2.1 Conversazione con William Gibson sulla ciberletteratura
Timothy Leary. Caos e Cibercultura — 2. Cibernetica e ingegneria del caos
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Timothy Leary: Se potessi riassumere Neuromante in una sola frase, come lo descriveresti?
William Gibson: Più che altro mi importa il fatto che parla del presente. Non parla in realtà di un futuro immaginario; è un modo di confrontarmi con la soggezione e con il terrore che mi ispira il mondo in cui viviamo. Non vedo l’ora di sapere cosa ne pensino i Giapponesi. Oddio, comincio a sentirmi come Edgar Rice Burroughs o qualcuno del genere. Voglio dire, in cuor suo, alla fine, Edgar Rice Burroughs, che sentimenti può avere avuto nei confronti di Tarzan? Ne fu proprio stufo marcio. Alla fine andò a vivere a Tarzana, California.
TL: E tu finirai per andare a vivere in una colonia spaziale chiamata Neuromante.
WG: Non sarebbe male. Non credo che siamo destinati ad avere un futuro di questo tipo. Penso che il libro sia tanto più simpatico di quanto sembra stia accadendo davvero. Voglio dire, sarebbe un bel posto da visitare, non mi dispiacerebbe andarci.
TL: Dove?
WG: Allo Sprawl, a quel futuro.
TL: Salire nel Pozzo?
WG: Sì, questo e altro. C’è un sacco di gente che trova che Neuromante sia un libro pessimista, ma io lo trovo ottimista.
TL: Anche io.
WG: Io penso che in realtà il futuro sarà più noioso. Penso che un qualche tipo di futuro alla Falwell potrebbe con ogni probabilità essere la mia idea del peggio che possa accadere.
TL: Sì. È bella quella scena in cui ci sono quei Cristiani che stavano per assalire quelle ragazze in metropolitana.
WG: Non è chiaro se intendono assalirle oppure semplicemente costringerle ad accettare qualche orrendo volantino o qualcosa del genere. Personalmente, ho una vera fobia contro i tipi così che mi vengono incontro per strada…
TL: Quella scena è potente! E descrivi le ragazze come animali con gli zoccoli che portano tacchi alti.
WG: Sì, le segretarie dello Sprawl.
TL: Sì, e indossano vagine, e — Oddio! è una scena potente.
WG: Mi piace l’idea di quella metropolitana; è la metrò allo stato dell’arte, va da Atlanta a Boston, proprio veloce.
TL: Hai creato un mondo.
WG: Il messaggio che ti arriva quando leggi quel libro-l’impressione è molto complessa ma in realtà tutto ha lo spessore di una sola molecola. In parte è ancora abbastanza misteriosa anche per me. Sai, degli Stati Uniti non si parla neppure una sola volta nel libro. E c’è qualche dubbio circa il fatto che gli Stati Uniti esistano come entità politica o se siano stati balcanizzati in qualche strano modo. È una delle mie idee preferite, in un certo senso, che il mondo vada spezzettato in…
TL: Anche io.
WG: Separatismo della Costa occidentale e roba del genere, In Count Zero, parlo un pochino di cosa sta accadendo in California. Uno dei personaggi ha la ragazza che abita in una città galleggiante ancorata al largo di Redondo. Più o meno come una specie di allucinato… è lo Sprawl diventato come Sausalito — lo Sprawl ma più mite. Alla fine di Neuromante, tutta la Matrice è senziente. Da certi punti di vista ha una sola volontà. E come dice a Case, in un modo abbastanza terra-terra, ha trovato un altro suo simile ad Alfa del Centauro o in qualche posto del genere; così ha qualcosa con cui parlare. Count Zero comincia sette anni più tardi e come nella poesia di Yeats su come il centro non potrebbe tenere, questa specie di consapevolezza divina è ormai frammentata. Non è riuscito a tenere il tutto insieme. Così i cubisti vudù della Sprawl, che credono di essere entrati in contatto attraverso la Matrice con il pantheon vudù, in realtà hanno a che fare con gli elementi frammentati di questa stanchezza divina. E i frammenti sono tanto più demoniaci e più umani; riflettono aspettative culturali. In ogni caso debbo fare libri di un altro tipo ora, perché comincio ad avere recensioni che dicono «Be’, questo è bello, ma è sempre la stessa roba». Ho una voglia disperata di evitare questo.
TL: Frank Herbert, che era un tipo meraviglioso, ha scritto un libro che è completamente diverso da Dune. Parla di umani che diventano insetti, su dalle parti di Portland. Lo hai mai letto? È un cambiamento gradito; da certi punti di vista quel libro mi piace quanto Dune. Era entrato in una situazione del tutto diversa.
WG: Be’, era intrappolato davvero! È una cosa che mi preoccupa parecchio. Mi arrivano pensieri-lampo come «non voglio essere Frank Herbert», perché, per quanto possa essere stato un tipo ricco e simpatico, non credo fosse contento di quanto gli era accaduto dal punto di vista creativo. È rimasto davvero intrappolato! È diverso per uno come Douglas Adams; per lui, penso, l’intera cosa è cominciata quasi per sbaglio, è stato solo un colpo di fortuna sul quale è riuscito a costruire. Ma Herbert, a un certo punto, era serissimo. Poi, poco per volta, è finito per dover produrre ancora la stessa roba, perché — voglio dire — come dire di no alla gente quando una cosa del genere assume tutta quella importanza?
TL: Douglas Adams mi ha detto che i tre libri erano uno solo e che l’editore aveva detto di spezzarlo per farne tre. Ci ha guadagnato un milione di dollari per ciascuno. E sono carini. È un bel giro turistico.
WG: Sì, sono divertenti.
TL: Questi libroni…
WG: Io non ci starei.
TL: Ne sono contento. Norman Spinrad… a proposito, adoro Norman, ma mi crea un problema terribile; li fa troppo grossi. Hai letto Child of Fortune? [Figlio di fortuna]
WG: È stato troppo grosso per me.
TL: Sì. Se soltanto lo avesse diviso a metà, se lo avesse spezzato in due…
WG: Ha scritto un libro intitolalo The Iran Dream [Sogno di ferro], È un romanzo di fantascienza il cui autore sarebbe Adolf Hitler, in un mondo alternativo in cui Hitler è scrittore di SF. Molto divertente. Per me, in base ai dati forniti nei libri, le chiavi alla personalità di Case sono l’alienazione dal suo corpo, dalla carne, che mi sembra riesca a superare. La gente ha criticato Neuromante perché non conduce Case a una qualche specie di esperienza trascendentale. Eppure secondo me ci arriva; ci arriva nel costrutto della spiaggia, e ci arriva quando ha il suo orgasmo. C’è un lungo paragrafo in cui accetta la carne come cosa infinita e complessa e, da certi punti di vista, in seguito è più umano.
TL: Da certi punti di vita mi ricorda qualcuno dei personaggi di Burroughs.
WG: (In modo equivoco) Sì, Case potrebbe essere uno dei ragazzi di Burroughs… in un certo senso Burroughs mi ha influenzato profondamente; dico sempre che esiste una forte influenza. Non avevo pensato di riuscire a convincere il pubblico americano della fantascienza, perché non sanno chi è Burroughs, oppure sono immediatamente ostili… ha trovato la fantascienza degli anni Cinquanta e l’ha usata come un apriscatole arrugginito sulla vena giugulare della società. Non hanno mai capito. Ma quando avevo qualcosa come quindici anni ho letto The Naked Lunch [Il pasto nudo] e mi ha fatto per modo di dire scoppiare la testa. E io da bravo megalomane ho la fantasia di qualche ragazzetto dell’Indiana che si mette a leggere Neuromante e… Bam!
TL: Be’, questo sta accadendo, sciocco. Non ti preoccupare. Ci sono già cinquecentomila copie.
WG: Ho dovuto insegnare a me stesso di non scrivere troppo come Burroughs. Aveva questa influenza e ho dovuto filtrare il mio lavoro per eliminare una parte della roba burroughsiana. In un’intervista che ho fatto a Londra, in uno dei miei rari momenti di lucidezza, ho detto al tipo che mi intervistava che la differenza tra quello che faccio io e quello che fa Burroughs, è che Burroughs semplicemente incolla la roba sulla pagina, mentre io faccio tutto il lavoro con l’aerografo.
TL: Burroughs e io siamo amici per la pelle. Abbiamo fatto molto insieme. Per esempio, nel 1961 ero nel bar di un albergo a Tangeri quando è entrato Burroughs con due bellissimi ragazzi inglesi. Comincio a parlargli delle nuove droghe e, naturalmente, lui di droghe ne sapeva molto di più di chiunque altro al mondo! Io ero solo l’ingenuo professore di Harvard con il mio grandioso progetto di ricerca sulle droghe. E Burroughs dice più o meno: «Oh merda, eccoli che arrivano, i boy scout. E vogliono salvare il mondo con le droghe. Ah sì, certo.» Lo abbiamo riportato a Harvard. È venuto anche al progetto carcerario e tutto il resto. Sono arrivato a conoscerlo molto bene. Non ci sopportava; eravamo fin troppo bravi e buoni. È implicito che la gente che Case frequentava fosse un gruppo interessato alle droghe.
WG: Sì, questo sembra essere un mondo in cui tutti sono di regola abbastanza fatti.
TL: Quel primo capitolo… Wow!
WG: Ho dovuto rivederlo tante volte. Debbo averlo riscritto centocinquanta volte come minimo.
TL: Ci avrei scommesso; è come una sinfonia o una fuga. Ecco per esempio la quinta riga del libro: «It’s like my body developed this massive drug deficiency. It was a Sprawl voice and a Sprawl joke.» (ride) Certo, ci andava di mezzo la sua vita.
WG: Ah sì. Lui vive semplicemente per il…
TL: Ciberspazio.
WG: Sì, per il ciberspazio.
TL: Tu descriveresti il ciberspazio come matrice di tutte le allucinazioni?
WG: Sì, è un’allucinazione consensuale creata da questa gente, come se, con questi strumenti, sia possibile mettersi d’accordo e condividere le stesse allucinazioni. In effetti, stanno creando un mondo. Non è in realtà un posto; non è in realtà uno spazio. È spazio nozionale, concettuale.
TL: Vedi, noi viviamo in quello spazio. Noi che ci siamo agganciati al Neuromante stiamo vivendo in mezzo a quell’allucinazione consensuale.
WG: Io non avevo pensato che le donne avrebbero gradito più di tanto il personaggio di Molly. Mi ha davvero sorpreso il numero delle donne che sono venute a trovarmi e che hanno detto: «Molly è portentosa, l’ho veramente capita.» Io penso che l’America sia bell’e pronta per una protagonista femminile che mandi a farsi fottere tutti quanti.
TL: Molly dice, «A te piace agganciarti. Io debbo lottare.» È bella come battuta.
WG: Originariamente per questo libro volevo il titolo Jacked In (agganciato). Ma i redattori della Ace Books dissero che era troppo simile a Jacked Off, (masturbato). Ma è stato questo il mio primo pensiero per il titolo. Molly è più dura di Case, perché lui è il personaggio che rappresenta il punto di vista della narrazione e volevo che fosse un personaggio enigmatico; lei, quindi, è più distaccata da me. È il simbolismo degli occhiali. Lui non arriva mai neppure a scoprire il colore degli occhi di lei.
TL: E facendo l’amore, lei dice…
WG: «Niente impronte digitali.» Sì, è un personaggio difficile per me, perché c’è una qualche specie di immagine dal mio… È una figura bushido. Quando dice di essere una samurai di strada, lo intende in senso del tutto letterale. Ha questa specie di codice, e anche se cresce con le radici in una specie di personalità patologica, è pur sempre il suo codice.
TL: Qual era quel segmento in cui era come sotto ipnosi, in modo che non sapeva cosa stava accadendo?
WG: Ah, utilizzano una specie di distacco sensoriale, in modo che non sia conscia di quando questa roba sta accadendo, ma il suo sistema motorio era sotto il controllo di un programma. Così diventa una specie di bambola da sex shop. Programmata. La gente che ha scritto il programma sta a Berlino. E lei dice, «Hanno della merda schifosa da quelle parti.» Veramente, tutto questo ha iniziò in Burning Chrome. Ecco da dove arriva. Uno degli elementi chiave in quella storia è il momento in cui questo tizio si rende conto che la sua ragazza lavora in uno di quei locali in modo da potersi comprare un paio migliore di occhi artificiali. L’ho descritto in modo un po’ più chiaro in quella storia. Le prostitute non sono consapevoli. Non se ne ricordano. In Burning Chrome il tipo dice che gli orgasmi sono come piccole luci argentee ai confini dello spazio, e questo è il…
TL: Questo è l’orgasmo del tizio, non quello di lei, che non lo sente neanche.
WG: Be’, magari lo sente un pochettino…
TL: Cosa diresti di Riviera?
WG: Riviera è come una specie di persona-sacco terminale. Cresce in un pozzo radioattivo in cui il cannibalismo è più o meno l’unico modo di tirare avanti. È come Improvvisamente l’estate scorsa. Hai mai visto quel film? Dove il tipo viene fatto a pezzo dai bimbi messicani. Be’, Riviera è così. Furbo, incredibilmente perverso. Ma tutte le cose che fa — le piccole allucinazioni proiettate su tutto il resto — sono a tecnologia relativamente bassa. Stanno proiettando ologrammi. C’è questo scultore surrealista tedesco, certo Hans Belmer, che ha creato un pezzo intitolato «La bambola». Ha fatto una bambola che è più un feticcio che un’opera d’arte, una ragazza-bambina che si può smontare e riorganizzare in un numero infinito di modi. Così anche Riviera chiama «La bambola» il suo lavoro. La bambola di Belmer. Riviera rappresenta anche la frammentazione del corpo. Talvolta la gente vede le cose di questo genere, dall’angolo di un occhio.
TL: E Armitage?
WG: È un personaggio di sintesi, un personaggio totalmente privo di personalità. Come dice Molly, «Questo tizio non fa niente quando è solo.» È una specie di stato d’animo del tipo dopo-Vietnam.
TL: In Armitage vedo certe qualità da Gordon Liddy.
WG: Sì, ho visto un video della sua partecipazione a Miami Vice senza rendermi conto che si trattava di Liddy. Mi ha fatto pensare ad Armitage. Il libro è pieno zeppo di psicotici.
TL: (Ride) Ma qualcuno di noi trova che è un libro molto positivo, malgrado tutto.
WG: Davvero? Be’, io cerco solo di riflettere il mondo che trovo intorno a me.
TL: Lo so. Sì, sei uno specchio. Cosa mi dici di Lucas Yonderboy?
WG: Lucas Yonderboy era la mia reazione nei confronti della parte più spaventevole e più interessante dei punk.
Giovane, enigmatico, distaccato fino all’inesplicabile. E fa parte dei Panther Modera. Vendetta di Marshall McLuhan, più o meno. Mostri mediali. È come se la peggiore delle gang di strada che potessi mai incontrare fosse allo stesso tempo un gruppo di artisti concettuali, intensi. Non si mai che cosa faranno.
TL: Quale libro recente ti è piaciuto di più?
WG: Brace Sterling è lo scrittore di fantascienza che amo di più. Schismatrix è il romanzo di fantascienza più visionario degli ultimi venti anni circa. L’umanità si evolve, muta rapidamente usando ingegneria genetica e biochimica. È un libro sconvolgente. Quando l’aveva appena pubblicato e gli arrivavano le recensioni, mi ha detto: «Ci sono tanti elementi in movimento che la gente ha paura di ficcarci dentro la testa.» Sarà una miniera per la gente, che ne userà le idee per i prossimi trent’anni.
TL: Come Gravity’s Rainbow?
WG: Sì. È uno dei miei preferiti. Hai mai incontrato Pynchon?
TL: Ohhhh… L’avevo rintracciato e avrei potuto incontrarlo. C’era un giornalista della rivista “People” con tanto di conto spese, e dovevamo noleggiare una macchina e andare a prendere su anche Ken Kesey. Pynchon abitava dalle parti di Redding, Pennsylvania. L’avevamo rintracciato fin là. Ma io ho deciso che non volevo farlo. L’ho detto a tante persone, e dovrei dirlo anche a te. Il tuo libro ha avuto su di me lo stesso effetto di Gravity’s Rainbow. È abbastanza interessante il modo in cui mi è capitato di leggere Gravity’s Rainbow. A un certo punto il Governo americano stava cercando di farmi parlare. Ero sotto pressioni incredibili. Questo tizio dell’FBI mi disse che se non parlavo, «ti sbatteremo nel carcere federale con il nome di spione sulla giacca. Così sono andato a finire in una galera chiamata Sandstone. E appena ci sono arrivato c’è stato un cambiamento di vestiti, e mi dissero, «il governatore ti vuole». E il governatore mi dice: «Per proteggerti ti mettiamo dentro sotto falso nome.» E io: «Ma siete pazzi? mi volete mettere in prima linea con un nome falso?» E lui, «Sì». Allora io: «E che nome pensate di darmi?» Mi ha risposto: «Tordo.» Be’, sai cos’è un tordo. È un uccello canoro. Così, «Ah, sì,» faccio io. «In una galera piena di gente che usa droghe, tutti sapranno che il mio nome non è Tordo. Mi rifiuto di farlo.» E lui «OK, ti dovremo mettere giù nel Buco.» Allora dissi io: «Fate quel che volete, ma io voglio andare là fuori con il mio vero nome. Posso affrontare la cosa. Sono stato dentro le peggiori prigioni del cazzo e sono andato bene finora. Ne sono capace e voi lo sapete. Quindi, cazzo, mettetemi là fuori!» E lui mi disse «Mi spiace.» Era in imbarazzo perché lo sapeva. Era governatore di una prigione. Non era suo dovere farmi parlare o niente del genere. Volevano farmi parlare per proteggere i pezzi grossi dell’FBI che avevano commesso le rapine ai danni del Weather Undergound; volevano che io testimoniassi in loro difesa. Sono finiti davvero sotto processo, se ti ricordi — sono stati condannati e poi hanno avuto il perdono da Carter. Bene, mi hanno messo nella cella peggiore che abbia mai visto, e avevo già fatto oltre un anno e mezzo di isolamento totale. Questa era soltanto una scatola vuota con un materasso e nient’altro. L’unico contatto che avevo con esseri umani era, cinque volte al giorno, quando sentivo i passi di qualcuno che veniva lungo il corridoio per aprire il «troguolo dei porci» per passarmi qualcosa da mangiare. E io dicevo «Ehi, posso avere qualcosa da leggere?» E loro: «No.» Una delle guardie era nero, e, una sola volta, è tornato indietro. Sentii i suoi passi lungo il corridoio di metallo. Apre il troguolo e dice: «Eccoti, amico,» e mi getta dentro un libro. Un nuovo libro tascabile. Era buio e ho dovuto aspettare l’alba per vedere che era Gravity’s Rainbow.
WG: Perfetto! Di tutti i libri che ti poteva dare, ecco quello più capace di durarti un po’.
TL: Bisogna leggere quel libro soltanto in quelle circostanze. Non è un libro che si possa…
WG: A me ha bloccato la vita per tre mesi. È andata a puttane la mia carriera universitaria, stavo lì sempre a leggere questa cosa.
TL: Prima di tutto, quel che ho fatto io, era leggerlo. Leggevo tutta la giornata fino al buio quando spegnevano le luci. Per tre giorni non feci altro che leggere quel libro. Poi tornai indietro e cominciai a fare appunti. Il tuo è l’unico altro libro con il quale in seguito abbia fatto una cosa del genere. L’industria cinematografica non è mai riuscita a fare niente con Gravity’s Rainbow.
WG: Contiene otto miliardi di volte più roba di Neuromante. È un romanzo enciclopedico.
TL: Ma c’è un rapporto enorme come sai, tra Neuromante e Pynchon. Perché Pynchon se ne intende di psicologia. Cazzo se se ne intende! È tutta una questione di psicologia. Ma tu hai fatto il passo successivo, perché hai fatto l’intera cosa con i computer. Non hai droghe nuove in Neuromante.
WG: Ho la beta-fenetilammina. Stattene in guardia quando una roba del genere arriverà sulle strade!
TL: È quella la roba con la quale i denti di fanno tremare i nervi.
WG: Già. In realtà è una sostanza chimica cerebrale. Ne abbiamo tutti un pochino in corpo, ma sarebbe necessario estrarla da quaranta milioni di persone, un po’ come la storia di Hunter Thompson sull’adrenocromo. Se si potesse mangiare la ghiandola pineale di qualcuno, o qualcosa del genere…
TL: È molto potente quell’esperienza che descrivi, in cui lui lo sente nei denti.
WG: Sì, mi sono divertito molto a scriverlo (Ride).
TL: Lo so bene. Apprezzo molto il lavoro e la disciplina mentale che ci hai messo dentro.
WG: La beta-fenetilammina è la sostanza chimica prodotta dal cervello; quando ti innamori aumenta il livello. Questo non lo sapevo mentre scrivevo il libro. Ho telefonato a Bruce Sterling nel Texas e ho detto, «Questo tizio è stato modificato, così non gli vanno più bene gli stimolanti tradizionali. Allora, che cosa potrebbe usare per sballare un po’. E Bruce ha risposto (assume un laconico accento strascicalo del Sud) «beta-fenetilammina». È nel libro: Beta-F. In realtà qualcuno mi ha telefonato per parlare della grafia che ho usato per il nome. Non ho mai controllato ed è del tutto possibile che abbia scritto male il nome del vero composto cerebrale. Circa un mese dopo che avevo finito il
libro c’era un articolo sulla rivista “Esquire”. Se mi ricordo bene era intitolato La chimica del desiderio. E parlava della beta-fenetilammina, che è strutturalmente simile all’anfetammina. Ed è presente anche nel cioccolato, quindi c’è una certa possibilità…
TL: Ohhh! Io sono cioccolato-dipendente. Non hai notato ieri sera come il cameriere me ne ha automaticamente portato un piatto extra durante il dessert? Conoscono la mia debolezza. Tim doppia-dose.
WG: I ragazzi giapponesi sballano con delle tavolette fatte esclusivamente di saccarosio e di caffeina. Ne mangiano cinque o sei, poi vanno ai concerti con questo sballo massiccio.
TL: Una delle cose meravigliose del Neuromante è questa gloriosa camerateria tra Molly e Case. E lui le canta mentre lei si massaggia il capezzolo e intanto gli parla e gli racconta.
WG: E questo come faranno a farlo nel film? Non c’è nessun Neuromante Parte II.
TL: Case e Molly hanno dei figli?
WG Figlio di Neuromante. In Count Zero, la gente ha sì dei figli, che per me è stata una cosa nuova. Stavo cercando di aggiornarmi. Mi piace di più Count Zero. Neuromante, per me, è un po’ il mio libro adolescente. Il mio libro di teenager, ma che non avrei potuto scrivere quando lo ero davvero.