1858–59: L’alleanza franco-piemontese e la guerra con l’Austria

Gli accordi di Plombières

Mario Mancini
11 min readMar 9, 2020

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Una scena del film “La contessa di Castiglione” (1954) di Georges Combret con Yvonne De Carlo: (nella scena sopra) nella parte della contessa di Castiglione, Rossano Brazzi in quella di Camillo Benso conte di Cavour (nella scena sopra) e Paul Meurisse nel ruolo di Napoleone III. La Contessa di Castiglione svolse un ruolo importante nel portare Napoleone III, suo amante, dalla parte dell’Italia. Cugina di Camillo Benso, conte di Cavour, era un delle donne più belle e affascinanti della sua epoca. Fece propria la causa patriottica dell’unità dell’Italia.

Il 21 luglio 1858 Napoleone III e Cavour si incontrarono a Plombières, una località termale nei Vosgi. L’imperatore francese si mostrò intenzionato a muover guerra all’impero asburgico, purché questa fosse sapientemente preparata e giustificata agli occhi dell’opinione pubblica e della diplomazia europea: si sarebbe dovuta rigettare sull’Austria la responsabilità del conflitto.

Cavour ricordò alcuni fatti che potevano costituire dei casus belli: la rottura, da parte dell’Austria, del trattato commerciale con il Piemonte ovvero il mancato ritiro delle truppe austriache da alcune regioni della penisola, ma le proposte furono tutte respinte da Napoleone III . Come si poteva iniziare, infatti, una guerra per un mancato accordo commerciale oppure perché l’Austria non aveva ancora ritirato le truppe dall’Italia quando a Roma c’erano truppe francesi? Sembrò che il pretesto potesse essere offerto da Massa e Carrara sottoposte al duca di Modena.

Le popolazioni avrebbero inviato una petizione a Vittorio Emanuele che l’avrebbe respinta, ma nel contempo avrebbe invitato il duca a concedere delle riforme, ricevendo certamente una risposta tale che avrebbe segnato automaticamente l’inizio delle ostilità. L’imperatore approvò in linea di massima, ma si mostrò preoccupato per lo Stato pontificio (la cui sorte stava molto a cuore ai cattolici francesi) e per il regno delle Due Sicilie (legato alla Russia, che non poteva assolutamente essere disgustata in quel delicato momento).

La guerra d’altronde avrebbe portato ad un generale riordinamento della penisola. Ecco ciò che i due statisti progettarono: un vasto regno nell’Italia del Nord dal Piemonte al Veneto per i Savoia, un regno dell’Italia centrale formato dalla Toscana e dalle terre papali alla duchessa di Parma, il patrimonio di San Pietro al Papa che sarebbe stato anche il presidente della federazione italiana, e infine, se Ferdinando II avesse abdicato, il suo regno sarebbe andato a Luciano Murat.

Per l’aiuto prestato al Piemonte la Francia avrebbe avuto la Savoia e Nizza. Ma per quest’ultima Cavour avanzò delle riserve, onde si stabilì di rinviare la questione a tempo più opportuno. Cavour e Napoleone III si lasciavano lo stesso giorno. Il 24 luglio il presidente del consiglio inviava una lunghissima relazione al re (di cui diamo qui di seguito i passi salienti) per informarlo degli accordi presi con l’imperatore.

La potenza maggiormente preoccupata per le intenzioni francesi era senza dubbio la Gran Bretagna, ben decisa ad evitare un conflitto nel quale rischiava di essere coinvolta. Da un lato essa agì a Parigi, facendo intendere alla Francia che un attacco contro l’Austria le avrebbe scatenato contro l’intera Europa che avrebbe visto in esso ripetersi il tentativo egemonico del grande Napoleone. Anche a Vienna si sconsigliò energicamente la guerra: soltanto una comune azione francese e austriaca avrebbe obbligato il papa ad effettuare riforme nei suoi stati e a togliere così dei pretesti per futuri e deprecabili moti rivoluzionari.

Si aggiunse a questo punto una iniziativa diplomatica russa con una proposta di convocazione di un congresso europeo. Ma l’Austria assunse un atteggiamento estremamente rigido, decisa ad escludere il regno sardo dal congresso stesso. Venne alla fine, come extrema ratio, proposto il disarmo generale, accettato da tutte le potenze, tranne dall’Austria che viceversa inviò al Piemonte un ultimatum con la richiesta di disarmo immediato (23 aprile 1839). Lo stesso giorno Cavour alla Camera comunicava il rigetto óslVultimatum (come risulta dal secondo documento che segue) e proponeva la «concessione dei poteri straordinari al governo del Re durante la guerra».

I due documenti che seguono sono tratti, rispettivamente, da E. Anchieri, Antologia storico-diplomatica. Raccolta ordinata di documenti diplomatici, politici, memorialistici, di trattati e convenzioni dal 1815 al 1940, pp. 102-105, e dal vol. XI, pp. 42-45, dei Discorsi parlamentari di Cavour raccolti e pubblicati per ordine della Camera dei Deputati, voll. II, Roma, 1863-1872.

Sul problema cfr. R. Romeo, Dal Piemonte sabaudo all’Italia liberale, cit.; P. Pieri, Storia militare del Risorgimento, Torino, Einaudi, 1962; G. Talamo, L’Italia di Cavour (1852–1861), in Storia d’Italia a cura di N. Valeri, vol. IV, 2° ed., Torino, Utet, 1965.

Cavour a Re Vittorio

Baden, 24 luglio 1858

[Nella prima parte della lettera Cavour riferisce circa il modo concordato per spingere l’Austria a provocare la guerra].

Risolta questa prima questione, l’Imperatore mi disse: «Prima di andare avanti, bisogna pensare a due gravi difficoltà che troveremo in Italia: il Papa e il re di Napoli. Devo trattarli con riguardo: il primo, per non sollevare contro di me i cattolici francesi, il secondo per conservarci le simpatie della Russia che si fa una specie di punto d’onore di proteggere il Re Ferdinando».

Risposi all’Imperatore: 1° — che, quanto al Papa, gli era facile conservargli il tranquillo possesso di Roma per mezzo della guarnigione francese che vi si trovava, salvo a lasciar insorgere la Romagna; 2° — che, siccome il Papa non aveva voluto seguire a suo riguardo i consigli che egli (l’Imp.) gli aveva dati, non poteva trovare irragionevole che questa regione approfittasse della prima occasione favorevole per liberarsi da un detestabile sistema di governo, che la Corte Romana si era ostinata a non riformare; 3° che, quanto al Re di Napoli, non c’era bisogno di occuparsi di lui, a meno che volesse prendere partito per l’Austria; salvo a lasciar fare ai suoi sudditi se, approfittando del momento, si volessero sbarazzare del suo paterno dominio.

Questa risposta soddisfece l’Imperatore e si passò alla grande questione: Quale sarebbe lo scopo della guerra?

L’Imperatore ammise senza difficoltà che bisognava cacciare del tutto gli Austriaci dall’Italia, e non lasciar loro un pollice di terreno di qua dalle Alpi e dall’Isonzo. Ma poi, come organizzare l’Italia? Dopo lunghe dissertazioni, di cui risparmio il racconto a V. M., noi avremmo press’a poco convenuto le basi seguenti, pur riconoscendo che esse sono suscettibili di venir modificate dagli eventi della guerra. La valle del Po, la Romagna e le Legazioni costituirebbero il Regno dell’Alta Italia sul quale regnerebbe la Casa di Savoia.

Si conserverebbe al Papa Roma e il territorio che la circonda. Il resto degli Stati del Papa con la Toscana formerebbe il Regno dell’Italia Centrale. La circoscrizione territoriale del Regno di Napoli non sarebbe toccata. I quattro Stati italiani formerebbero una confederazione simile alla Confederazione Germanica, di cui si darebbe la presidenza al Papa per consolarlo della perdita della miglior parte dei suoi Stati.

Questa sistemazione mi pare in tutto accettabile. Perché V. M., essendo sovrano di diritto della metà più ricca e più forte dell’Italia, sarebbe di fatto sovrano di tutta la penisola.

Quanto alla scelta dei sovrani da porre a Firenze e a Napoli nel caso assai probabile che lo zio e il cugino di V. M. prendessero la saggia risoluzione di ritirarsi in Austria, la questione è stata lasciata in sospeso; l’Imperatore, tuttavia, non ha nascosto che vedrebbe con piacere re Murat risalire sul trono di suo padre; e da parte mia ho indicato la Duchessa di Parma per occupare, almeno provvisoriamente, Palazzo Pitti. Quest’ultima idea è infinitamente piaciuta all’Imperatore, il quale sembra attribuire grande importanza al non esser accusato di perseguitare la Duchessa di Parma, nella sua qualità di principessa della famiglia dei Borboni.

Dopo aver regolato la sorte futura dell’Italia, l’Imperatore mi domandò che cosa otterrebbe la Francia e se V. M. cederebbe la Savoia e la Contea di Nizza. Risposi che V. M., professando il principio delle nazionalità, comprendeva risultarne che la Savoia dovesse essere riunita alla Francia; che di conseguenza Essa era pronta a farne il sacrificio benché le costasse immensamente a rinunciare ad un paese che era stato la culla della sua famiglia e ad un popolo che aveva dato ai suoi antenati tante prove di affetto e di devozione.

Che, quanto a Nizza, la questione era diversa, perché i Nizzardi, per la loro origine, la loro lingua e le loro abitudini, appartengono più al Piemonte che alla Francia, e che di conseguenza la loro riunione all’Impero sarebbe contraria a quello stesso principio per il trionfo del quale ci si apprestava a prender le armi. Qui l’Imperatore si carezzò più volte i baffi e si accontentò di soggiungere che erano queste per lui questioni affatto secondarie e che ci sarebbe tempo per occuparsene più tardi. [Furono esaminati in seguito i mezzi per isolare l’Austria e per riportare su di essa una vittoria tale da poterle imporre una pace secondo le condizioni già fissate]. Per raggiungere questo scopo, forze considerevoli sono indispensabili. L’Imperatore le stima a 300.000 uomini almeno, ed io credo che egli ha ragione. Con 100.000 uomini si bloccherebbero le piazzeforti del Mincio e dell’Adige e i passi del Tirolo; 200.000 uomini marnerebbero su Vienna attraverso la Carinzia e la Stiria. La Francia fornirebbe 200.000 uomini, la Sardegna e le altre provincie d’Italia gli altri 100.000.

Le questioni che ho avuto l’onore di riassumere a V. M. nella possibile brevità furono oggetto di una conversazione con l’Imperatore durata dalle undici del mattino fino alle tre del pomeriggio. Alle tre l’Imperatore mi congedò invitandomi a tornare alle quattro per fare una passeggiata in carrozza. All’ora indicata salimmo in un elegante phaeton tirato da cavalli americani guidati dallo stesso Imperatore, e seguito da un solo domestico mi condusse per tre ore per valli e boschi che fanno dei Vosgi una delle parti più pittoresche della Francia.

Appena fummo usciti dalle vie di Plombières, l’Imperatore abbordò l’argomento del matrimonio del Principe Napoleone, domandandomi quali fossero le intenzioni di V. M. a tal riguardo.

… Nelle mie risposte all’Imperatore mi sono sempre studiato di non urtarlo, pur evitando di prendere un impegno qualsiasi. Alla fine della giornata, al momento di separarci, l’Imperatore mi disse: «Comprendo che il Re abbia ripugnanza a maritare sua figlia così giovane, perciò non insisterò affatto perché il matrimonio abbia luogo sùbito; sarò disposto ad aspettare un anno e più se sarà necessario. Tutto ciò che io desidero è di sapere come regolarmi; vogliate perciò pregare il Re di consultare sua figlia e di farmi conoscere le sue intenzioni in maniera positiva. Se egli consente al matrimonio, ne fissi l’epoca; non chiedo altri impegni che la nostra parola reciprocamente data e ricevuta». Con queste parole ci siamo lasciati. L’Imperatore stringendomi la mano, mi congedò dicendomi: «Abbiate fiducia in me, come ho fiducia in voi».

…L’Imperatore non ha fatto del matrimonio della Principessa Clotilde col suo cugino una condizione sine qua non dell’alleanza; ma ha manifestato chiaramente che ci teneva molto. Se il matrimonio non avverrà, se V. M. respinge senza ragioni plausibili le proposte dell’Imperatore, che accadrà? L’alleanza si romperà? È possibile, ma credo che ciò non accadrà. L’alleanza si farà. Ma l’Imperatore vi porterà uno spirito affatto diverso da quello che vi avrebbe apportato se in premio della corona d’Italia che offre a V. M., Essa gli avesse accordato la mano di sua figlia per il suo parente più prossimo. Se vi è una qualità che contraddistingue l’Imperatore è la costanza nelle sue amicizie e nelle sue antipatie.

Non dimentica mai un servigio, come non perdona mai un’ingiuria. Ora il rifiuto al quale si è esposto, sarebbe un’offesa sanguinosa, non bisogna dissimularselo. Questo rifiuto avrebbe un altro inconveniente: porrebbe nei consigli dell’Imperatore un nemico implacabile. Il Principe Napoleone, più Corso ancora di suo cugino, ci dedicherebbe un odio mortale, e la posizione che egli occupa, quella a cui può aspirare, l’affezione, direi quasi la debolezza che l’Imperatore ha per lui, gli daranno dei mezzi molteplici di soddisfarlo.

Non bisogna dissimularselo: accettando l’alleanza che le è proposta, V. M. e la sua nazione si legano in modo indissolubile all’Imperatore ed alla Francia. Se la guerra che ne sarà la conseguenza è fortunata, la dinastia di Napoleone è consolidata per una o due generazioni; se è sfortunata, V. M. e la sua famiglia corrono rischi altrettanto gravi che il suo potente vicino.

Ma ciò che è certo è che successo della guerra, le conseguenze gloriose che devono risultarne per V. M. e il suo popolo, dipendono in gran parte dal buon volere dell’Imperatore, dalla sua amicizia per V. M. Se al contrario egli racchiude nel cuore contro di Essa un vero rancore, le conseguenze più deplorevoli possono risultarne. Io non esito a dichiarare con la più profonda convinzione che accettare l’alleanza e respingere il matrimonio sarebbe un errore politico immenso, che potrebbe attirare su V. M. e sul nostro paese grandi sciagure.

Discorso di Cavour alla Camera (23 aprile 1859)

Signori, le grandi Potenze europee, nell’intento di trattare la questione italiana per mezzo della diplomazia e di tentare, se fosse possibile, di risolverla pacificamente, determinarono nel mese di marzo di convocare a tal fine un Congresso.

L’Austria però subordinava la sua adesione a questo progetto ad una condizione riguardante la sola Sardegna, quella cioè del suo preventivo disarmo. Tale pretesa, respinta senza esitazione dal Governo del Re come ingiusta e contraria alla dignità del paese, non trovò appoggio presso nessuno dei Gabinetti. L’Austria allora ve ne sostituì un’altra, quella di un disarmo generale.

Questo nuovo principio diede luogo ad una serie di negoziati, i quali, a malgrado della frequenza e della rapidità delle comunicazioni telegrafiche, continuarono parecchie settimane e riuscirono alla proposta dell’Inghilterra, che voi ben conoscete, e che fu accettata dalla Francia, dalla Russia e dalla Prussia. Sebbene il Piemonte scorgesse a quante dubbiezze, a quanti inconvenienti poteva dar luogo l’applicazione del principio, nondimeno, per spirito di conciliazione e come ultima possibile concessione, vi aderì.

L’Austria, per lo contrario, lo ha recisamente rifiutato. Cotale rifiuto di cui ci pervenivano notizie da tutte le parti d’Europa, ci veniva poi ufficialmente annunciato dal rappresentante dell’Inghilterra a Torino, il quale, d’ordine del suo Governo, ci significava che il Gabinetto di Vienna aveva determinato di rivolgere al Piemonte un invito diretto a disarmare, chiedendo definitiva risposta nel termine di tre giorni.

La sostanza e la forma di tale invito non possono lasciare dubbio veruno agli occhi di tutta l’Europa sulle vere intenzioni dell’Austria. Esso è il risultato e la conclusione dei grandi apparecchi di offesa che da molto tempo l’Austria riunisce sulle nostre frontiere, e che in questi ultimi giorni divennero ancora più potenti e più minacciosi.

In questa condizione di cose, in presenza dei gravi pericoli che ci minacciano, il Governo del Re credette suo debito di presentarsi senza indugio al Parlamento e di chiedergli quei poteri che reputa necessari per provvedere alla difesa della Patria. Pregò quindi il vostro Presidente di riunire immediatamente la Camera, separatasi per le vacanze pasquali. E sebbene ieri ad ora tarda ci giungesse indirettamente notizia che l’Austria indugiava a compiere il divisato invito al Piemonte, però avendo essa rifiutato la proposta inglese, questo non modifica punto la situazione, né può modificare il vostro proposito.

In queste circostanze le disposizioni prese da S. M. l’Imperatore dei Francesi sono per noi ad un tempo e un conforto ed un argomento di riconoscenza (Profonda sensazione). Confidiamo che la Camera non esiterà a sanzionare coi suoi voti la proposta di conferire al Re i pieni poteri che i tempi richiedono. E chi può essere migliore custode delle nostre libertà? Chi più degno di questa prova di fiducia della nazione? Egli, il di cui nome dieci anni di regno fecero sinonimo di lealtà e di onore (applausi fragorosi della Camera e da tutte le tribune)-, Egli che tenne sempre alto e fermo il vessillo tricolore italiano; Egli che ora si apparecchia a combattere per la libertà e l’indipendenza! (nuovi e prolungati applausi. Sensazione generale vivissima). Siate certi, o Signori, che affidando in questi frangenti la somma delle cose a Vittorio Emanuele, il Piemonte e l’Italia faranno plauso unanime alla vostra risoluzione (acclamazioni generali e prolungate).

Fonte: Rosario Romeo e Giuseppe Talamo (a cura di), Documenti storici. Antologia, vol. II L’età conteporanea, Loescher, Torino, 1966.

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Mario Mancini
Mario Mancini

Written by Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.

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