto successo nello sciogliere le linearità sociali, politiche, religiose e nell’incoraggiare la soggettività e la riprogrammazione innovativa delle realtà caotiche.

L’opera letteraria più influente su questo periodo fu quella di James Joyce. Nell’Ulisse e ne La veglia di Finnegan Joyce fissionò e affettò la struttura grammaticale del linguaggio fino a produrre byte di pensiero.

Joyce non fu soltanto uno scrittore ma anche un word processor, un hacker ante litteram, che riduceva le idee a unità elementari e poi le ricombinava infinitamente a volontà.

Joyce riprogrammava la realtà utilizzando il proprio linguaggio di base, una linguistica quantistica che gli consentiva di assemblare e di riassemblare i pensieri per formare composizioni complesse, piene di ripetizioni, contrappuntali. (Contribuiva anche il fatto che Joyce fosse semicieco e dislessico.)

Immaginatevi che cosa James Joyce avrebbe potuto fare con Microsoft Word, con un sistema grafico su CD-ROM o con una moderna base di dati! Beh, non è necessario immaginarlo; ci è riuscito addirittura utilizzando soltanto il suo cervello.

La più efficace rendizione preinformatica dell’arte digital-quantistica fu quella di un certo stile a basso profilo e ad alta tecnologia di onde sonore spontanee, disinvolte, soggettive, improvvisate, prodotte da un piccolo gruppo di ingegneri audio dalla pelle nera. Il jazz saltò fuori improvvisamente al colmo dell’era industriale, erodendone i valori lineari e gli stili non interattivi. Una società delle fabbriche esige regolarità, affidabilità, replicabilità, prevedibilità, conformità. Non c’è posto su una linea di montaggio newtoniana per l’improvvisazione o per la sincopata individualità; quindi fu lasciato agli Afroamericani, che non si erano mai, in fondo, fatta propria la cultura delle fabbriche, il compito di farci danzare verso l’era quantistica postindustriale.

È inutile dire che la reazione istintiva dei moralisti fu di denunciare il jazz come caotico, volgare e vagamente peccaminoso.

Radio

Il fattore più importante nella preparazione di una società (li lavoratori delle linee di montaggio per l’era delle informazioni quantistiche è rappresentalo dall’Invenzione di un dispositivo elettronico dall’uso facile, noto come radio.

La radio comunica segnali acustici come parole o musica, codificati sotto forma di onde elettromagnetiche. La radio consente di impacchettare e di trasmettere le idee come schemi digitali. Il primo utilizzo del «telefono senza fili» fu da parte di governi, di militari e di aziende, ma nel giro di una sola generazione la micro-radio domestica consentiva all’individuo di sintonizzarsi su una vasta gamma di realtà.

Nel momento in cui il cittadino qualunque imparò a girare la manopola e a selezionare le stazioni, fece il primo passo verso l’era informatica. Già a metà degli anni Trenta gli spettacoli nazional-popolari e la musica leggera preparavano gli umani alla magia delle comunicazioni quantistiche e ai lavaggi del cervello da parte di leader politici.

Il cinematografo proietta realtà sullo schermo

Il passo successivo fu enorme. Con onde luminose fatte passare attraverso cornice di celluloide si proiettavano immagini naturali su uno schermo, producendo in tal modo nuovi livelli di realtà che trasformarono pensiero e comunicazioni umani.

Fu un grande passo in avanti la decisione dei progettisti di computer di presentare i dati anche su uno schermo e non soltanto su carta, alla Gutenberg. La cosa fu in fondo resa possibile dal cinematografo muto e non fu forse a caso che IBM utilizzò nei propri spot degli anni Ottanta l’icona dell’amabile e irresistibile piccolo barbone Charlot.

La prossima volta che dirigerete le vostre ipnotizzate pupille verso il vostro monitor, ricordatevi che l’allegro Charlie Chaplin fu tra i primi ad abituare la nostra specie ad accettare la poco plausibile realtà quantistica degli impulsi elettrici lampeggianti su uno schermo piatto.

La televisione porta in casa il linguaggio degli elettroni

La II Guerra mondiale fu la prima ad alta tecnologia, combattuta su schernii elettronici con radar e sonar. La vittoria degli Alleali ebbe un enorme impulso da Alan Turing, padre dell’intelligenza artificiale, che utilizzò computer primitivi per decifrare i codici tedeschi.

Appena finita la guerra, queste nuove tecnologie furono disponibili per l’uso da parte dei civili. Semplicemente, non esiste alcun modo in cui una cultura di videodipendenti possa comprendere o apprezzare i cambiamenti della psicologia prodotti dal tubo a raggi catodici.

L’Americano medio trascorre più ore a guardare la Tv che in qualsiasi altra attività sociale. La realtà centrale è costituita da pixel danzanti su uno schermo. La gente passa più tempo a guardare elettroni che a guardare gli occhi dei propri cari, i libri, o altri aspetti della realtà materiale. Altro che metafisica applicata! La realtà elettronica è più reale del mondo fisico, e ciò costituisce un enorme salto evolutivo, paragonabile al salto dall’oceano alla battigia, in cui improvvisamente terra e aria diventano per l’ex-pesce, più reali dell’acqua!

Videopassività

Nelle prime generazioni l’abitudine di guardare la TV produsse una nazione di «vidioti», ameboidi passivi distesi davanti allo schermo-biberon a ciucciare informazioni digitali. Le onde dell’etere erano sotto il controllo d reti giganti che spacciavano prodotti commerciali e politica impacchettati, così come i ciarlatani di un tempo spacciavano rimedi fasulli alle fiere di paese.

Gli osservatori più perspicaci si resero conto come l’incubo orwelliano della società del Grande Fratello fosse stato in fondo troppo ottimistico. In 1984 lo stato autoritario usava la Tv per spiare i cittadini; ma la realtà attuale è molto più grave: i cittadini, docili, si mettono in fila davanti alla Scatola dell’Autorità per gustarsi il letale fast food sfornato in Technicolor dal Ministero della Verità.

Un visionario come Marshall McLuhan capiva ciò che stava succedendo. «Il supporto è il messaggio» disse. Non preoccupatevi della spazzatura sullo schermo; questa cambierà e migliorerà. Il fatto importante è che la gente riceva segnali dallo schermo. Egli sapeva che al momento giusto la nuova tecnologia avrebbe creato il nuovo linguaggio globale. Quando la società fosse pronta a fare questo salto quantistico.

Passività informatica

Le prime generazioni di utenti del computer, analogamente, non compresero la portata della rivoluzione quantistica. I dirigenti aziendali videro i computer come Inestimabili Business Machines (lBM) che semplicemente offrivano una maggiore efficienza sostituendo la manodopera impiegatizia.

E noialtri — che negli anni Sessanta vedevamo come i computer in mano ai manager avrebbero incrementato la loro capacità di manipolarci e di controllarci — arrivavamo a odiare e a temere i computer.

Qualche sociologo dalle tendenze paranoidi ha speculato che questa fobia contro le comunicazioni elettroniche fosse stata creata intenzionalmente dalle Counter Intelligence Authorities (ClA) il cui controllo della situazione poteva rischiare l’erosione a causa di una diffusione dell’alfabetismo elettronico.

La storia si complicò ulteriormente quando la cavalleria controculturale — code-cow- girl e code-cowboy — con gli intuiti e gli atteggiamenti liberati di beat, hippy, acidhead, rock ’n’ roller, hacker, cyberpunk e visionari elettronici, arrivò al galoppo a Silicon Valley e sventarono la Grande rapina del treno creando il Grande Livellatore: il Personal Computer.

La nascita dell’Era Informatica ebbe luogo nel 1976, non in una fumosa città industriale ma in una modesta mangiatoia (garage) della soleggiata e post-industriale Silicon Valley. Il Personal Computer fu inventato da due barbuti capelloni, S. Stefano Magno e S. Stefano Wozniak. E per completare la metafora biblica, il bambin prodigio ricevette il nome del frutto dell’Albero della conoscenza del bene e del male: Apple! Mela — la sostanza controllata con la quale Eva per prima commise il peccato originale, Pensare con la Propria Testa!

Il PC scatenò una nuova serie di confronti nell’antica lotta sociopolitica tra il controllo da parte dello Stato e la libertà individuale del pensiero. Vi ricordate come i PC ateniesi, spronati da code-cowboy come Socrate e Platone, ributtarono in faccia agli spartani e ai Persiani i loro mainframe? Vi ricordate come la macchina per la stampa, in mani private, abbia prodotto lo hard copy che rovesciò il controllo teocratico del papato e in seguito disseminò la Dichiarazione d’indipendenza? Non è forse vero che la libertà in ogni Paese si possa misurare perfettamente in termini della percentuale di PC in mano agli individui?

Ruolo del lIbero agente nella cultura del computer

Coloro che amano pensare di testa propria (chiamiamoli liberi agenti) tendono a vedere i computer come elettrodomestico del pensiero. «Elettrodomestico» indica un congegno che l’individuo utilizza a casa propria per rendersi comoda la vita, per divertirsi o per istruirsi.

Quali ne sono le applicazioni? L’auto-miglioramento? L’auto-istruzione? Il divertimento in casa? Scambi mentali con gli amici? Giochi del pensiero? Salute mentale? Attività significative?

I liberi agenti usano la propria mente non per fare il loro autorizzato dovere per lo stato sovietico o per la International Bureaucracy Machine (IBM), ma per qualunque cosa che, come Americani, la loro fantasia suggerisce. Nella vecchia civiltà industriali ti chiamavi lavoratore ma nell’era informatica sei un libero agente, e nello sviluppare la tua agenzia sviluppi anche le tue capacità comunicative.

I proprietari di Personal Computer stanno scoprendo che il cervello è:

— l’organo definitivo del piacere e della consapevolezza;
— una matrice di cento miliardi di microcomputer che attendono il boot, l’attivazione, la stimolazione, la programmazione;
— in impaziente attesa di software, testaware, pensieroware, che ne riconosca l’impressionante potenziale e che renda possibile il collegamento elettronico in inter-rete con altri cervelli.

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Mario Mancini
Mario Mancini

Written by Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.

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